Che ne sarà dell’Università a Taranto?

di Remo Pezzuto*

La contro-riforma Gelmini e i tagli imposti dal Ministro dell’Economia Tremonti alla spesa pubblica hanno messo in ginocchio in questi ultimi anni, dal 2008 ad oggi, tutto il sistema universitario pubblico nazionale. L’università pubblica, a causa alle scelte politiche del Governo Berlusconi, conosce oggi il suo momento più buio: i fondi erogati dallo Stato si sono ridotti ai minimi termini, la ricerca e i ricercatori sono sempre più precarizzati e il Diritto allo Studio ormai è rimasto soltanto una norma presente nella carta costituzionale – dove si dispone l’erogazione delle borse di studio e delle provvidenze per i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi, mentre in realtà i più alti gradi degli studi sono diventati una conquista di pochi privilegiati.

Alla base di tutto ciò, stando alle parole di chi ci dovrebbe rappresentare, vi è la crisi economica che sta investendo tutto il mondo. Eppure, mentre in Italia il Governo investe nell’università e nella ricerca pubblica solo l’1,2% del PIL nazionale, altri stati come la Francia e la Germania investono il 5% e 6%, mentre i paesi socialdemocratici scandinavi investono più del 7%. Questo perché in un momento di crisi economica, la scelta di un governo dovrebbe essere orientata a finanziare la formazione dei giovani del suo paese e soprattutto la ricerca – il solo strumento che può permettere di elaborare vie di uscita dalla crisi nel senso di un reale sviluppo culturale, scientifico ed economico.

Ma questa non è l’idea del Governo Italiano, che in realtà dal 2008 ha tagliato 1.500.000 di euro al FFO [Fondo di finanziamento ordinario, ndr] dell’Università Pubblica Italiana, determinando così una contrazione dei servizi, della spesa per la didattica, delle strutture. Se a questo aggiungiamo poi la contestata riforma, ormai Legge 240, che privatizza l’università pubblica, ridisegnandone la governance (viene permesso l’ingresso di privati all’interno dei Consigli d’Amministrazione) e il taglio dell’89% del Fondo Integrativo per il Diritto allo Studio il quadro della situazione è chiaro. Lasciare che all’università acceda chi solo se la potrà permettere. Rischia così di affermarsi una separazione fra una Università “Pubblica-Privata” con pochi fondi (e tasse alte), zero servizi, una didattica di scarsa qualità e quindi una cattiva formazione e una Università Privata che invece continuerà a ricevere fondi statali nonostante i massicci investimenti di imprese e privati, nonché rette pagate da famiglie facoltose.

Maggiormente penalizzati da questa pessima operazione politica sono stati soprattutto i piccoli Atenei e le sedi distaccate. L’Università a Taranto, per quanto nasca come decongestione dell’enorme appartato di docenti e ricercatori dell’Università degli Studi di Bari, dagli anni novanta ad oggi ha acquisito un suo radicamento nel territorio e una ragione d’esistere. Il Polo Universitario Ionico è diventato un punto di riferimento per numerosi studenti non solo della stessa città di Taranto o della Provincia, ma anche di regioni vicine. Sicuramente si è sbagliato a non investire sin dall’inizio in servizi e strutture che avrebbero agevolato e accolto gli studenti..

Per quanto la proliferazione dei corsi di laurea nelle sedi universitarie più recenti rischi di dispedere i finanziamenti statali, il Polo Universitario Ionico ha permesso a molti ragazzi privi di mezzi economici di conseguire un valevole e qualificato titolo di studio, contribuendo allo sviluppo culturale della Città. Nonostante le amministrazioni comunali e provinciali negli ultimi anni non abbiano colto a pieno la possibilità di rinnovamento che sarebbe derivata all’intera economia dell’area da una presenza massiccia dell’Università sul suolo tarantino, sono stati messi in cantiere numerosi progetti di sviluppo. Fra questi, l’autonomia di tre Facoltà (Scienze MM.FF.NN, Giurisprudenza ed Economia) dall’Ateneo di Bari e una dal Politecnico (Ingegneria), oltre all’attivazione di corsi distaccati di delle Facoltà di Lettere e Filosofia, Scienze della Formazione, Medicina e Chirugia (Professioni Sanitarie) e Medicina Veterinaria (Maricoltura) e una presenza sul territorio di più di 6000 studenti di cui un 10% fuorisede.

Ma i numerosi progetti strutturali, di servizi, di diritto allo studio e di miglioramento della didattica, dal 2008 hanno visto una brusca frenata, dovuta prevalentemente ai tagli dei finanziamenti operati dal governo e poi alle numerose circolari ministeriali (160 del Miur e Dm 270/2004 e 17/2010) che hanno ridisegnato il panorama didattico delle Università Italiane, facendo chiudere a Taranto proprio i corsi più qualificati, come Lettere e Culture del Territorio, Ge.Ri.Ma.Co., Maricoltura, Fisioterapia, Ingegneria Ambientale e tanti altri poi accorpati. Questi erano unici non solo nel territorio pugliese, ma in tutto il Sud Italia. I trasferimenti e la costruzione delle strutture universitarie, come sedi, mense e casa dello studente, che permetterebbero un reale sviluppo universitario nella nostra città, sono stati fermati a causa della mancanza di fondi; e persino l’erogazione e la copertura di borse di studio, che a Taranto si aggirava al 100% dei richiedenti, nell’accademico 2010/2011 ha visto un crollo del 30%.

