“Riconversione” di Porto Marghera. Oltre il mito

di Roberto Polidori

Porto Marghera è il polo industriale di Venezia: si tratta di una frazione  di 17.500 abitanti (in Veneto si chiama “municipalità”) caratterizzato dalla presenza di un porto industriale di notevoli dimensioni e da una impressionante varietà di industrie metalmeccaniche, siderurgiche, chimiche, energetiche, navali, aerospaziali e della meccanica di precisione. Si tratta di industrie tutte, o quasi tutte, in crisi. Ultimamente questo rione di Venezia è balzato agli onori della cronaca per merito di un Accordo di Programma per la Bonifica e la Riqualificazione Ambientale del Sito d’Interesse Nazionale di Venezia Porto Marghera ed Aree Limitrofe, firmato in data 16/04/2012 dal Ministro dell’Ambiente Clini (che è origninario di queste terre), dal Magistrato della Acque di Venezia D’Alessio, dal Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, dal Presidente della Provincia Zaccariotto, dal Sindaco di Venezia Orsoni e dal Presidente dell’Autorità Portuale di Venezia Costa.  La notizia non è da poco, se si considera che a Taranto Sergio Bonelli – candidato sindaco del cartello ecologista Aria Pulita -  ha personalmente dichiarato: “A Porto Marghera lo hanno fatto”, riferendosi alle possibilità di chiusura delle attività dei siti industriali inquinanti sul nostro territorio con contestuale riconversione industriale verso attività industriali pulite e di servizi “a più alto valore aggiunto”; il tutto senza perdere neanche un posto di lavoro.

Un veloce sguardo ai dati sulla disoccupazione pubblicati dalla Camera del Lavoro di Venezia permette di acclarare l’incremento della disoccupazione in Veneto dal 3% al 7% dal 2007 ad oggi, con una disoccupazione giovanile che è arrivata al 20%. A Taranto oggi il tasso di disoccupazione è al 15%, mentre il tasso di disoccupazione giovanile è al 50%. Il maggior incremento di disoccupati ( + 4.000 unità circa tra Gennaio e Dicembre 2011) è relativo proprio alle microimprese ed al terziario, mentre nella grande impresa l’incremento del numero di disoccpati è molto minore (+ 1.500 unità tra Gennaio e Dicembre 2011). La Provincia di Venezia va un po’ peggio dal punto di vista occupazionale; e nella Provincia di Venezia c’è Marghera, con la sua crisi, ma c’è anche  Venezia, che è probabilmente il comune maggiormente visitato al Mondo in rapporto al suo numero di residenti (270.000 persone circa). Si parla infatti di 30 milioni di turisti all’anno. Evidentemente il turismo non è riuscito a riassorbire, almeno per ora, i disoccupati di Marghera.

Luca Trevisan, segretario Provinciale Fiom Cgil di Venezia, qual è l’attuale situazione occupazionale a Porto Marghera?

Ti parlo ovviamente del mio settore di competenza: quello metalmeccanico. La situazione non è positiva, nel senso che fin dall’inizio degli anni novanta, con l’avvio delle privatizzazioni e la fine delle partecipazioni statali sono cominciate le dismissioni e sono sostanzialmente rimasti in piedi tre grandi filoni produttivi: la cantieristica navale, le produzioni chimiche (abbastanza diverse da quelle del passato recente), e le produzioni areonautiche. Anche queste attività sono in profonda crisi. 700 lavoratori su 1.050 lavoratori diretti della cantieristica navale sono in cassa integrazione (altri 3.000 dell’indotto lavorano a singhiozzo) e dalla prossima settimana i cantieri saranno vuoti, anche a causa di uno scellerato accordo separato siglato da Cisl e Uil con Fincantieri che ha generato 1243 esuberi in tutta Italia. Anche il settore aeronautico è in crisi: Alenia (aeronautica d’eccellenza) si occupava della revisione e trasformazione di velivoli con 800 dipendenti, ma poi Finmeccanica [da cui Alenia è controllata ndr] ha abbandonato questo tipo di attività e Augusta Westland ha già impiegato 200 dipendenti per la realizzazione di nuovi velivoli regionali e dovrebbe impiegarne altri 185. Ti posso anche parlare indirettamente della chimica: il settore chimico era così importante che i lavoratori metalmeccanici impiegati negli impianti chimici per la manutenzione degli impianti erano circa 1.500, ma adesso e soprattutto in quel settore la desertificazione produttiva ha cancellato molti di quei posti di lavoro. E tutto ciò per la mancanza di investimenti produttivi, promessi più volte a partire da 20-25 anni fa anche in ottica di riconversione tecnologica  [per una disamina della storia della chimica a Marghera e delle speranze disattese di ricollocazione in quest’area del famoso triveneto, si legga http://www.lettera43.it/economia/macro/37764/marghera-il-polo-chimico-che-non-c-e.htm, ndr]

Quindi mi confermi che in quest’angolo del famoso “Triveneto dei miracoli”, molto vocato al terziario e al turismo, c’era comunque una cospicua presenza di industrie altamente diversificate, senza “mocultura” come a Taranto?

