La rivoluzione è finita e abbiamo vinto. Taranto, elezioni e movimenti

di Francesco Ferri

A/traverso, celebre rivista del movimento bolognese, usciva nel giugno 1977 con un numero intitolato “La rivoluzione è finita e abbiamo vinto”. La lettura del titolo di per se lasciava presagire intenti ironici e paradossali, per altro abitualmente utilizzati dalla rivista. In realtà in questa circostanza,  al di là di una certa enfasi, l’analisi della redazione appariva decisamente seria.

La rivoluzione è finita in quanto, secondo i redattori della rivista, non era più applicabile il modello della rivoluzione politica novecentesca come strumento di lotta nei confronti delle mutate strutture di dominio. Le forme di gestione del potere sono diventate cosi frammentate e diffuse che non esistono più Palazzi d’Inverno da conquistare, essendo le tradizionali istituzioni svuotate di potere decisionale. In questo senso, la rivoluzione non è più applicabile: è appunto finita. Non risulta esserci però spazio per la rassegnazione nelle riflessioni della redazione di A/traverso.

L’abbiamo vinto infatti fa riferimento alle prospettive di liberazione e di conquista di autonomia, nate propria a partire dallo studio del mutato sistema decisionale che si andava delineando. Secondo i giovani bolognese del ’77, l’orizzonte da perseguire smetteva di essere legato al tentativo di raggiungere il potere, ma piuttosto doveva perseguirsi la costruzione di una comunità che si organizza fuori dal modello predominante di scambio economico, del lavoro e del salario. L’aver intuito il cambiamento, e l’averlo materialmente praticato come strumento di lotta quotidiana rappresentava appunto, dal loro punto di vista, una vittoria.

Cosa succede se proviamo a leggere i risultati elettorali tarantini accompagnandoci con le suggestioni prodotte dallo storico titolo di A/traverso? La prima sensazione probabilmente è comune, e si accompagna ad un certo stupore: una città con una mole di problemi dalla portata cosi drammatica ha confermato tendenzialmente a cosi larga misura il sindaco uscente, Stefàno. Il tendenzialmente è legato ai notevoli dati relativi all’astensionismo, che risultano essere uno degli aspetti più interessanti sui quali riflettere, e sui quali ci si soffermerà in seguito.

La continuità sembra essere un concetto interessante col quale produrre prime riflessioni intorno ai risultati elettorali. Continuità come conferma della giunta comunale uscente. Continuità (nera e fosca) come riproposizione dei citiani come seconda coalizione (per altro distanziata in maniera considerevole, ma comunque un pericolo da non sottovalutare in vista del ballottaggio). Continuità sostanziale tra il piano locale (vittoria del centrosinistra con aggiunta di Udc e Api) e una tendenza di portata nazionale che vede il centrosinistra quasi ovunque interessato a ricomporti verso il proprio centro.

Travolti da questo inaspettato desiderio di continuità risultano essere le coalizioni che hanno provato a muovere critiche all’amministrazione uscente da un punto di vista tendenzialmente riformista. Nell’eterogeneità dei risultati prodotti (significativi per la coalizione di Bonelli, decisamente meno per gli altri) appare comunque evidente che la critica “progressista” all’amministrazione Stefàno non ha raggiunto i risultati elettorali che auspicava. Quello che si presentava come possibile partito del cambiamento (Bonelli, Mazza, Furnari e, sotto altri aspetti, Capriulo) esce complessivamente sconfitto dal partito della continuità.

Come rapportarsi con un risultato politico del genere, che apparentemente misura (con numeri tendenzialmente bassi) la consistenza del possibile cambiamento?

É sicuramente necessario innanzi tutto riflettere attorno al citato astensionismo, uno dei grandi temi delle elezioni politiche tarantine. Il numero crescente di donne e uomini che scelgono di non recarsi alle urne è di per se indice (ambivalente) di un malessere diffuso nei confronti di (tutte) le classi dirigenti ioniche.

Tenendo conto del dato dell’astensionismo (la cui lettura comunque non può essere unidirezionale) e della complessiva mancanza di fiducia nei confronti dei partiti tradizionali, bisogna tornare subito ad indagare le prospettive che si aprono di fronte ai movimenti cittadini che, in ogni caso, hanno la necessità di palesare con urgenza come il risultato elettorale raggiunto dalle coalizioni ambientaliste di certo non misuri la totalità della pur diffusa volontà di immaginare in prospettiva una Taranto diversa.

