La lavagnetta di Tremonti ed il primo mostro del videogame

“La vita è un cioccolatino: non sai mai cosa ti capita”: questo fa dire nel 1994 un grande Tom Hanks a Forrest Gump, poliedrico personaggio “per caso” del film di Zemeckis; stessa cosa ogni Giovedì sera guardando Annozero: non sai mai cosa ti capita. Il 10 Marzo è capitato il Ministro dell’Economia Tremonti con i suoi “mostri”: è così che lui definisce da almeno due anni le fasi successive di una crisi ecnomica che non sembra avere mai fine.
Quando ho visto la lavagnetta e il pennarello, ho percepito l’atmosfera da grande evento – tipo Berlusconi che firma il “contratto con gli italiani” sulla scrivania in noce o Vespa cha fa indagini in diretta con annesso modellino in scala della casa di Cogne – e mi sono accomodato sul divano in religioso silenzio per assorbire gli insegnamenti del noto tributarista. Ha regalato tanti cioccolatini, Tremonti, e nessuno (dico nessuno) degli altri saggi ospiti in sala è riuscito a riconoscerne il retrogusto amaro una volta esaurita il sottile strato di cioccolato: la critica molto blanda in alcuni casi sfumava verso un’accettazione rassegnata di un ordine economico immodificabile.
In particolare il nostro Ministro ha rappresentato un’interpretazione – anche storica – delle cause della crisi economica già avanzata nel suo libro “La paura e la speranza”: un’interpretazione che, in molti suoi passaggi, non convince per niente e che perciò tenterò di analizzare con articoli settimanali. Di seguito la critica al pensiero tremontiano “mostro per mostro”. Già il primo “mostro tremontiano” necessita una trattazione in due articoli, data la quantità e l’importanza delle grandezze economiche in gioco.

Tremonti – “Ecco come la vedo io dopo tanti anni di esperienza in Italia e all’estero: fino a 20-30 anni fa la vecchia economia era reale, basata cioè sulla produzione e lo scambio di prodotti (petrolio; mais, grano frumento); vigeva il principio secondo cui la merce era scambiata contro altra merce; l’economia di scambio era limitata ad un miliardo di individui, tutti residenti nei paesi occidentali, e la sovranità della moneta era un’esclusiva degli Stati. Non esisteva finanza strutturata: su ogni dollaro (o euro) di bene reale scambiato venivano creati non più di 3-4 dollari (o Euro) di movimenti finanziari. Con la World Trade Organization – chiamata da Tremonti “World Trade” [ndr] – nasce una nuova idea di commercio e di mondo. Oggi la globalizzazione ha allargato l’economia di mercato a 4 miliardi di persone con 20 Euro di attività finanziarie per ogni euro di produzione e scambio di economia reale. Queste operazioni finanziarie sono trans-nazionali, sfuggono al controllo degli Stati poiché avvengono in tempo reale grazie alle nuove tecnologie informatiche. Ciò è successo perché la moneta [intesa come potre d’acquisto in senso lato - ndr] è andata fuori dal controllo degli Stati: tutto ciò è possibile grazie ai derivati “over the counter”, prodotti finanziari senza regolamentazione. Negli Stati Uniti è successo un incidente (il fallimento della banca d’affari Lehman Brotthers) ed il sistema è andato in tilt, determinando una caduta di fiducia con il blocco degli scambi internazionali. Poi, lentamente, il sistema si è ripreso con operazioni finanziarie – non politiche – che non hanno riguardato le banche italiane, molto tradizionali e poco legate a strumenti finanziari complessi. Gli italiani risparmiano, non abbiamo avuto problemi in finanza. Ma io ho detto e scritto in sedi ufficiali che i soldi dei contribuenti non sono stati utilizzati per salvare i cittadini (come nel New Deal di Roosvelt), ma sono stati utilizzati per salvare le banche e la finanza. Da noi non è stato così, per fortuna; in altri paesi i governi avrebbero potuto decidere di nazionalizzare le banche e, anche se non è ancora il momento, qualcuno dovrà rendere conto alla storia e ai popoli di ciò che è stato fatto in questi anni. Oggi il primo mostro, costituito da questa massa di rischi in derivati, non è ancora stato sconfitto perché il controvalore dei derivati in circolazione è tornato al livello del 2007 ”.