Ti confermo che ancora oggi, in scala molto più piccola e con ampie sacche di disoccupazione, è così: esiste un’alta specializzazione e una profonda diversificazione. Nel passato la produzione chimica era soltanto uno degli importanti settori industriali di un polo produttivo altamente diversificato. Per esempio, per ciò che concerne il settore metalmeccanico, le produzioni in alluminio per la cantieristica navale sono ancora un fiore all’occhiello.

Veniamo adesso ai possibili confronti con la situazione tarantina. Possiamo dire che Porto Marghera era anche uno dei siti più inquinati in Italia e quindi, in qualità di Sito di Interesse Nazionale, più meritevole di tutele aggiuntive?

Capisco che vuoi avventurarti in un parallelismo con Taranto. Posso confermarti che non c’è dubbio: la produzione chimica in primis ha comportato un cospicuo inquinamento ambientale. La crisi del settore, la modifica dei processi con espulsione di operai dalle fabbrice e la certificazione dell’inquinamento hanno contribuito a siglare, da almeno 20 anni, una serie di Accordi di Programma dei quali quello del 16/04/2012 è solo l’ultimo.

Una delle idee più interessanti che il cartello ambientalista tarantino sta elaborando e che ha inserito nel programma elettorale è il seguente: sfruttare i fondi strutturali europei ed  una serie di altri fondi comunitari per bonificare il terreno su cui insistono gli impianti inquinanti con il lavoro degli ex-operai, dopo adeguata formazione. Pare, come mi dice Alessandro Marescotti – decano dell’ambientalismo tarantino – e come pubblica sul sito di Peacelink, che sia possibile chiudere l’area a caldo di ILVA e ricollocare gli operai dopo la cassa integrazione e la formazione, attraverso i soldi dell’Europa. Tu che notizie hai in merito?

Premetto che dal punto di vista strettamente “ambientale” non è più possibile fare un paragone tra Taranto e Marghera: a Marghera Enichem, Montefibre, Dow Chemical (con il rischio del fosgene) non producono più, in pratica,  e quindi la discussione pubblica con l’Assemblea Permanente contro il rischio chimico è un ricordo. Siamo alla fase successiva.

Il problema che abbiamo qui è diverso: era stato assicurato ai lavoratori del settore chimico che, una volta interrotte le produzioni, ci sarebbe stata la possibilità di riconvertire con produzioni di nuovo tipo e non inquinanti. Ciò non è accaduto assolutamente ed il problema che permane ora è la presenza di vaste aree da bonificare  [Taranto, vista l’estensione dell’ILVA, ha lo stesso problema  all’ennesima potenza ndr]. Non è assolutamente chiaro chi deve bonificare il terreno con quali risorse, nonostante siano stati presentati Accordi di Programma specifici (il primo risale al 1998, ma i primi programmi di riconversione risalgono all’inizio degli anni novanta), anche perché i terreni prospicienti Venezia fanno gola alla proprietà privata per fare speculazione edilizia. Se dai uno sguardo all’ultimo Accordo di Programma con la specifica sui singoli progetti privati da 2 Mld di Euro, ti rendi conto che il progetto più importante è il complesso polifunzionale di Pierre Cardine da 1,5 Mld di Euro (un terzo di tutta la somma prevista per la riconversione) con alberghi, ristoranti etc). Ma non c’è certezza d’occupazione. Noi non abbiamo potuto mettere becco su questo accordo e non ci sono previsioni sulle ricadute occupazionali. Noi vorremmo capire chiaramente chi mette le risorse perché, data la dotazione infrastrutturale a servizio delle società a capitale pubblico che operano nella zona, vorremmo comprendere le dinamiche finanziarie sottese ad operazioni che non ci vengono spiegate e chiarite. Non abbiamo notizie certe sulla provenienza dei capitali, non ci informano e finora abbiamo avuto solo promesse, come successo negli ultimi 20 anni.

