Monsignor Santoro… chi è costui?

di Salvatore Romeo (’84)

Traffico in tilt, spiegamento massiccio di forze dell’ordine (di ogni tipo e misura: dalla Guardia di Finanza all’improbabile “polizia provinciale”), folle urlanti con striscioni al seguito… No, purtroppo il 5 gennaio non si è assistito alla promozione anticipata del Taranto in serie B, ma a qualcosa che – a detta dei seri commentatori di cose nostrane – dovrebbe essere di gran lunga più importante: l’arrivo del nuovo vescovo, monsignor Filippo Santoro.
Le cronache del giorno dopo sono entusiastiche. Riprendendo l’antico legame fra linguaggio erotico e ascesi mistica (si legga Santa Teresa di Avila) il Corriere del Giorno titola a nove colonne “Mons. Santoro seduce la città”. All’interno troviamo, oltre che una ricostruzione della lunga giornata, persino una dotta spiegazione del simbolo che Santoro ha scelto per la sua sede pastorale. In esso spiccano “l’acqua come fonte di Grazia e di Misericordia. In alto la stella che evoca la presenza e l’affidamento a Maria (…). Poi la fiamma, segno dello Spirito Santo e dell’ardore missionario che agita il cuore del nuovo vescovo”. Di fronte a tanta e tale teologia non possiamo che chinare umilmente il capo e bisbigliare un commosso “non sum dignus”. Ma l’arido cuore di chi è stato allevato nel più bieco materialismo ci mette poco a tornare freddo, cinico, calcolatore. Ed ecco allora che una domanda si fa largo nell’intenso afrore d’incenso che sembra promanare dalle pagine del giornale; un interrogativo che, per parafrasare un altro memorabile esponente di Santa Madre Chiesa, suona grosso modo così: “Filippo Santoro… chi è costui?”. Inutile chiederlo ai redattori: a chi è toccato dalla fede poco importa sapere. Quanto li invidiamo…
Torniamo dunque “in questa valle di lacrime” e cerchiamo di inquadrare Santoro nel piano molto poco intelligente della Storia. Di lui si sa che viene dal Brasile, dove si reca nel 1984 per prendere possesso della cattedra di Teologia all’Università Cattolica di Rio de Janeiro. Di lì a poco diventa vescovo ausiliario della metropoli carioca e finalmente vescovo di Petropolis, incarico mantenuto fino alla nomina al vertice della diocesi di Taranto. Tanto basterebbe a smentire la vulgata del Santoro “missionario”: non necessariamente chi varca l’oceano alla volta di paesi (fino a diversi anni fa) sottosviluppati lo fa per dedicarsi al servizio dei “meno fortunati”, come la retorica della beneficenza universale vorrebbe far credere. C’è anche chi, come Santoro, lo fa per insediarsi in un ganglio strategico della gerarchia ecclesiastica al fine di perseguire un determinato indirizzo “politico”.
Un’altra cosa si sa di Santoro: che è esponente di Comunione e Liberazione; anzi, come egli stesso ha dichiarato, pare sia stato lo stesso fondatore del movimento, Luigi Giussani, a chiedergli di partire alla volta di Rio, per assecondare un’esplicita richiesta dell’allora vescovo della città brasiliana, che avrebbe voluto un uomo di CL in quel posto.
Questo il quadro generalissimo ricostruito da “Vatican insider”, la rubrica de “La Stampa” sugli affari della Chiesa che per prima ha diffuso la notizia della nomina di Filippo Santoro a vescovo di Taranto. Quadro necessariamente incompleto; sfuggono infatti alcune risposte: che bisogno aveva il vescovo di Rio di chiamar a sé proprio un uomo di CL quando ancora il movimento al di fuori del nostro paese era una realtà marginale? Per rispondere a questo interrogativo non si può prescindere dalla ricostruzione della situazione della Chiesa sudamericana (e brasiliana, in particolare) dell’epoca.
