Taranto tra ambiente e lavoro. La sfida di Bonelli

di Roberto Polidori

Di questi ultimi 20 giorni di “normale campagna elettorale tarantina” ricorderò in particolare tre frasi per tre motivi: 1) mi hanno colpito; 2) possono costituire un buon catalizzatore per un ragionamento; 3) proiettano il “problema Taranto” in una dimensione nazionale e, forse, internazionale.

1) “Abbiamo riposto tante speranze in Vendola, tanti di noi hanno votato Ippazio Stefano e siamo rimasti delusi”.

Queste sono state le parole di Alessandro Marescotti, decano dell’ambientalismo tarantino (e non solo), nella conferenza stampa congiunta tenuta in un assolato sabato mattina di qualche settimana fa: in occasione della stessa conferenza stampa, indetta da Aria Pulita, il “cartello dei cartelli” ha deciso di offrire appoggio elettorale ad Angelo Bonelli, il Presidente italiano dei Verdi.

Diciamocelo: i resoconti di un qualsiasi quotidiano locale – ma qualche quotidiano va più nel dettaglio – raccontano di un Sindaco e di un Presidente della Regione che, negli ultimi giorni, tentano di recuperare in chiave elettorale; in tal senso la lettera aperta di Paola D’Andia vale la pena di essere letta.  E’ un film già visto a livello nazionale ed internazionale: le classi dirigenti non gestiscono più la “crisi” – che è insieme “crisi economica”, “crisi ambientale” e “crisi di valori” –, vengono contestate duramente (siano esse di destra o centro-sinistra) e si affidano a governi tecnici ai quali le stesse forze politiche in campo abdicano momentaneamente il potere, lasciando loro il compito di attuare quelle scelte “politicamente impopolari”, ma condivise dagli stessi figuri di sempre che restano dietro le quinte. E’ chiaro che governi “tecnici” non esistono, perché non c’è niente di più “politicamente scorretto” di un banchiere che decide le attività produttive di un paese, di una banchiera che decide le politiche sociali senza consultare le controparti, o di un economista di estrazione liberista che azzera i diritti del lavoro, considerando quest’ultimo come un mero fattore produttivo, il cui prezzo (il salario) dipende da incrocio tra domanda ed offerta. La democrazia è sospesa in tutta Europa: le riforme pensionistiche e del lavoro di tutti i paesi del Sud-Europa ne sono la testimonianza, come l’ideologico tentativo di cancellazione dell’Art. 18 dallo Statuto dei Lavoratori.

L’attacco all’ambiente (la cui tutela è sancita dall’art. 32 della Costituzione) è solo uno degli importanti “vulnus” ai diritti individuali e collettivi inferti in nome delle crisi; con la scusa della necessità di favorire le attività produttive in tempi in cui c’è poco business questo governo tecnico, forse peggio di quelli precedenti, sta letteralmente ignorando a livello nazionale il diritto alla salute. Naturalmente a Taranto, chi si occupa di ambiente parte dalla tutela dell’ambiente (la salute prima di tutto) e organizza il “resto” sulle basi di questa sacrosanto diritto.

Eppure, scrive il giornalista Loris Campetti : ” L’attacco alla democrazia si può declinare in tante lingue diverse: quella degli operai incatenati; quella dei giovani senza diritti allo studio, al reddito ed a un lavoro che non sia di merda; quella dei beni comuni violati e mercificati; quella di chi non vuole finire sotto un treno che corre troppo veloce travolgendo ogni presidio; quella di chi aveva raggiunto il diritto alla pensione e non glie la danno o di quelli che ce l’hanno e glie la sterilizzano o che temono di non avercela mai. Quando il mercato detta legge la democrazia viene rottamata a scuola, in fabbrica, nelle edicole. Per questo studenti, precari, pensionati, popolo No TAV e attivisti dell’acqua e dei beni comuni ieri [Venerdì 9 Marzo ndr]  sfilavano per le strade di Roma insieme alle tute blu (gli operai ndr): hanno capito che il nemico è comune, è il pensiero unico e loro non cantano nel coro. Non si limitano a difendersi e a resistere, pretendono di orientare l’uscita dalla crisi con regole diverse da quelle che l’hanno provocata. Vogliono un diverso modello di sviluppo, socialmente ed ambientalmente compatibile”.

2) La seconda frase la prendo in prestito da FB; non citerò la fonte perché probabilmente il valore che attribuisco alla stessa è un po’ diverso da quello di cui l’autore intende investirla: “vorrei essere ignorante per non capire l’aria che respiro”.  Dato per scontato che a Taranto certamente operai e ambientalisti non sfilano insieme in corteo, ritengo che gli operai ILVA sappiano abbastanza bene cosa respirano; Bonelli ha detto che “dividere” è il metodo più vecchio del mondo per imperare. Sta succedendo un po’ dappertutto ed in ogni contesto: giovani precari contro pensionati “ultragarantiti”, gente coperta dall’art. 18 contro gente non coperta dall’Art. 18.

E’ una cosa brutta e dannosa.

3) Angelo Bonelli – ecco la terza frase – è andato al sodo in occasione della sua adesione alla proposta di candidatura a Sindaco di Taranto: “il nostro sarà soprattutto un programma economico e politico, il problema Taranto diventerà di dominio nazionale”. Ha ripetuto questa frase per ben due volte durante l’accaldato bagno di folla di giovedì scorso.