Qui la situazione è un po’ diversa. C’è una sola azienda a capitale pubblico, l’ENI con una delle sue più grosse raffinerie in Europa, mentre il colosso dell’acciaio ILVA è a capitale privato. Da un punto di vista macroeconomico non sappiamo se la crisi comporterà un riduzione della produzione in ILVA oppure se Riva, proprio per razionalizzare la produzione, decida di concentrare ulteriormente la stessa nel sito produttivo di Taranto che, dal punto di vista della dotazione infrastrutturale e della concentrazione dei capitali, è il suo fiore all’occhiello. Certamente qui siamo alla prima fase, quella della contestazione sacrosanta perché l’ILVA inquina: intanto però Riva ha ottenuto un’AIA da 15 milioni di tonnellate all’anno. Ti ripeto: ci sono stimati ambientalisti, coadiuvati evidentemente da esperti in finanziamenti comunitari, che chiedono a gran voce la chiusura dell’area a caldo dell’ILVA, dicendo non tanto che si può fare, quanto che si dovrà fare perché le dinamiche del mercato globale dell’acciaio oppure, semplicemente, la legge obbligheranno il colosso a chiudere i battenti. Bonelli mi dice : “a Porto Marghera l’hanno fatto”. Tu che dici?

Sull’esigibilità dei soldi indicati nei singoli progetti nell’allegato all’Accordo di Programma a noi sindacati, cioè a noi controparte che dovrebbe tutelare il lavoro a Porto Marghera, non è dato sapere. Dalle prime cose che abbiamo potuto vedere, non sappiamo se i soldi ci sono realmente; Zaia ci dice che ci sono decine e decine di aziende che hanno manifestato l’interesse. Visto che come sindacato abbiamo fatto riconoscere a Porto Marghera lo status di Area di Crisi Complessa (sulla base di una legge dello Stato), ti posso dire che la Confindustria locale non ha chiarito neanche un progetto. Sulla base di quanto succede da 20 anni a questa parte, c’è il forte rischio che, almeno qui a Marghera, si tratti di propaganda e che le dichiarazioni sui miliardi stanziati restino tali. Il protocollo è stato comunque firmato anche dal Comune di Venezia e fonti interne affidabili mi confermano che, seppure l’Accordo debba essere discusso in Comune il 4 Maggio, abbiamo il forte dubbio che si tratti dell’ennesimo buco nell’acqua. Comunque il sindacato (e per sindacato intendo tutte le organizzazioni sindacali) non ha mai potuto fare una discussione nel merito, neanche sul previsto stanziamento di fondi pubblici e nonostante qui ci siano ENI, ENEL, Finmeccanica e Fincantieri. Quindi non solo non sono mai state coinvolte le organizzazioni deputate a tutelare gli interessi del lavoro, ma non sono proprio state chiamate in causa quando si è trattato di discutere nel merito l’eventuale assegnazione di finanziamenti previsti per sostenere l’occupazione. Ci sono di mezzo le destinazioni d’uso di aree molto ambite e, comunque, finora soldi per le bonifiche non se ne sono mai visti.

E negli ultimi venti anni gli operai espulsi dal ciclo produttivo che fine hanno fatto?

Porto Marghera ha subìto un clamoroso aumento del tasso di disoccupazione, molto al di sopra della media di Provincia. Finita la cassa integrazione ordinaria e tutti gli ammortizzatori sociali, la gente che non è andata in pensione è rimasta disoccupata. La nostra maggiore preoccupazione è che si sia arrivati ad uno stadio irreversibile del processo di deindustrializzazione. Le Cittadelle della Moda – come quella che dovrebbe sorgere qui secondo il progetto di Pierre Cardin  – vanno bene se l’economia di un territorio è molto diversificata e non c’è il forte rischio che uno dei più importanti porti industriali sia soppiantato da attività speculative strettamente connesse alla posizione strategica del posto. Il settore turistico, che è una parte fondamentale della nostra economia, non deve soppiantare quello industriale, che qui può contate su una dotazione infrastrutturale ed una concentrazione di competenze davvero notevole.

Questo riferimento è molto interessante, perché anche qui ci domandiamo spesso se, data la collocazione particolarissima del nostro centro abitato e data la quantità di bei posti da visitare e tesori archeologici da riscoprire, non si possa vivere di turismo. Certo non siamo Venezia, non ci troviamo nella Mittle-Europa e la nostra popolazione residente, sparsa su un’ampia superficie, è di poco inferiore a quella veneziana. Ma si tratterebbe di economia certamente pulita. Tu rappresenti i metalmeccanici CGIL della Provincia di Venezia, ma io voglio farti questa domanda “politicamente scorretta”: a Porto Marghera vi siete mai guardati negli occhi e vi siete mai chiesti se, visti i 30 milioni di visitatori all’anno in Provincia e la posizione geografica baciata dali Dei, gli operai possano mai lavorare nel settore turistico?

