Stefàno al capolinea? Elezioni e potere a Taranto

di Salvatore Romeo (’84)

Comunque dovesse andare il ballottaggio del 20 e 21 maggio la coalizione di Ezio Stefàno ha raggiunto il 54% circa delle preferenze ed esprimerà pertanto la maggioranza nel prossimo consiglio comunale. Apparentemente un’affermazione così robusta dovrebbe garantire – qualora il sindaco uscente vinca su Mario Cito – una stabile situazione di governabilità; in realtà vi sono segnali evidenti che i prossimi cinque anni di consiliatura saranno quanto mai travagliati.

Dall’”uomo solo al comando” all’”uomo di paglia”. Partiamo dal dato più evidente: Stefàno ha subito una sconfitta personale. Nonostante l’elevato livello d’astensionismo lo abbia favorito, il candidato del centro-sinistra non è riuscito a conseguire l’elezione al primo turno. Un cinque per cento di elettori della sua coalizione ha preferito infatti accordare il proprio consenso a un altro candidato, in particolare ad Angelo Bonelli – che di contro ha realizzato un 5% in più rispetto alle liste che lo hanno sostenuto. D’altra parte Stefàno incrementa di soli cinquemila voti circa il risultato conseguito nel 2007, nonostante questa volta potesse contare sull’appoggio dei partiti che all’epoca candidarono Gianni Florido, cioè un potenziale di ulteriori 25 mila voti rispetto a quelli conseguiti alla scorsa tornata.
Mentre il sindaco uscente esce indebolito il suo principale antagonista degli scorsi mesi, Michele Pelillo, realizza un risultato clamoroso. Nonostante il naufragio del progetto “San Raffaele del Mediterraneo” – di cui l’assessore regionale al bilancio è stato uno dei principali promotori – Pelillo ha saputo applicare con estrema abilità la tattica del sedersi sulla sponda del fiume ad aspettare il cadavere del proprio nemico. Ma in realtà l’esponente del PD è stato tutt’altro che seduto: ha saputo distribuire quasi scientificamente il proprio patrimonio elettorale fra i componenti della sua corrente; e i risultati si sono visti: dei sette consiglieri conquistati dal PD ben cinque sono “pelilliani”: Di Gregorio, Lonoce, Azzaro, De Martino e Di Todaro. La componente Florido-Vico ottiene fra gli eletti di diritto soltanto Bitetti (il consigliere più votato in assoluto, con 1.700 preferenze circa); tutti gli altri seguono di diverse spanne la corazzata pelilliana – fra questi Mimmo Cotugno, secondo dei non eletti dopo Baio, che si ferma a poco più di seicento preferenze. Sarà molto difficile a questo punto per questa corrente ottenere la carica di vice-sindaco, che prima del voto Stefàno pare avesse intenzione di concedere ad Anna Rita Lemma.
Ma il successo di Pelillo è ancora più ampio di quanto non appaia: sia Gigante (La Puglia per Vendola) che Brisci (UDC) sembrano far riferimento direttamente all’assessore regionale. Ma c’è chi vocifera che persino il primo degli eletti in SEL, Francesco Di Giovanni (ex PD), sia a sua volta in quota Pelillo. Insomma, direttamente o indirettamente, quest’ultimo controlla una componente determinante del Consiglio e sarebbe pertanto in grado di mettere in serie difficoltà Ezio Stefàno, sottraendogli di volta in volta la maggioranza e persino mandandolo a casa con lo scioglimento anticipato del Consiglio.
D’altra parte “quanti carri armati ha” il sindaco uscente? A ben vedere la lista che a lui fa riferimento – S.D.S. – ottiene un risultato lusinghiero, attestandosi come secondo “partito” della città e migliorando di un quattro per cento il risultato della precedente tornata. A proposito degli eletti verrebbe da dire che “il potere ha giovato chi ce l’ha avuto”. Cosa, Scasciamacchia, Spalluto, Illiano e Cataldino (e ancora i primi tre non eletti Nistri, Lupo e Bardoscia) – ai quali si dovrebbe aggiungere Ciocia, già assessore all’Università eletto in quota API – sono riusciti a trarre profitti elettorali di tutto rispetto dall’esperienza consiliare o di giunta degli ultimi cinque anni. Clamorosi i casi dei primi due eletti (Cosa e Scasciamacchia): giovani all’anagrafe, sono riusciti ad incrementare esponenzialmente le poche centinaia di preferenze ottenute alla scorsa tornata, attestandosi intorno al migliaio di voti e scavalcando così di diverse spanne vecchi leoni della politica jonica. Verrebbe da chiedersi sulla base di quale iniziativa politica, visto che i nostri non hanno gestito incarichi di governo. A nostro parere tuttavia Stefàno può stare tutt’altro che tranquillo se questo è il fortino che dovrebbe difenderlo dagli assalti dell’armata pelilliana. I consiglieri citati infatti, dimostratisi così solleciti ai richiami del potere, potrebbero facilmente attraversare le linee e unirsi al fronte dell’assessore regionale qualora questo si riveli particolarmente efficace nella sua attività di contro-indirizzo della giunta.
Un’egemonia – si sarebbe detto un tempo su ben altre sponde politiche – che potrebbe risultare efficace anche su SEL. Apparentemente il partito di Vendola si attesta su un dignitosissimo 6%, ma esprime consiglieri che, a ben vedere, nulla hanno a che fare con la sua tradizione politica. Oltre al già citato Di Giovanni, viene eletta infatti Lucia Viafora – che definire “compagna” equivale a un esercizio di surrealismo fuori tempo massimo. La giovane Viafora ha una robusta esperienza centrista alle spalle – alle scorse elezioni comunali fu eletta nientemeno che nella lista dell’UDEUR, grazie all’impegno dell’allora consigliere regionale Massimo Ostillio – e con la storia politica di Vendola e compagni non si capisce proprio cosa abbia da spartire. Per trovare chi in qualche modo proviene dal mondo della sinistra bisogna scendere al primo dei non-eletti: Mino Bellangino.
Alla luce di queste considerazioni viene da pensare che la prossima amministrazione vedrà ribaltati i rapporti di forza correnti in quella precedente: dall’“uomo solo al comando” si passerà plausibilmente… all’“uomo di paglia”.