La libertà dell’uomo si esplica attraverso la realizzazione delle proprie potenzialità intellettuali e manuali; il diritto ad un lavoro sano e dignitoso significa autosufficienza, libertà di pensiero e di espressione allo stesso tempo: ci sarà un motivo se i padri costituenti hanno ideato e strutturato la nostra Carta cominciando con l’Art. 1 dopo l’era fascista. Bonelli è andato oltre: ha avanzato l’ipotesi di un brain storming permanente di economisti di livello internazionale in grado di progettare una riconversione economica del polo siderurgico tarantino in un sito di attività terziarie e di trasformazione a più alto valore aggiunto sull’esempio fornito da Pittsburgh. L’intento è chiaro e condivisibile: conseguire l’indifferibile abbattimento delle emissioni inquinanti salvaguardando i posti di lavoro che andrebbero “riconvertiti” nelle citate attività a più alto valore aggiunto.

Un discorso di non facile attuazione a causa di una pletora di differenze tra la Pittsburgh degli anni ’80 e la Taranto del 2012: la crisi dell’acciaio americana era essenzialmente legata, all’indomani dello shock petrolifero, alla concorrenza internazionale di acciai notevolmente “più a buon mercato”; si trattava, però, di normale crisi ciclica, non di una crisi “strutturale” come quella attuale che è molto simile alla crisi del 1929 (qui vengono giù tutte le grandezze economiche e tutti i settori produttivi e verrano giù per diversi anni). In questo contesto, poi, non dobbiamo scordarci che Taranto è in Italia, uno di quei paesi “porci” (P.I.G.S., appunto) che Fondo Monetario Internazionale, Commissione Europea e Banca Centrale Europea hanno commissariato per mezzo di governo tecnico, il cui principale obiettivo è quello non solo di tenere ben cuciti i cordoni della borsa – il pareggio di bilancio in Costituzione corrisponde alla perdita di sovranità economica dell’Italia – ma anche di tagliare ulteriormente i trasferimenti ai comuni, di azzerare i servizi pubblici (sanità inclusa) e di abbattere i salari monetari dei lavoratori dipendenti [si chiama deflazione salariale ndr]. Per informazioni in merito basta chiedere al popolo greco, a quello portoghese, a quello lituano, quello lettone e, da ieri, a quello spagnolo.  Economisti di fama mondiale (il premio Nobel Krugman in particolare) hanno parlato di “mezzogiornificazione dell’Europa” giusto per dirci che è l’Italia tutta, non solo Taranto, ad essere in condizioni economiche disperate. La criticità “in più” di Taranto è l’immenso problema ambientale, al quale si oppone uno stipendio medio del dipendente ILVA sicuramente più alto della media italiana, frutto di un contratto integrativo firmato nel 2007 dopo uno sciopero unitario; é uno dei pochi impianti industriali italiani di grandi dimensioni ancora allocati sul territorio italiano.

A favore della permanenza di ILVA ci sono: dimensioni dell’impianto che permettono la realizzazione di economie di scala, ricatto occupazionale evidente a tutti, assenza di “intenzioni di spesa” di un governo messo lì solo per tagliare tutele e diritti, un rapporto privilegiato Monti – Passera – Riva che, credo, non sfugga proprio a nessuno, la paura dei lavoratori di abbandonare il certo (lo stipendio alla diossina dell’ILVA) per l’incerto (la promessa di una riallocazione a seguito di riconversione).

Sull’altro piatto della bilancia ci sono: l’intellighentia ambientalista tarantina, le perizie che certificano lo scambio lavoro-maggiori malattie, il deterrente rappresentato dai risarcimenti pecuniari richiesti all’ILVA.

Soprattutto ora c’è Bonelli, che garantisce visibilità e avrà bisogno di soldi pubblici; Bonelli sa che le riconversioni di Cornigliano e Bagnoli (rispettivamente 900 e 2000 dipendenti) non sono andate granché bene e lo sanno anche gli operai. L’aspirante Sindaco di Taranto, in caso di vittoria, avrà bisogno di fare qualcosa di eccezionale per tenere fede al programma di riconversione: costringere l’ILVA a pagare risarcimenti miliardari o – facendo “politica” come ha preannunciato –reimpostare la politica economica italiana, (perché pensare a qualcosa di diverso da ILVA a Taranto significa cancellare un terzo della produzione di acciaio italiano e quindi modificare il volto dell’industria italiana): dovrà far recuperare al nostro governo una dimensione keynesiana, recuperando insieme il diritto al lavoro ed alla salute. Dovrà farlo agendo controcorrente rispetto alle direttive politico-economiche che il nostro paese si è dato e, così rimanendo le cose, modificando il futuro posizionamento del nostro paese nello scacchiere economico europeo (siamo destinati a diventare ancor più contoterzisti della Germania in settori economici maturi e a basso valore aggiunto  con salari in riduzione). Il tutto mantenendo la coesione sociale in una città che continua a perderla velocemente: sembra un miracolo da sinistra, visto che il governo tecnico è appoggiato in modo compatto da PD, UDC, PDL e, in parte, dalla Lega.