E’ il 1984, come si è detto, e la Congregazione per la dottrina della fede (erede del Sant’Uffizio, a sua volta continuatrice dell’opera della Santa Inquisizione), presieduta all’epoca dal cardinale Joseph Ratzinger, ha appena condannato ufficialmente la Teologia della Liberazione. Ai più questa espressione dirà poco o nulla. Occorre fare dunque un ulteriore salto indietro: nel 1968, alla conferenza dei vescovi sudamericani di Medellin, emergono per la prima volta posizioni che scavalcano “a sinistra” la linea emersa dal Concilio Vaticano II, chiusosi tre anni prima. Diversi esponenti del clero riconoscono come priorità dell’azione pastorale l’impegno diretto al fianco dei diseredati e degli oppressi. Negli anni a venire questa impostazione si traduce in una mobilitazione di vasta portata contro l’ingiustizia sociale e, laddove si erano insediate, contro le dittature. La stessa struttura della Chiesa si trasforma, con un’inedita importanza assunta dalle comunità di base. Non mancano i martiri di quella che forse può essere considerata la sola vera rivoluzione che il mondo cattolico abbia vissuto in tutto il Novecento: il più celebre di tutti è Oscar Romero. Partito da posizioni teologiche divergenti, Romero giunse a incarnare nella sua opera di arcivescovo di San Salvador tutte le migliori pratiche della Teologia della Liberazione: la vicinanza ai poveri e la strenua opposizione alla sanguinaria politica di repressione del governo. Per queste sue scelte Romero fu assassinato in Chiesa, al termine di un’omelia.
Ma il cuore della Teologia della Liberazione è stato a lungo proprio il Brasile, grazie all’opera di straordinari teologi e militanti. Fra questi i fratelli Boff: Clodovis e il ben più celebre Leonardo. Il primo quando la dottrina che aveva sostenuto e praticato viene raggiunta dalla condanna della Congregazione per la dottrina della Fede è titolare proprio della cattedra di Teologia alla Cattolica di Rio. La sua rimozione a quel punto è d’obbligo; a sostituirlo arriva proprio Filippo Santoro. Egli si mette dunque al servizio della vasta opera di contrasto della Teologia della Liberazione promossa da Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger e invocata da diverso tempo dai settori più conservatori dell’episcopato, in particolare quelli vicini all’Opus Dei. D’altra parte la divergenza rispetto alle teorie e alla pratica della Teologia della Liberazione viene ribadita da monsignor Santoro a distanza di anni, in occasione dell’ultima conferenza dei vescovi sudamericani, svoltasi nel 2007 proprio in Brasile, ad Aparecida. “L’impianto di fondo della teologia della liberazione, vale a dire l’uso delle categorie marxiste che presuppongono una concezione materialista della storia – dichiara Santoro all’Avvenire del 13 maggio 2007 – non esiste più. Ma è ancora abbastanza diffusa l’idea che l’impegno a favore dei poveri sia di per sé una fonte di salvezza. A questo si riferisce il Papa quando richiama i sacerdoti a non dare la preferenza alle questioni ideologiche e politiche.” E infatti le conclusioni della Conferenza sanciscono il definitivo superamento dell’impostazione della Teologia della Liberazione: l’attenzione ai temi socio-politici non scompare del tutto, ma viene decisamente subordinata alla predicazione del Cristo e all’evangelizzazione. E’ il “ritorno alla spiritualità” che sovente Ratzinger in Occidente usa per bacchettare gli eccessi dell’economia di mercato e che invece nei paesi attraversati da profonde tensioni sociali viene rivolto contro i movimenti popolari ed i loro sostenitori.
La vicenda di Santoro in Brasile tuttavia non è stata semplicemente quella dell’intellettuale impegnato in un’intensa “battaglia delle idee”. Egli ha operato, da vescovo, anche su di un piano più propriamente “politico” per contrastare la Teologia della Liberazione. Il suo nome è legato infatti alla rimozione di mons. Gonzalo López Marañón dal vertice del Vicariato apostolico di San Miguel de Sucumbíos, nell’Amazzonia ecuadoriana. López Marañón, vicario a San Miguel dal 1970, operava da tipico esponente della Teologia della Liberazione. Così descrivono il lavoro svolto dal prelato i membri dell’Assemblea diocesana di pastorale dello stesso vicariato:

