Dove sono finiti i clandestini che ci venivano a rubare?

di Massimiliano Martucci

Nei primi giorni di marzo è stato pubblicato da parte dell’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza un rapporto sulla sicurezza e sulla percezione di essa. I dati non sono per nulla rassicuranti. In percentuale la paura presso i cittadini europei è cresciuta nell’ultimo anno. Il rapporto però descrive le diverse paure che vivono ora i cittadini. Al primo posto è un timore legato al lavoro, quindi quello legato alle difficoltà economiche e infine quello legato alla criminalità vera e propria, come la paura di subire un furto. Evitando di dare percentuali, che si possono leggere nel rapporto completo (a questo link), la parte interessante riguarda la percezione e i racconti mediatici legati ai temi del sondaggio. Il rapporto infatti analizza la qualità e la quantità di informazioni di cronaca nera, di cronaca politica o economica e l’oscillazione della percezione della sicurezza da parte dei cittadini.

Tra tutti i dati raccolti, uno in particolare suscita il nostro interesse ed è quello che riguarda la “serializzazione della criminalità” ovvero il racconto dei fatti di cronaca come se fossero episodi di un serial televisivo, “una criminalità senza narrazione emergenziale”,   ovvero le rapine accadono ed è un fatto ineluttabile. La cronaca nera raccontata con gli stessi toni di una puntata di CSI, telegiornali che si aspettano seduti sul divano come fossero puntate di una fiction. Una strategia di narrazione piena di vittime ma in cui mancano gli antagonisti, i cattivi, che è quanto meno sospetta, perché basta ricordarsi quanto accadeva   nel 2006/2007/2008 e non è difficile rendersi conto che in quegli anni tutto quanto succedeva era colpa degli immigrati clandestini, poco importa se fossero rom, maghrebini o albanesi. All’epoca ogni episodio di cronaca nera aveva per autore un immigrato, o un presunto tale. La strategia era ovviamente funzionale ad una campagna elettorale permanente di una parte politica che aveva fondato il suo successo sull’insicurezza delle persone. Ora invece, secondo la ricerca, manca un filo conduttore tra tutti gli episodi che possa in qualche maniera spiegare, rendere “giustificabile” l’escalation. Eppure, anche se i media non ne parlano esplicitamente, per strada si dice che dipende dalla povertà che avanza, dalle difficoltà, quindi dalla crisi. Secondo il rapporto la causa della crisi per gli italiani è la speculazione, una non ben definita attività dell’uomo che non si sa come si fa né tanto meno chi la fa. A differenza che negli altri paesi europei, in cui la crisi è prodotta da precise scelte politiche, in Italia la crisi è ineluttabile tanto quanto le rapine e pazienza se entrambe sono frutto di deliberate scelte delle persone.

L’operazione, che potrebbe essere definita di “occultamento delle responsabilità”, è strumentale alla costruzione di un sentimento pubblico di insicurezza diffusa a cui bisognerà dare una risposta, prima o poi. O meglio, prima o poi accadrà che le persone chiederanno esplicitamente più sicurezza, spaventati da un susseguirsi di crimini violenti, senza soluzione di continuità, che genereranno paura ma da cui non si sapranno difendere perché le cause (la miseria prodotta dal sistema capitalista) saranno occultate, o meglio, non se ne parlerà. La paura pretenderà leggi più rigide, in una spirale viziosa che farebbe perdere sempre più terreno ai diritti democratici. La libertà, si sa, è l’opposto della sicurezza e più c’è l’una, più l’altra si assottiglia. Basterebbe citare Ciampi che, durante la festa della Polizia del 2002, disse: “In un contesto internazionale caratterizzato da eventi di inaudita gravità, come l’attacco alle Torri Gemelle di News York e l’aspro conflitto in corso in Medio Oriente, il bene della sicurezza assurge a una posizione sempre più elevata nella scala dei valori”.

Cittadini, rimanete a casa, è per il vostro bene.