E’ chiaro che Venezia è un’attrattiva internazionale. La vera forza dell’economia veneziana come del Triveneto è quella della diversificazione, e nell’ottica di diversificazione le attività industriali, portuali e di ricerca produttiva devono essere una parte importante di un territorio che voglia garantire occupazione. I fatti dicono che un’economia basata sul turismo non sta in piedi, neanche qui a Venezia: i turisti continuano a venire sempre più numerosi ma i dati sulla disoccupazione sono impietosi. Non solo la disoccupazione è aumentata ma la “qualità” della disoccupazione è molto cambiata: i giovani non riescono a trovare lavoro neanche qui, neanche nel settore turistico e neanche se non sono mai stati operai.

E sulla “contestualità” della riconversione cosa mi dici? Qui, per esempio, si dice che nessuno perderà i posti di lavoro nella riconversione e che ci sarà lavoro anche per i figli degli operai “riconvertiti”. Tu cosa ne pensi ?

Io posso dirti cosa è successo a Marghera: abbiamo dovuto richiedere l’Area di Crisi Permanente e costituire Tavoli ed Osservatori permanenti proprio perché le nostre richieste e le nostre speranze sono state disattese più volte: gli imprenditori chiudevano le fabbriche e le autorità ci assicuravano che futuri finanziamenti pubblici e privati  avrebbero riassorbito gli operai in cassa integrazione. Promesse vane.

Nella nostra Piattaforma rivendicativa (Vertenza Porto Marghera ed Aree di Prossimità), chiediamo proprio la costituzione di una società pubblica per la presa in carico di aree non utilizzate, anche con pratiche di esproprio, e le relative assegnazioni a costi compatibili con la loro finalità di utilizzo industriale per evitare la speculazione, il vincolo delle Aree di Bonifica [cosa che chiede giustamente anche Bonelli ndr], un tavolo di regie territoriali sull’occupazione, un blocco dei licenziamenti nelle aziende a capitale pubblico e lo stop della politica dei “due tempi”. Basta licenziare e mettere in cassa integrazione con la promessa della riassunzione nel momento delle “riconversione”…l’esperienza storica degli ultimi 20 anni ha dimostrato che i licenziati sono rimasti tali ed i cassintegrati sono poi passati nelle file dei disoccupati.

Proprio il 2 Maggio la CGIL proporrà la Vertenza Porto Marghera per richiedere l’intervento del Ministro delle Attività Produttive al fine di rilanciare un sito che, se ulteriormente depotenziato, diventerà economicamente non più appetibile, almeno dal punto di vista industriale e quindi dal punto di vista lavorativo.

Ho dato uno sguardo all’Accordo di Programma firmato il 16 Aprile. E’ molto particolareggiato ma tu mi dici che il fatto che sia particolareggiato non vuol dire niente. Ma allora come spieghi che Autorità così in vista si espongano così tanto apponendo la loro firma in calce?

Da un punto di vista strettamente politico posso dirti che sul nostro territorio si è sempre cercato l’”allineamento istituzionale” quando si è trattato di firmare accordi che non hanno poi sortito effetti. Soprattutto gli accordi di programma sulle produzioni chimiche e sulle bonifiche sono stati siglati dalla stesse autorità anche quando apparteneti ad aree e colori politici diversi. E’ sempre stato fatto molto poco.

Hai un’idea dell’estensione delle aree da bonificare e mettere in sicurezza?

Ribadisco che il processo di chiusura del grosso delle industrie primarie inquinanti è già avvenuto. Le aree da bonificare e riconvertire si estendono per circa 200 ettari.

Come valuti Porto Marghera da un punto di vista strategico?

Porto Marghera è il Porto di Venezia ma è anche la zona industriale di Venezia. Secondo Zaia, che ha considerato conclusa l’esperienza industriale del sito, dovrebbe trattarsi di un nodo di stoccaggio e transito delle merci, un luogo di snodo di prodotti fabbricati in altri luoghi, anche nel Veneto. Noi abbiamo contrastato questa visione e sento il bisogno di sottolineare che la nostra esigenza di vincolare le aree allo sviluppo industriale pulito e alla riconversione tecnologica passa attraverso l’intervento dello Stato (il Ministro della Attività Produttive, appunto) in modo tale da veicolare i necessari finanziamenti allo scopo. Non dimentichiamo che molta parte dell’attività industriale del sito è a partecipazione pubblica.