“Nell’ultimo mezzo secolo la regione nordorientale dell’Ecuador, prima abitata solo da piccoli gruppi indigeni, ha conosciuto una massiccia colonizzazione frutto dello sviluppo dell’industria petrolifera, che ha provocato problemi ambientali e conflitti sociali; questa zona di frontiera ha inoltre patito i violenti strascichi del narcotraffico e degli scontri tra esercito e Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), con ripetuti sconfinamenti e l’afflusso di migliaia di sfollati dal Paese limitrofo.
In questo contesto, il vicariato si è strutturato a partire dall’opzione per i poveri, con la creazione di Comunità ecclesiali di base, attraverso la lettura popolare della Bibbia, la rivitalizzazione della liturgia, la valorizzazione della religiosità popolare e l’istituzione di nuovi ministeri laicali. [Un] modello ecclesiale partecipativo e impegnato sul piano sociale attraverso la promozione di organizzazioni di donne, indigeni, neri e contadini, la creazione di scuole e presidi sanitari, la difesa dei diritti umani e dell’ambiente, l’impulso a un’economia comunitaria sostenibile e fondata sulla condivisione.”

Questo impegno non piace al cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, che invia proprio Santoro in visita pastorale nel 2009. Il giudizio del vescovo di Petropolis viene reso noto solo diversi mesi dopo, quando lo stesso Dias ordina la rimozione di López Marañón con la seguente motivazione: “Come confermato nella recente visita apostolica [appunto quella svolta da Santoro, ndr] la visione pastorale da lei portata avanti non era sempre conforme all’esigenza pastorale della Chiesa. Per tale motivo il nuovo amministratore apostolico dovrà organizzare il vicariato e attuare tutto il lavoro pastorale in modo diverso”. Il giudizio di Santoro risulta dunque decisivo nell’indirizzare la decisione del porporato. Per la cronaca, al posto di Lopez Maranon viene inviato come nuovo Vicario il sacerdote argentino Rafael Ibarguren Schindler, dell’associazione “Virgo Flos Carmeli”, il ramo sacerdotale degli Araldi del Vangelo, gruppo integralista cattolico sorto in Brasile e particolarmente apprezzato dallo stesso Ratzinger (che lo ha citato nel libro-intervista “Luce nel mondo” come esempio di “rinascita cattolica” nel paese sudamericano). L’azione del nuovo presule è stata a tal punto contrastata dalla comunità locale che il Presidente della Repubblica, Rafael Correa, è giunto a minacciare l’esercizio del potere di veto nella scelta dei vescovi delle diocesi del suo paese. Per evitare questa extrema ratio lo stesso Papa si è visto costretto a nominare un delegato pontificio da affiancare a Schindler.

Alla luce di questi trascorsi la decisione di inviare Santoro a Taranto sembra dettata da una ricerca di continuità: la “destra conciliare” infatti vanta nella nostra diocesi una tradizione ormai ben radicata, fondata da colui che a ragione può essere considerato il padre spirituale del cattolicesimo tarantino contemporaneo: Guglielmo Motolese, seguace convinto del cardinale Giuseppe Siri. Questa impostazione ha garantito nel corso degli anni la mediazione fra grande industria e gruppi dominanti e subalterni locali. Santoro, dati i suoi precedenti, non sarà da meno. Egli tuttavia dovrà svolgere tale compito all’interno di un tessuto sociale nel quale vanno manifestandosi crepe sempre più ampie. Si tratta di un onere ulteriore rispetto a quello toccato ai suoi predecessori; e però, proprio per la sua esperienza in una situazione di intenso conflitto sociale, Santoro sembra essere l’“uomo giusto” per ammansire un gregge che l’approfondirsi della crisi potrebbe rendere sempre più irrequieto.
Ma egli porta a Taranto anche un elemento di novità che ancora non abbiamo considerato. Se infatti in Brasile CL è stato il “braccio spirituale” dell’ortodossia cattolica, in Italia gli obbiettivi che il movimento si pone sono molto meno legati alle dispute teologiche e alle tensioni sociali e molto più protesi verso la ruvida pragmatica degli affari quotidiani. Cooperative sociali, carriere professionali (soprattutto in campo sanitario) e talvolta – si veda la Lombardia – incarichi politici sono diventati per il movimento fondato da Luigi Giussani centri d’interesse decisivi. In città poi CL si identifica con il lavoro di don Gino Romanazzi, “giovane” monsignore e parroco della Santa Rita da Cascia, promotore della sede locale della LUMSA, che alcuni rumors avevano indicato come possibile successore di Benigno Papa (l’ascesa allo scranno di San Cataldo forse è solo rimandata di qualche anno). La sua intraprendenza, apparsa talvolta ai limiti dell’impegno politico, troverà in Santoro una proficua sponda? Per noi, uomini senza grazia (e quindi “disgraziati”), è questo uno dei principali crucci che la venuta del nuovo vescovo pone.

14 Comments

  1. Anonymous January 9, 2012 9:12 am 

    Condivido le tue preoccupazioni sull’affarismo di certi religiosi tarantini.

    Sarà interessante capire gli spostamenti di potere, gli uomini di cui si circonderà il nuovo arcivescovo nei prossimi 12/24 mesi all’interno della stessa Curia ionica.

    Di certo, certi mondi paralleli e lontani ai problemi veri delle comunità locali, sono preoccupati dal risveglio sociale nei confronti di grande industria e speculatori vari. L’idea di vedere in prossime manifestazioni anche parte del mondo giovanile ecclesiale può esser visto da qualcuno come un incubo.

