Storia di una foto. La consapevole solitudine del potere

di Francesco Ferri

Per diffusione – quasi planetaria – e per l’elevato simbolismo che lo accompagna, lo scatto fotografico che immortala il sindaco di Taranto durante i festeggiamenti post ballottaggio con una pistola inserita nei pantaloni rischia di diventare l’emblema di un’epoca. Dalla Svizzera alla Spagna, passando per tutti i principali quotidiani italiani, per diversi giorni l’immagine del pediatra che con disinvoltura indossa una revolver alla cintura ha inondato la sfera mediatica, producendo una mole incalcolabile di riflessioni e commenti.
Il simbolismo della pistola (indubbiamente d’impatto, questo è innegabile) più che suscitare le superficiali prese di posizione che rimbalzano in città (oscillanti, con equivalente banalità, tra un fa bene e un è impazzito) sembra pretendere l’urgente apertura di una serie di interrogativi.
Per cominciare è opportuno provare ad accantonare una schematizzazione che, specialmente fuori dalla provincia ionica, si diffonde rapidamente. Stefàno non è un sindaco sceriffo: non è affatto un amministratore violento e non hai mai agitato lo spettro dell’insicurezza col fine di proporre politiche securitarie. Ogni rappresentazione dell’attuale sindaco che lo dipinga in questi termini allontana dalla comprensione del reale, tendendo a banalizzare una problematica che, invece, è decisamente più articolata (e quindi di più complicata risoluzione).

Perché a Taranto? Il primo dei possibili interrogativi chiede lumi in merito al contesto nel quale è nata l’immagine in questione. Il sindaco, nel provare (maldestramente) a giustificare l’inopportunità dalla scelta, ha raccontato di aver subito gravi e ripetute minacce. Il che di per se non è difficile da credere: possiamo ben immaginare che chiunque amministri una città come Taranto possa essere esposto a pericoli, anche dal punto di vista dell’incolumità personale. Questa circostanza, di per se, rappresenta un primo, necessario elemento di riflessione.
Quel che stupisce, invece, è il tipo di soluzione che il sindaco ha deciso di mettere in atto a fronte dei rischi denunciati. La parole del sindaco che commentano l’accaduto (probabilmente  l’elemento più pericoloso dell’intera vicenda) sembrano direttamente figlie del contesto-città nel quale il sindaco stesso opera: Stefàno, annebbiato dall’inaspettato risalto mediatico, ha spiegato come la pistola serva per difesa personale a fronte delle minacce ricevute. Affermazione che, se colta come invito alla giustizia fai da te risulterebbe oltremodo pericolosa, ben oltre le intenzioni del sindaco stesso, in una città nella quale le pistole non sono certo un elemento estraneo.
Il punto centrale della vicenda però sembra essere un altro, e le superficiali affermazioni del sindaco non devono distrarci: né il culto della facile violenza, né tanto meno quello della giustizia fai da te sono mai stati aspetti programmatici della politica di Stefàno. Al contrario, l’analisi di oggetti e parole (pistola e giustificazioni) è utile per palesare l’atteggiamento mentale (decisamente preoccupante) di una persona che, rinunciando agli altrove diffusi appelli alla cooperazione istituzionale e all’unità dei volenterosi, si sia da tempo consapevolmente autoiscritto nella categoria dell’eroe solitario.

Un uomo solo. Proseguiamo con un paradosso: la foto in questione immortala un uomo (e un sindaco) che appare in solitudine anche se circondato da numerose persone. È proprio la pistola l’elemento simbolico che crea una distanza – incolmabile – tra colui che la indossa e l’ambiente nel quale è inserito. In quest’ottica la scelta di indossare un’arma sembra essere il manifestarsi di una condizione emotiva che fa appunto della solitudine uno dei paradigmi con i quali provare a capire le scelte simboliche (e politiche) del sindaco.
Stefàno in questi anni si è pressoché sempre comportato da uomo solo al comando (sì fuori dagli schematismi classici dei partiti, ma produttivo di un rapporto diretto/leaderistico con gli elettori) e  comunica sensazioni di solitudine anche quando (come nello scatto in questione) è circondato da persone. Di più: le facce delle persone che lo circondano (Pelillo in primis, fino a poco fa acerrimo nemico, ora – ma non si sa per quanto – al suo fianco) contribuiscono a farci capire quanto la compagnia che attualmente lo circonda sia decisamente effimera.
La solitudine della quale parliamo non sembra però suscitare diffusi sentimenti di identificazione/ammirazione: in fin dei conti Stefàno il suo essere solo se l’è consapevolmente costruito. La pratica della solitudine il sindaco di Taranto l’ha ideata – forse addirittura come scelta politica programmatica – fin subito dopo la prima vittoria elettorale e l’ha alimentata tracciando una serie di solchi prima con le forze sociali e di movimento della città, poi anche con gli altri organi istituzionali e i partiti, quasi che amministrare una città come Taranto fosse per lui una sfida tutta personale.