Commento: Tremonti abbraccia in toto la cosiddetta “teoria della natura finanziaria” della crisi cominciata nel 2007 con i mutui sub-prime ed esplosa in modo palese con il fallimento Lehman nel week-end di metà settembre 2008. E’ una spiegazione della crisi attuale che Alberto Alesina e Francesco Giavazzi – rispettivamente professori di politica economica all’Università di Harvard ed alla Università Bocconi di Milano – illustrano nel loro libro “La crisi”, avanzando anche le proprie ricette per uscire dalla situazione. La crisi economica deriverebbe da una crisi finanziaria, nata a causa del mancato controllo degli Stati sulle banche: l’avidità e l’ingordigia di qualche decina di banchieri (al massimo qualche centinaio) avrebbe causato la scintilla in grado di far scoppiare la bomba che avrebbe minato alla base anche l’economia reale.
Appare corretta l’analisi di Tremonti circa l’attuale rischio del sistema finanziario legato alla grande massa di prodotti derivati in giro per il mondo: attualmente solo quelli regolamentati equivarrebbero all’intero PIL mondiale (50-60.000 miliardi di Dollari) mentre quelli non regolamentati ammonterebbero a circa 6-7 volte il Pil mondiale. Si tratta di stime effettuate dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca dei Regolamenti Internazionali, ma non c’è certezza, proprio perché i derivati “over the counter” non sono pubblicizzati per definizione (sono accordi tra privati molto spesso conclusi telefonicamente). Il valore di questi prodotti finanziari può anche azzerarsi, quindi Tremonti ha ragione nell’affermare che il rischio è sempre lì.
Il seguito del ragionamento tremontiano, però, mi sembra troppo semplicistico ed unidirezionale. La deregolamentazione dei mercati finanziari non è una novità degli ultimi 20 anni: la globalizzazione e lo sviluppo di un mercato finanziario più grande hanno determinato soltanto un’amplificazione ed un aumento di frequenza delle crisi economiche registrate negli ultimi anni. Già nel 1637 scoppiò la prima bolla finanziaria di cui si abbia notizia, la bolla dei tulipani, e cominciò come cominciano tutte le bolle finanziarie con o senza prodotti derivati: attraverso un aumento vorticoso delle contrattazioni su un qualsiasi tipo di bene con conseguente inverosimile aumento dei prezzi. Nel 1637, in particolare, i tulipani erano già venduti dai produttori ancora prima della semina, solo su promessa futura di consegna di un bene non dico non finito, ma neanche ancora prodotto. Si può tranquillamente affermare che le vendite con consegna futura – ciò che oggi chiameremmo futures o, con una semplificazione, derivati – sono sempre esistiti. Nel 1637 non si chiamavano così, però, perché non era ancora nata una teoria finanziaria e numerica dei derivati.
Ancora: il rapporto 20 a 1 tra attività finanziarie ed attività reali del periodo pre-crisi – questo rapporto è definito tecnicamente “leva finanziaria” – è esattemente identico a quello vigente nell’economia statunitense secondo tutti i libri di storia economica quando si parla del 24 ottobre 1929, primo giorno di crollo del mercato borsistico statunitense; in due mesi il mercato azionario statunitense perse il 50% del suo valore ed il 90% nei successivi 4 anni. Anche nel periodo della Grande Depressione non esistevano derivati; la gente della classe media prendeva i soldi a prestito dalle banche per investire in borsa nella convinzione che il mercato azionario sarebbe sempre salito: scommetteva in borsa a debito. Ora, i famosi derivati “over the counter” di Tremonti sono contratti in cui una controparte assume rischi 20 volte maggiori rispetto ai soldi che ha anticipato. Investe a debito, appunto.
Sono tutte informazioni che un Ministro dell’Economia e delle Finanze dovrebbe conoscere. Le gravi crisi economiche – quelle che non vengono superate nel giro 2-3 anni ma sono di sistema – si presentano tutte come crisi finanziarie e sono certamente accelerate dalla deregulation, cioè dalla mancanza di adeguato controllo da parte degli Stati sulle modalità e le finalità con cui gli istituti finanziari prestano i soldi. Ma rimangono crisi economiche, che hanno cioè solide basi reali.