Nel 2010 si è registrato il dato più alto della recessione del Polo Universitario Jonico e l’anno in corso non promette bene. La Legge 240 imporrà a tutte le Università italiane un ridimensionamento delle Facoltà, e questo accadrà anche a Bari, dove attualmente si contano 15 facoltà, incluse le 3 autonome a Taranto, a fronte di un tetto massimo previsto dalla nuova legge di 12. Non è difficile prevedere quali di queste sono destinate a chiudere. Ma ancor prima che si insedi la Commissione Statuto – l’organo che andrà a ridisegnare lo scheletro dell’Università di Bari – varie ipotesi iniziano a circolare, fra le quali ve n’è una che pare farsi largo con sempre maggiore forza, stando alle esternazioni dei Presidi di Facoltà e professori tarantini. L’università degli Studi di Bari si dividerà in Scuole (unione dei Dipartimenti con i Corsi di Laurea), così come previsto dalla Legge Gelmini, in cui la ricerca sarà affiancata dalla formazione. Per quanto questa ipotesi possa avere dei lati positivi, nulla di tutto ciò è però previsto per il Polo Universitario Jonico, dove oltre alla perdita dell’autonomia delle Facoltà tarantine (ad eccezione di Ingegneria del Politecnico di Bari) e all’ulteriore riduzione dei corsi di laurea, si prevede solo l’istituzione di una Scuola Ionica, nella quale rientreranno i corsi di laurea di Giurisprudenza ed Economia, uniti al Dipartimento Jonico, che raggrupperà gli altri corsi di laurea presenti nel territorio – presentandosi come un grande calderone all’interno del quale potremo trovare di tutto. La qualità della didattica e dalla formazione in questo senso ne risentirà tantissimo ed oltre ai problemi già legati alla mancanza di laboratori e biblioteche, ci si vedrà costretti a fare i conti con un Dipartimento privo di sovvenzionamenti e luoghi dove condurre e fare Ricerca.

Il Polo Ionico assumerà così solo la parvenza di una reale università: i baroni locali si divideranno le cattedre e i pochi soldi che arriveranno, a discapito delle studentesse e degli studenti tarantini. A questo però dobbiamo aggiungere la volontà degli enti locali di istituire una Fondazione da affiancare all’università, all’interno della quale ci saranno le associazioni di categoria, le imprese e le società, che faranno in modo che il Polo Ionico diventi un mero ufficio di collocamento o di sfruttamento degli interessi privati, invece di essere un libero centro di crescita culturale, economica e scientifica della città.

Bisogna intendere l’Università e il Polo Ionico invece come luoghi di rinnovamento, come fari illuminanti per nuovi meccanismi di produzione nella nostra città, partendo dalla formazione e non dalle esigenze delle aziende. I fenomeni di iperspecializzazione hanno trasformato l’enorme massa dei corsi di laurea nati in questi dieci anni in continuazioni dei licei. La didattica universitaria è stata indebolita a favore di percorsi di studio che avrebbero dovuto essere immediatamente professionalizzanti, ma che in realtà si sono rivelati difficilmente spendibili. Nei Corsi di Laurea tarantini oggi sono sempre più stretti i tempi di studio, che impongono di dare priorità alla rapidità a discapito della qualità della didattica. Nell’università a catena di montaggio non c’è spazio per la vita, per gli interessi, per l’approfondimento. Dobbiamo perciò rivendicare con forza una formazione di qualità, una valutazione seria ed affidabile delle competenze di ciascuno, con tempi di studio compatibili con la vita e con la condivisione di un sapere cooperativo all’interno del contesto cittadina.

Bisogna rivedere completamente l’offerta formativa tarantina, anche in un ottica di Confederazione degli Atenei del Sud-Est, dove vi è necessità di una diversificazione dei corsi di studio rispetto a quelli delle altre città. Andrebbero offerti percorsi unici nel panorama nazionale – o quanto meno meridionale –, che attirino le studentesse e gli studenti provenienti dalle altre regioni e che permettano di avere una formazione completa, con una ricerca libera da ogni logica di mercato. La valorizzazione e lo sviluppo dell’Università e della Ricerca nel nostro territorio dovrebbe puntare all’elaborazione di progetti articolati di riconversione culturale ed economica dell’intera area. E’ necessario perciò costruire delle infrastrutture specifiche che permettano a docenti, ricercatori e studenti di poter svolgere i loro lavoro e di potersi formare praticamente grazie alla presenza di biblioteche e laboratori scientifici e multimediali, che garantiscano una didattica e una ricerca d’eccellenza.

L’attenzione degli Enti territoriali e locali dovrebbe guardare alla valorizzazione dell’Università e degli studenti, che andrebbero considerati come cittadini e quindi come risorsa per il presente e il futuro. Questi andrebbero sostenuti elaborando forme di welfare municipale che facilitino la mobilità, varando politiche abitative che agevolino gli studenti fuorisede, promuovendo l’accesso alla cultura anche al di là dei luoghi classici della formazione, favorendo la partecipazione e la creatività giovanile, sperimentando forme di micro-reddito e un sistema di sostegno per il diritto allo studio. E infine, poiché nella nostra città si assiste al degrado delle aree urbane, causato dalla dall’assenza di luoghi di aggregazione, sarebbe importante investire nella capacità di socializzazione degli studenti: questi rendono vivo un territorio e costituiscono un presidio culturale e civile per una legalità democratica che emerge dal basso.

* Coordinatore del sindacato studentesco Link Taranto