L’ipoteca di Cito sul centro-destra. Ma le opposizioni come ne escono dalla tornata del 6 e 7 maggio? I citiani si confermano primo gruppo di minoranza, quasi eguagliando in termini percentuali il risultato del 2007 (-1% questa volta) e raggiungendo finalmente il ballottaggio. Ma a quanti urlano indignati contro l’eterno ritorno del “fenomeno Cito” occorrerebbe ricordare alcune significative differenze rispetto alle scorse comunali. In valori assoluti Mario Cito perde più di 5 mila voti sul 2007, mentre si riduce a tre punti percentuali il surplus rispetto alla coalizione (5% cinque anni fa). D’altra parte At6 non è più il primo partito cittadino e soprattutto deve la sua performance agli ottimi risultati conseguiti da grandi portatori di voti affluiti dal PDL (Castellaneta, Ungaro e Renna in primis). Particolare non del tutto irrilevante è il risultato dell’altra figlia di Giancarlo, Antonella – inserita in lista forse soltanto per evitare che i tanti voti di preferenza recenti scritto “Cito” che si sono registrati nelle precedenti elezioni venissero invalidati –: la figlia del patriarca risulterebbe soltanto seconda dei non eletti qualora il fratello venisse sconfitto al ballottaggio. Sembra dunque svanito l’effetto di trascinamento del cognome più discusso fra i due mari? Non necessariamente, ma l’apertura delle liste di At6 a esponenti del PDL segna un’inversione di tendenza rispetto a quanto avvenuto negli anni del declino di Giancarlo – quando numerosi citiani della prima ora abbandonarono la nave che colava a picco per rifugiarsi nei partiti del centro-destra. E’ presto per giudicare il ruolo che quel movimento – in ogni caso profondamente legato alle vicende della famiglia Cito – assumerà nella ristrutturazione della destra tarantina, ma dato lo stato comatoso che caratterizza ormai quest’ultima – riuscita persino a dimezzare la propria percentuale rispetto alle elezioni post-dissesto – si può presumere che in futuro difficilmente il PDL potrà fare a meno dei citiani. Una prospettiva che sembra contraddire le tendenze emerse al centro del partito, con l’apertura di Alfano nel senso della costruzione di un “polo dei moderati”, e pare volgersi invece verso una destra “alla francese” (con la sua “rincorsa a destra” Sarkozy è riuscito quasi ad agguantare Hollande). Taranto sarà ancora una volta “laboratorio politico” in una fase in cui la propaganda sciovinista rischia di intercettare il malessere sempre più profondo della società? Molto dipenderà anche dal risultato del ballottaggio, in cui si misurerà l’attuale presa di Cito sugli elettori.