La didascalia. Se indaghiamo un po’ meno banalmente l’interessante simbolismo che si presenta davanti, l’indugiare morboso intorno all’immagine può essere potenzialmente portatore di utilità. Abbiamo l’occasione di prendere visione di un rapporto in essere nella nostra città tra solitudine e pistola. Ecco, l’immagine dell’arma indossata con tanta disinvoltura da questo punto di vista risulta decisamente pericolosa, anche perché prodotta da chi avrebbe certo la possibilità, facendo ricorso ai classici mezzi di tutela istituzionale, di avere ogni tipo di tutela possibile.
Di più: si avverte anche un certo fastidio, in quanto la visione della pistola finisce per evocare, nella mente di tanti, una serie di eventi legati all’eterno ritorno delle armi nella nostra città. Uno su tutti: il ferimento di un giovane attivista, tre anni fa, all’interno dell’ex scuola Martellotta, luogo di produzione di cultura e di partecipazione critica (per altro – e qui il lungo cerchio si chiude – tutt’ora abbandonato, in attesa che la stessa amministrazione comunale adempia agli impegni assunti).
In quell’occasione gli attivisti del CloroRosso furono lucidi nel guardare oltre la pistola, provando ad aprire un discorso su come il culto della sopraffazione e della violenza siano alimentati da contesti sociali nei quali, a causa della decennale assenza di intervento pubblico, l’emarginazione e la solitudine siano per molti l’unico orizzonte di vita possibile.
In parallelo, l’immagine che ha fatto il giro del mondo del sindaco che porta in giro una pistola nei pantaloni può essere l’occasione per l’apertura di un altro ragionamento collettivo, che tenga insieme analisi dello stato attuale del potere – solitario e forse proprio per questo ancora più pericoloso –  e il clima, denso e pesante, nel quale è sorta – non casualmente – la scelta di indossare, con tanta disinvoltura, l’arma.
In ogni caso è alquanto difficile che le dichiarazione di voler abbandonare il ferro (come da lui incredibilmente chiamato in un’altra intervista) possano essere l’inizio di un percorso di uscita della propria (autoindotta) solitudine e di ripresa di contaminazione reciproca con la propria comunità.
Quel che si può fare, per tirarsi fuori dal solito ed inutile referendum pro/contro Stefàno, è provare ad applicare sotto a questa foto una didascalia collettiva prodotta da chi, fuori e contro le relazioni di gestione del potere – solitario o meno -, prova ad interrogarsi in merito a cosa rappresentino oggi, nei nostri quartieri e all’interno di una drammatica crisi economica,  solitudine e pistole, e su quali siano gli strumenti per provare a ridisegnare un’idea di comunità che sappia, con urgenza, fare a meno di entrambe.

Sotto ogni foto c’è una didascalia. Il problema non è se sia palese o implicita: il problema è chi la scrive. (Girolamo De Michele)

7 Comments

  1. Anonymous May 28, 2012 3:02 pm 

    non cerdo che ci sia da scandalizzarsi.
    Stefàno, per il ruolo istituzionale che copre, è un personaggio pubblico e allora fà “scalpore” una foto del genere.
    sono sicuro che altri personaggi pubblici e non vanno in giro armati, il fatto è che non sono ancora stati immortalati.

  2. Anonymous May 28, 2012 4:00 pm 

    C O N G R A T U L A T I O N S !

  3. Anonymous May 28, 2012 7:01 pm 

    la cosa che più mi colpisce è l’”OBBEDISCO” a Vendola che gli chiedeva di sbarazzarsene…

  4. Anonymous May 28, 2012 7:43 pm 

    Storia di una foto. La colpevole solitudine del potere

  5. Anonymous May 28, 2012 8:41 pm 

    Molto bello l’articolo che condivido. Conosco da tanti anni il sindaco di Taranto, uomo dotato di grande umanità ed altruismo. Capace di essere stato missionario con la sua professione, in gioventù, in Africa. Di essere generoso e capace nel rapporto con la gente, di essere amato senza cercarlo. Sono stato tra coloro che sollecitarono la sua scesa in campo. Ho visto ed udito, allora, testimonianze di affetto di cittadini, anche toccanti. Una mamma davanti a me affermò, lo ricordo benissimo, ” Dottore un giorno lei salvò il mio bambino, ora salvi la città”. Partecipai alla stesura del suo programma politico e basta. Sono stato critico per tutto il suo mandato ed oltre. Il personaggio che l’immagine fotografica ci consegna non lo rappresenta per niente. Ho riflettuto molto su ciò, penso che un meccanismo perverso ed antidemocratico quale è quello oramai ventennale di questo sistema elettorale non può che consegnarci ciò che di peggio ci possa essere in un uomo o in una donna, ovviamente. Infatti Cito, la Di Bello ed ora Stefano…il sindaco sceriffo (uomo di sinistra)di Salerno e tanti altri. Troppo potere in un uomo solo lo confina nella solitudine ed alla fine nella difesa di se stesso. Non sorprende la corte dei lacchè che lo hanno usato e lo useranno per poi gettarlo via quando non servirà più ai loro scopi. Cannata, Valenzi, Luigi Petroselli, Giorgio La Pira, ed altri sindaci lasciarono il segno straordinario nella storia delle loro città con minore potere e ben altri mezzi molto più democratici.
    Giancarlo Girardi

  6. Anonymous May 29, 2012 6:30 pm 

    La più lucida e onesta opinione letta in tutti questi giorni.

    Dino

  7. Anonymous June 1, 2012 4:48 pm 

    ma, solitudine e potere mi sembrano una coppia inscindibile

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