Tremonti sembra voler sottoporre le banche al controllo pubblico e conferisce certamente una connotazione negativa al termine “derivati”: si tratta di un artificio che copre la realtà delle cose reali; sono d’accordo con lui.
Esiste però un Giulio Tremonti che, con la legge 401/2001, creò in Lussemburgo una società chiamata SCIP (Società di Cartolarizzazione Immobili Pubblici) dotata di 10.000 Euro di capitale e vi trasferì 27.500 immobili pubblici di INPS, INPDAP, INAIL; la società venne presieduta da uno sconosciuto cittadino scozzese (tal Gordon Burrows) e venne controllata da due fondazioni olandesi; questa società ebbe il compito di emettere obbligazioni garantite dal patrimonio acquisito dagli enti statali italiani – patrimonio “nostro” – e dalla future entrate previste a seguito di vendita degli immobili ai privati. La SCIP1 fu seguita dalla SCIP2 (62.800 immobili in vendita) che si risolverà in una perdita per gli enti previdenziali (e quindi per lo Stato) di 1,7 miliardi. Questo Giulio Tremonti del 2001 è lo stesso Giulio Tremonti di Annozero: nel 2001 fu colui il quale introdusse per primo uno strumento di finanza derivata (o creativa) su attività reali dello stato italiano. La SCIP 1 permise poi ad alcune banche private (BNL, Citigroup, JP Morgan, Banca Imi, Deutsche Bank, ABN Ambro) di accaparrarsi immobii di gran pregio a prezzi stracciati, lasciando invenduti – perché valutati troppo – immobili scadenti. A quei tempi le banche private non erano ancora il cancro della società secondo la rappresentazione che il Ministro ci consegna.
La reale causa della crisi economica è il crollo dei consumi finanziati a credito; per dirla in maniera differente la crisi finanziaria del 2008 – esattamente come il crollo di borsa del 1929 – ha fatto venire a galla il vero problema: gran parte dei consumi degli ultimi 20-30 anni sono stati finanziati dai prestiti bancari; la gente si è indebitata per continuare a sostenere il proprio tenore di vita nell’illusione di poter mantenere il proprio livello di reddito reale nel tempo.
E’ curioso come Tremonti non abbia memoria storica del crollo della produzione di autoveicoli negli Stati Uniti nel trimestre immediatamente precedente al crollo di borsa di Ottobre 1929 (da 662.000 a 419.000 unità). A quei tempi il mercato americano era il più importante e grande del mondo e le autovetture erano il bene durevole di consumo per antonomasia, il bene che misurava il benessere di una collettività. Eppure il nostro Ministro dell’Economia non lo sa.
Il nostro Ministro conosce i dati relativi al controvalore di derivati in giro per il mondo ma non conosce i dati Ocse relativi alla riduzione dei redditi da lavoro su PIL totale dal 68% al 52% nel giro di 40 anni; in sintesi: i redditi reali dei lavoratori dipendenti si sono ridotti e soprattutto, si è ridotta la loro quota sul totale del reddito di una collettività distribuito sotto forma di compensi lavorativi.
Da questo punto di vista le crisi economiche epocali (e lunghe) sono facilmente spiegabili come crisi da consumo – il consumo di un’economia sviluppata è mediamente il 60% del Pil di quella collettività quando 30 anni fa era il 70% del Pil della stessa; a loro volta le crisi da consumo sono crisi da reddito di lavoro dipendente.
Inizialmente queste crisi sono mascherate dai prestiti bancari, ma quando per un qualsiasi intoppo “finanziario” il bubbone viene a galla e le banche chiedono il rientro dei prestiti o non prestano più, il sistema economico si inceppa e la crisi vive momenti successivi di avvitamento su se stessa. Nel 1929 il crollo della produzione di autovetture era dovuto al crollo di domanda delle stesse e la spia della crisi economica fu il giovedì nero della borsa americana. Nel 2008 il sistema perverso dei mutui subprime e il fallimento Lehman furono la spia della crisi da bassi redditi mascherata da prestiti facili. Ma Tremonti queste cose non le disegna sulla sua lavagnetta.