La beffa degli Ambientalisti. Per quanto riguarda la coalizione ambientalista verrebbe da dire che hanno vinto la battaglia, ma – per carenze strategiche – hanno perso la guerra. Sono riusciti a far affezionare una parte significativa dell’elettorato tarantino al “forestiero” Angelo Bonelli. Quest’ultimo, dati alla mano, è stato il vero valore aggiunto della coalizione. Per il resto quest’ultima paga gli errori commessi nella creazione delle liste. In primo luogo, queste si sono rivelate deboli: la somma dei loro voti risulta inferiore persino alla coalizione di centro-destra. Due fra queste – Rinascere e Mamme per Taranto – ottengono risultati risibili; nelle altre tre le cose non vanno come ci si sarebbe aspettati: Aria Pulita, che avrebbe dovuto essere la più forte – dal momento che ospitava i due candidati “di punta” Luigi Boccuni e, soprattutto, Alessandro Marescotti – arriva solo terza. Al primo posto si attesta “Rinascere”, che in questo modo esprime il secondo consigliere della coalizione: Mario Laruccia. E questa è forse la beffa maggiore per i bonelliani. Chiunque abbia un minimo di confidenza con le cose della politica tarantina conosce bene la vicinanza di Laruccia a Gaetano Carrozzo, già dirigente di PCI, PDS e DS ed ex fedelissimo di Massimo D’Alema in riva allo Jonio. Laruccia è stato eletto nel 2007 con S.D.S.; a seguito della cacciata di Carrozzo e Veneranda Carrino dalla giunta, insieme a Massimo Mancini – asceso poco dopo alla carica di Dirigente Amministrativo dell’ASL di Taranto –, fonda il gruppo consiliare dei Riformisti. Segue il suo “capobastone” anche nell’avventura del 2009, quando i Riformisti decidono incredibilmente di sostenere la candidatura a Presidente della Provincia di Domenico Rana, entrando nella coalizione di centro-destra (per il breve periodo del ballottaggio risultano dunque apparentati anche con Cito). Laruccia è candidato nel Collegio 25. D’altra parte quest’ultimo, prima di aderire definitivamente alla coalizione “Taranto Respira”, lo ritroviamo possibile candidato alle “mini-primarie” e, dopo essersi ritirato all’ultimo momento, lo vediamo assiso al tavolo che avrebbe dovuto decidere l’eventuale accordo fra centro-destra e Terzo Polo. A ben vedere la premiata ditta “Riformisti” ha calcolato bene le sue chance: scartata giocoforza l’opzione Stefàno, Laruccia non sarebbe stato eletto né col PDL né con la coalizione dei “ribelli” di centro-sinistra. D’altra parte Carrozzo è già un anno che bazzica gli ambienti dell’ecologismo jonico, in cerca di una possibile ricollocazione; ed è stato proprio lui a caldeggiare nel giugno dello scorso anno una coalizione civico-ambientalista fra Riformisti, Verdi e MJL (defilatosi poi per aderire al comitato per le primarie). Ben scavato, vecchia talpa. Non è il massimo del risultato invece per chi si era presentato come il “nuovo assoluto”, rifiutando con decisione alleanze e apparentamenti con la “vecchia” politica. Peccato soprattutto per Alessandro Marescotti, padre nobile dell’ambientalismo tarantino, che da solo consegue quasi il doppio dei voti di Laruccia, ma per l’inadeguata organizzazione delle liste resta clamorosamente fuori dal Consiglio comunale. La “gioiosa macchina da guerra” costruita negli ultimi mesi dagli ambientalisti – che poteva contare su volti noti del jet set nostrano e sul sostegno neanche troppo velato della stampa che conta – ha conseguito in definitiva il minimo risultato col massimo sforzo e rischia ora di finire travolta dall’inevitabile “riflusso”.