La rivoluzione è finita? Nei termini del ragionamento sopra proposto, il terreno sul quale si decide di combattere una battaglia non è un elemento neutro: al contrario finisce per delineare in via preliminare l’esito della sfida che si intraprende.

I dati elettorali, in quest’ottica, confermano che se il terreno della competizione è rappresentato da schede e cabine elettorali, e per giunta lo si carica di un simbolismo esasperato (l’ultima opportunità per la città; le forze del bene contro quelle del male, e cosi via) ad avere la meglio è il partito della continuità, addirittura a prescindere da chi vinca. Non si dimentichi, infatti, che cinque anni fa il partito del cambiamento era rappresentato dal sindaco Stefàno, che nel giro di qualche semestre si iscrisse, a buon titolo, in quello della continuità.

In questi termini, non esiste Palazzo di Città da conquistare, sia perché il partito della continuità tendenzialmente finisce per vincere in ogni caso quando la sfida la si gioca sul piano elettorale, sia perché anche quando potenziali elementi di innovazione riescono a diventare maggioranza e a governare, il contesto decisionale nel quale sono inseriti gli spinge a diventare, prima o poi, tendenzialmente partito della continuità. In questi termini, quindi, la rivoluzione, intesa come conquista di potere su un determinato territorio, è finita, anche a Taranto.

Abbiamo vinto? A differenza di quanto annunciava A/traverso, la vittoria della quale si può parlare ora a Taranto è puramente potenziale. Per provare ad acquisire possibili lezioni collettive dalle elezioni amministrative, occorre produrre uno sforzo per cercare di trarre da ogni dato di realtà, anche elettorale, nuove prospettive di liberazione. Chi immagina e si agita per provare a costruire un’altra Taranto possibile dovrà innanzi tutto provare a fare i conti con il dato dell’astensionismo, possibilmente evitando i toni enfatici: troppo spesso la disaffezione nei confronti dei partiti finisce per accompagnarsi con la diffidenza per la politica tout court.

Inoltre sarà utile lavorare fin da subito per rendere evidente come il risultato conseguito (non straordinario) del partito del cambiamento non rappresenta di per se la totalità della voglia di riscatto che pure, in maniera crescente, si respira al di fuori delle forme della rappresentanza.

Bisogna provare ad indagare in maniera nuova il tema della vittoria, dopo aver avuto la conferma  che se il terreno sul quale si intendono sfidare le classi dirigenti attuali è confinato nelle urne  elettorali, è altamente probabile che il partito della continuità prevalga sempre.

La questione indubbiamente resta aperta, e la strada da intraprendere per provare ad invertire la rotta di questa città difficilmente potrà fare a meno di prese di parole collettive anche forti che agiscano, in maniera diretta, proprio dentro (e contro) i cambiamenti dei sistemi di dominio (si pensi, a titolo di esempio, alle mobilitazioni americane dell’ultimo anno legate al tema dell’occupy), e fuori dalle forme della rappresentanza.

Che l’ennesima vittoria del partito della continuità sia almeno il congedo collettivo nei confronti delle (troppo enfatiche) aspettative riposte nella tornata elettorale: in questi termini, la capacità di acquisire collettivamente la lezione può risultare per Taranto una prima (parziale) vittoria.

Ovviamente non basta: bisogna lavorare tutti insieme affinché il nuovo contesto delineato sia anche l’occasione per sperimentare nuove e diverse forme di lotta, magari d’ora in avanti connesse coi i temi dei movimenti globali dentro/contro i cambiamenti della gestione delle relazioni di potere.

Un diffusa e crescente sentimento sembra avvicinare tutti in queste ore, elettori e astensionisti: non è ipotizzabile aspettare cinque anni. L’urgenza delle problematiche che avvolgono il capoluogo Ionico necessita di risposte decise e nette, partendo magari proprio dalla creazione collettiva di un forte immaginario di alternativa, definitivamente fuori dagli schemi classici della rappresentanza politica: Taranto ha urgente bisogno di vincere.