6 Comments

  1. Anonymous May 1, 2012 11:38 am 

    preciso che la Municipalità di Marghera conta oltre 28.000 abitanti

    saluti, Vittorio

  2. Anonymous May 1, 2012 7:22 pm 

    Vorrei ringraziare Roberto Polidori per l’interessantissima intervista fatta al segretario della FIOM/CGIL di Venezia. Credo che faccia un po’ di luce sulle promesse demagogiche che si fanno, e non solo in campagna elettorale. Va ricordato che in molti casi di chiusure di impianti con promesse di riconversioni(Bagnoli, Genova, ecc.), l’impatto con la disoccupazione è stato in parte assorbito dai pensionamenti, trattandosi di impianti e lavoratori anziani, mentre gli operai più giovani sono rimasti disoccupati, come rileva il segretario. Ora, stiamo parlando di un’area che, dal punto di vista occupazionale non può essere paragonato a quella di Taranto che, come è detto nell’articolo iniziale, raggiunge livelli stratosferici. Va anche ricordato che la classe operaia dell’ILVA è estremamente giovane e di questo bisogna prenderne atto. A me dispiace ascoltare posizioni del tipo “chiudiamo la fabbrica che inquina e riconvertiamola”. Mai nessuno che dica chi deve pagare la riconversione; mai nessuno che dica, ammesso che ciò possa avvenire, quanti operai sarebbero ricollocati degli 11.500 impiegati attualmente. Ho sentito alcuni e, fra questi il candidato sindaco Bonelli, che con le bonifiche ci sarebbe occupazione per tutti e anche per i figli… Poi dicono che gli altri politici fanno promesse vane!
    Bene. Un gruppo di ex dipendenti ILVA, insieme a ricercatori/trici e ambientalisti, ha fatto una proposta di lavoro che ha avuto il piacere di vedere pubblicata su questo giornale on-line. Lo ricordo brevemente, sono gli impianti denominati COREX, FINEX che abbattono fortemente tutti gli inquinanti della produzione di agglomerato, di altoforno e di acciaieria. Certo, non spiegatemelo, lo so (lo sappiamo) che si aprirebbe uno scontro duro, ma si toglierebbe un’arma dalle mani di Riva. Quella che usa come spauracchio e che ha costretto migliaia di lavoratori a scendere in piazza, oggettivamente in Sua difesa, ma che Riva ha potuto spacciare per difesa dell’occupazione. Noi dobbiamo togliere dalle mani della proprietà quest’arma, discutendo come cambiare il modo di produrre l’acciaio. Le tecnologie esistono, confrontiamoci mettendo da parte le posizioni più lontane e creando una sinergia fra le nostre esperienze e che veda unificato il fronte di lotta contro chi non ha alcun interesse a cambiare le cose. Di chi specula sulle nostre divisioni ma che, contemporaneamente, è sul libro paga di Riva(vedi i ripetuti attacchi del professor Pirro).

    Ciccio M.

    • Anonymous May 2, 2012 12:17 pm 

      SUI DATI TUMORALI PERCHE NON è STATA FATTA NESSUNA DOMANDA??? PECCATO!!!!

  3. Anonymous May 2, 2012 2:43 pm 

    TUTTO QUELLO VISTO A PORTA A PORTA SECONDO VOI è INQUINAMENTO DOVUTO ALLE AUTO HO C’è UNA MINIMA RESPONSABILTà DELL’ILVA??? GRAZIE PER LA RISPOSTA!
    P.S.
    ANCHE IERI UN ALTRA GIOVANE TARANTINA E’ DECEDUTA PER TUMORE….. GRAZIE A CHI SOSTIENE CHE MEGLIO UN PEZZO DI PANE OGGI CHE UN FIGLIO IN MENO DOMANI!!!!
    GRAZIE PER LA RISPOSTA!!!!!!!!!!!!!
    Gennaro

  4. Anonymous May 3, 2012 4:06 pm 

    Anch’io ho un fratello di 40 anni ammalato di cancro dopo aver condotto una vita sanissima da sportivo e mi domando se sia più importante il diritto al lavoro del DIRITTO ALLA SALUTE. Siamo emigrati tutti con le rispettive famiglie genitori compresi a 750km e lottiamo quotidianamente contro il cancro. IO NON HO DUBBI SULLA CHIUSURA DELL’ILVA. Saluti Andrea T.

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