La disfatta della Sinistra. Ma vi è anche un’altra pesante sconfitta che emerge da queste elezioni: quella della Sinistra. Non ci riferiamo semplicemente a organizzazioni politiche consolidate (per quanto il risultato “da prefisso telefonico” di Rifondazione e l’infima quantità di preferenze raccolta dagli esponenti del PdCI “ospitati” in S.D.S. devono far riflettere i gruppi dirigenti di quei partiti), ma a tutte le personalità riconducibili a quell’area politico-culturale presenti nelle diverse liste. Certo, brillano i risultati di Gianni Liviano (più di 900 preferenze) nel PD e di Ernesto D’Eri (oltre 400 voti) nell’IdV – grazie ai quali entrambi entrano in Consiglio –, ma delude la performance del candidato sindaco Dante Capriulo. In particolare, per questo è stata una doccia fredda il mancato voto disgiunto, promessogli nelle scorse settimane dagli esponenti del PD e di SEL maggiormente critici nei confronti di Stefàno. Qualcuno deve avergli ricordato per tempo che senza l’elezione del loro candidato sindaco anche l’elezione dei candidati consiglieri di riferimento sarebbe stata a rischio – chi poteva prevedere prime del 7 maggio una situazione diametralmente opposta come quella in cui ci ritroviamo? Se a questo dato si somma quanto detto sopra a proposito degli eletti di SEL, il panorama che si ottiene è abbastanza sconfortante per l’intera sinistra tarantina. Questa paga il fatto di non aver saputo costruire una progettualità condivisa; o, peggio, di non aver saputo dialogare negli ultimi cinque anni. Singoli, gruppi, partiti hanno ragionato come se ciascuno bastasse a sé stesso, come se ciascuno avesse la formula vincente per fare “il colpo” e conseguire quanto meno l’obbiettivo minimo dell’ingresso in Consiglio. Ma se questa parte politica vuole avere un futuro a Taranto deve superare al più presto l’afasia che caratterizza le sue dinamiche interne, con un investimento serio in formazione di un senso comune e di percorsi politici condivisi.

Un nuovo passaggio per il potere in riva allo Jonio? Nell’insieme queste elezioni consegnano un’immagine abbastanza netta della configurazione del potere a Taranto. Attraverso l’esperienza Stefàno i gruppi che temevano per i propri interessi dopo la dichiarazione di dissesto e la dissoluzione del blocco dibelliano sono riusciti a restare a galla, nascondendosi dietro la parvenza di “rinnovamento” incarnata dalla composita coalizione del sindaco uscente. Ora questa “fase di transizione” può dirsi definitivamente tramontata e si prepara una nuova, più organica, riorganizzazione politica di questi soggetti. In questa operazione Stefàno non è contemplato, anzi viene percepito come un ostacolo. Sarà l’“area Pelillo”, la cui egemonia sulla maggioranza potrebbe progressivamente estendersi, a guidarla? Se così fosse anche pezzi del PDL – da sempre in rapporti cordiali con l’assessore regionale – potrebbero guardare con interesse a questa prospettiva – che emerge mentre all’orizzonte si staglia la formazione a livello nazionale di un nuovo Centro. A quel punto chi resterebbe a rappresentare gli “esclusi”, posto che l’impoverimento progressivo della nostra città e le politiche restrittive del governo metteranno sempre più in crisi il sistema clientelare che buona parte ha giocato in questa tornata elettorale? Sic rebus stantibus viene da rispondere la destra “lepenista” composta da Cito e da pezzi di PDL che non si sottraggono al suo richiamo. Gli altri, Ambientalismo e Sinistra, se non vogliono assistere in diretta al proprio disfacimento, devono iniziare a calarsi in maniera decisamente più efficace nella realtà jonica, superando ingenuità e inutili frammentazioni.