    Occhi aperti e complimenti per il bel pezzo. Avrei voluto scriverlo io così…

    • Anonymous January 9, 2012 9:12 am 

      Scusate, non avevo firmato il commento di prima: Cataldo Zappulla

  2. Anonymous January 9, 2012 12:55 pm 

    Ottimo articolo. Interessantissimo ed utile per approfondire aspetti che non è facile conoscere fino in fondo.
    Tommaso Stella

  3. Anonymous January 9, 2012 1:24 pm 

    Scusa ma… Che vuol dire quell’”improbabile “polizia provinciale””???

  4. Anonymous January 9, 2012 4:56 pm 

    Ciao a tutti.
    Nella sua prima omelia il nuovo Vescovo, davanti a tutte le istituzioni politico-amministrative della città, ha espresso la volontà di agire “con autonomia di giudizio” nei confronti di tutte le tematiche cittadine e di ogni istituzione. L’impressione che quest’uomo dà è d’essere piuttosto deciso a portare aria nuova nella Chiesa locale, altro che “ammansire”…
    Parlare di impegno politico nei confronti di un uomo di Chiesa è, a mio avviso, una contraddizione in termini. Un uomo di Chiesa vive per le persone che lo circondano, e se lo fa con coerenza ed amore non ha paura di dire la verità. Chi fa ciò non fa politica; semplicemente, vive il cristianesimo.
    Riguardo CL infine, chissà! Non conosco a sufficienza il Movimento per poterne parlare argomentando.

    Un saluto. Paolo Aversano

    • Anonymous January 11, 2012 12:19 am 

      Confesso che il tuo commento sul binomio uomo di Chiesa e politica mi ha fatto riflettere, specialmente su quel “contraddizione in termini”. Quello che penso è che, al di là dei comportamenti più o meno opinabili di alcuni prelati (che per il momento non voglio tirare in ballo), una persona che amministra un gruppo di persone, cittadini, o il questo caso, anime, per me la politica la fa. Dal messaggio del Papa, al giubileo, alla omelia del paese di 1000 anime. Chi sta sul pulpito crea opinione, può indirizzare l’attenzione dei credenti verso questo o quell’altro tema e, di conseguenza, quella di un’intera comunità. E’ un potere.

  5. Anonymous January 13, 2012 10:16 am 

    Ammansire il gregge e curare gli affari della Chiesa sono due missioni che possono ben coincidere se si considerano i rapporti della Chiesa locale con la grande industria…

  6. Anonymous January 13, 2012 10:33 am 

    è possibile l’indicazione delle fonti storico-biografiche che, penso, sono state utilizzate per redigere questo articolo-saggio? Di modo che i “curiosi” possano approfondire ancora meglio le proprie conoscenze! Ringraziando in anticipo, porgo cordiali saluti.
    Alessandro Fraccica

    • admin January 13, 2012 1:31 pm 

      Dimenticavo… sulla Teologia della Liberazione un’utile sintesi è

      Silvia Scatena, La teologia della liberazione in America Latina, Carocci 2008

  7. Anonymous January 13, 2012 4:44 pm 

    Prima di entrare nel merito del tuo articolo, caro Salvatore, permettimi di dirti che la bellezza del cattolicesimo consiste proprio nel non considerare nessun uomo come “nemico da abbattere” (quindi anche se tu ti definisci senza grazia, disgraziato, agli occhi di Dio sei una persona speciale, unica e irripetibile… altro che collettivismo, Dio ci ama persona per persona e ci chiede di fare altrettanto tra di noi – solo a mettere in pratica questa cosa pensa come vivremmo meglio già su questa terra). Con queste premesse, ascoltando Mons. Santoro, intervistato da una giornalista di Telenorba, sulle problematiche giovanili, ha ribadito la necessità che non bisogna fossilizzarsi solo sull’aspetto economico bensì occorre sviluppare tutti gli aspetti che la persona ha, perchè chi ha un ardore, un desiderio del vero, un desiderio di costruire può vincere anche le avversità economiche. Contemporaneamente ha invitato le istituzioni ad offrire le opportunità ed ha ribadito per la Chiesa la sua missione educativa. D’altronde, la crisi che viviamo in questo tempo, prima di essere economica, è crisi di valori che, bollati come “superstiziosi, oscurantisti, retrogradi”, sono stati spazzati via da illuminismo, comunismo, fascismo, nazismo, relativismo, nichilismo e chi più ne ha….. Pretendere comportamenti virtuosi da parte degli uomini senza valori di riferimento è come voler tenere un quadro attaccato alla parete avendo tolto il chiodo. Fede e ragione non sono nemici ma si illuminano a vicenda. Tanto per citare Pascal: l’atto più alto della ragione è riconoscere che vi sono un’infinità di cose che la superano. Un abbraccio e un caro saluto a tutti. Mimmo Fraccica.

