Garageland*

 

di Cosimo Spada

Facciamo in fretta che devo andare a fare gli sgambetti alle vecchie di Talsano, sopratutto quelle dannate punk coi capelli blu o viola.+
Sui garage la mia esperienza si riduce a quella volta in cui un tizio nascose un pezzo di fumo dentro il mio motorino: io e un mio amico passammo un pomeriggio intero nel mio garage a cercare di estrarlo. Ci aiutò anche mio padre, che credeva stessimo cercando una chiave finita dentro il motorino da un buco nella carena. Quel pezzo di fumo se lo trovò in mano mio padre, e noi gli facemmo credere che fosse solo fango. Caro papà, ovunque tu sia adesso, era fumo quello, ma io non ero uno spacciatore: furono gli eventi avversi a condurmi a quella situazione.

Questo sembra tanto l’inizio di un romanzo di Palahniuk, ma mi serve solo per introdurre l’argomento di “Perle ai porci” di oggi, oltre ovviamente a riempire la pagina.

Ebbene, se io al massimo ho vissuto nel mio garage un’avventura che potenzialmente poteva farmi visitare le patrie galere prima della mia elezione al parlamento, per altri ragazzi invece i garage sono stati il luogo dove fare casino dopo cena, oppure per costruire una carriera.

Parlo del così detto Garage Rock.

Probabilmente l’architetto che inventò la tipica casa americana, con annesso garage, non avrebbe mai pensato che questi sarebbero stati utilizzati come sale prove per tanti ragazzi. Da lì viene la denominazione di questo tipo di rock. Che si connota (ebbene sì, ho usato la parola “connota”) per il suono grezzo e aggressivo, oltre che per l’estrema semplicità delle composizioni. Negli anni ’60, orde di ragazzini, dopo la nascita del rock volevano mettere su una band, e con la relativa economicità degli strumenti si poteva ulteriormente risparmiare sulla sala prove suonando nei propri garage.

Con pochi accordi in mano, e una voce passabile, avevi una band; le case discografiche, in quel periodo affamate di nuove band da lanciare, erano sempre pronte a scritturare un gruppo, anche se poi questo incideva solo un 45 giri e poi spariva.

Molte di queste band sarebbero state dimenticate se non fosse per un culto sotterraneo, a cui modestamente sono felice di appartenere, che le ha salvate grazie ad una serie di compilation entrate anche loro nella leggenda.

Ne segnalo tre, le migliori:

  • la prima è la famosissima Nuggets: Original Artyfacts from the First Psychedelic Era, 1965–1968, uscita nel 1972 e curata da Lenny Kaye, chitarrista di Patti Smith. Al suo interno è possibile trovare il meglio del garage rock dell’epoca, in alcuni casi anche band che hanno avuto una vera carriera: penso agli Amboy Dukes, che saranno poi il trampolino di lancio per il loro chitarrista Ted Nugent, o i leggendari e selvaggi The Sonics.
  • The Pebbles series. Già qui le cose si fanno oscure; questa compilation, uscita con diverse raccolte a partire dal 1978, scava negli scaffali polverosi delle case discografiche riportando alla luce molte band che hanno avuto all’attivo magari un paio di 45 giri e per lo più cover, ma vi sfido a rimanere fermi sentendo la versione di Who Do You Love di Bo Didley rifatta dai Preachers: sfida impossibile.
  • Back from the Grave, pubblicata dalla Crypt Records, a partire dagli anni 70. È il caso di dire che qui si è raschiato il fondo del barile. Ma non in un’accezione negativa. Per mettere su questa compilation hanno davvero ricercato le band più oscure, in alcuni casi andando a trovare le band famose solo nelle loro città, o che non avevano pubblicato neanche un disco, ma avevano solo demo. Non è la mia preferita ma è molto apprezzata tra gli appassionati.

Alcuni critici hanno voluto vedere nel Garage Rock l’antesignano del punk, e al riguardo parlano di “proto punk”.

Per me però l’essenza del Garage Rock sta tutta in un particolare della canzone Louie Louie dei Kingsmen, cover di un pezzo black di Richard Berry. Jack Ely, cantante della band, dopo l’assolo di chitarra sbaglia clamorosamente l’attacco della terza strofa. E’ tutto registrato, non ci vuole un orecchio fino per capirlo, è davvero plateale: sembra quasi di vedere il resto della band che lo guarda male per l’errore. Ma intanto la registrazione rimane quella. Perché i soldi sono pochi per un’altra registrazione, perché magari molti non ci faranno caso, perché questo è rock n’ roll e facciamo come cazzo ci pare.

Oggi Salvatore, mio direttorissimo, mi ha detto che Siderlandia va in ferie, dato che ci ritroveremo sicuramente tra qualche mese; è inutile che butti giù smancerie varie e salamelecchi vari. Ascoltate buona musica e ci vediamo presto.

Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo:

Interpol, Antics, 2004

tanto caldo

*: Questo articolo è ispirato al celebre articolo Psychotic Reactions and Carburator Dung, di Lester Bangs (1948-1982) del 1971. L’articolo è contenuto altresì in Guida Ragionevole al Frastuono più Atroce, Greil Marcus (a cura di), Minimum Fax, Roma, 2005, p. 35. Caldamente consigliato