    • Anonymous January 13, 2012 6:02 pm 

      Gentile Mimmo Fraccica, la ringrazio per avermi segnalato la dichiarazione di mons. Santoro sui giovani. Viene solo da chiedermi se il presule conosca il contesto in cui si trova ad operare sotto il versante della condizione giovanile. Se avessi modo di interloquire con lui gli chiederei di dare un’occhiata a questi dati: sull’emigrazione giovanile http://www.siderlandia.it/?page_id=1962 e sull’occupazione giovanile http://www.siderlandia.it/?p=2950. Sarà pur vero che la dimensione materiale non annulla la complessità di un individuo, ma mi creda: quando si vive in una condizione di precarietà crescente – come accade ai giovani tarantini – diventa molto difficile coltivare “valori” di qualsiasi tipo.
      Cordiali saluti,
      Salvatore Romeo

  8. Anonymous January 13, 2012 7:18 pm 

    Il compito del Vescovo, d’altronde, non è garantire il posto di lavoro ai giovani bensì smuovere le coscienze affinchè TUTTI operino, ciascuno per la parte di sua competenza, per il bene comune. Questo è il messaggio che la Chiesa ha sempre dato seguendo l’esempio di Gesù Cristo: chi vuol essere il primo si metta al servizio di tutti. In questo contesto si inserisce quello che il Vescovo, nel suo discorso di insediamento ha ribadito: bisogna saper coniugare la tutela dei posti di lavoro con la salvaguardia dell’ambiente e saper valorizzare al massimo quello che di positivo esiste. Per quel che concerne, poi, la precarietà dei posti di lavoro qui al Sud questo problema ha radici che affondano in quello che abbiamo appena finito di “festeggiare” ossia come è stata unita l’Italia dove, tra l’altro, lo Stato ha voluto farsi unico “soggetto” preposto ad organizzare, in maniera sempre più invasiva, la vita dei cittadini smantellando anche tutte le istituzioni che la Chiesa aveva messo in piedi per l’assistenza ai più bisognosi (Taranto vecchia, ad esempio, era piena di scuole aperte a tutti, i ricchi pagavano ed anche i poveri potevano studiare.. con l’unità d’Italia… cacciato il Vescovo, sciolti gli ordini religiosi… il povero è stato costretto ad emigrare). Riscopriamo quindi la Fede che non è solamente una cosa astratta e avulsa dal contesto della società ma, al contrario, vissuta in pienezza realizza e rende felice l’uomo che è poi è chiamato ad operare materialmente nel mondo (es.: posso essere il più bravo scienziato del mondo ma se poi non metto a frutto le mie capacità per il bene comune ma, egoisticamente, “vendo” le mie capacità al miglior offerente anche se questo può causare sofferenze all’umanità, come oggi accade, non le pare che ci diamo la zappa sui piedi?). Termino il mio intervento, che non vuol essere un puro discorso accademico ma un sincero e fraterno contributo, citando una frase di Benedetto XVI del suo libro Gesù di Nazaret: “Non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio…. e dove nascono e crescono questi sentimenti ci sarà anche pane per tutti”. Un cordiale saluto ed un invito a proseguire in questo suo lavoro prezioso di ricerca della verità e della giustizia. Mimmo Fraccica.

    • Anonymous February 1, 2012 11:36 am 

      Gentile signor Fraccica, non so se parla seriamente o stà scherzando, ma se mi permette Lei vive fuori dalla realtà o quantomeno la ignora. Ancora crede che la chiesa, se mai lo è stata, è una istituzione a servizio degli ultimi? Ancora crede che la chiesa è una istituzione che dovrebbe vivere in povertà come la persona a cui si ispira tutta la sua ideologia aveva vissuto e ipotizzato? ( l’episodio della cacciata dal tempio le dice qualcosa?).
      In questo periodo in cui ai soliti noti viene chiesto di fare sacrifici, alla chiesa cattolica ricchissima che vive nello sfarzo e nel lusso più sfrenato non gli si chiede neanche un piccolo sacrificio , pagare l’IMU delle sue immense proprietà immobiliari che producono reddito e profitti in nero. Le dice niente questo piccolo particolare? .
      Mimmo Martucci

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