Un profilo (alto) per vincere una campagna elettorale. Social network e le elezioni

di Massimiliano Martucci

I tempi si fanno sempre più stretti e tra pochi giorni inizierà una campagna elettorale che ha tutte le caratteristiche perché sia la prima di una nuova serie. Per diversi motivi. Il primo è politico: con il governo Monti gli schemi sono saltati, realizzando una coalizione che va da destra a sinistra senza soluzione di continuità, dimostrando che è possibile mettere finalmente da parte maschere e simboli e lavorare politicamente un po’ come a uno gli pare, senza il vincolo di una ideologia o di una appartenenza. Il secondo motivo è contenutistico: queste nuove campagne elettorali sono le prime fatte in una situazione di ufficiale repressione. Non sarà possibile promettere mari e monti tranquillamente, perché significherebbe ammettere che la crisi non esiste. Non dubitiamo che qualcuno utilizzerà questo argomento, ma dubitiamo che ci siano ancora tante persone pronte a crederci. Il terzo motivo è Berlusconi: con le dimissioni ha dimostrato di non essere in grado di governare. Le truppe cammellate, pronte a fare qualsiasi cosa per poche decine di euro a giornata, potrebbero aver perso il padrone. Il quarto motivo è che gli strumenti di comunicazione online sono ormai universalmente riconosciuti come fondamentali per vincere le elezioni, siano essi profili su Facebook o blog e siti internet.
I primi tre motivi attengono ad un’evoluzione storica della politica e del pensiero su cui, purtroppo, ancora non siamo capaci di incidere, mentre per il quarto motivo siamo capaci, invece, di individuare alcuni spunti di riflessione. Il primo, spontaneo, è che con Facebook non si vincono le elezioni. Nella febbre di occupare gli spazi anche online, in una riproposizione del più tipico attacchinaggio selvaggio, i social network non si prestano assolutamente ad operazioni di quantità, perché i profili falsi vengono immediatamente individuati e perché, nonostante il numero elevato di fan o di aderenti ad un gruppo, di solito a partecipare attivamente saranno sempre gli stessi che già lo fanno nella realtà. Chi per strada non si esprime, non lo fa nemmeno online, se non per utilizzare argomenti semplici e populisti tipo “tanto sono tutti uguali”, “sono sempre gli stessi”, “fate qualcosa” e compagnia lamentando.
Facebook o Twitter, sebbene in misura minore, sono entrati nel nostro immaginario quotidiano e quindi sono diventati terreno di scontro e di confronto, soprattutto alla luce delle vittorie di Obama e di Vendola, che sono riusciti ad utilizzare i socialcosi in maniera ottimale. La corsa a Facebook è quindi iniziata anche per chi finora si era tenuto alla larga, perché il web bisogna che si occupi così come la piazza o la poltrona.
L’inghippo è che i social network (e più in generale il web 2.0) non servono necessariamente da palco alternativo ma – e questa è la reale svolta – da punto di ascolto privilegiato. Chi sa utilizzarli sa che la migliore delle loro caratteristiche è quella di aggiornare continuamente le informazioni riguardo l’umore delle persone, dei cittadini, dei votanti. Migliaia di profili non sono solo possibili destinatari di volantini elettorali online, ma sono migliaia di mittenti, di voci, di umori. Un sorta di polso virtuale.
Ma da questa consapevolezza alla dotazione dei necessari strumenti, anche culturali, per interpretare dati e parole e quindi passare all’azione, ce ne vuole. A Martina Franca, per esempio, da tempo la Destra di Storace ha scelto il proprio candidato sindaco, quindi ha preparato i manifesti, i volantini e tutto il materiale di comunicazione. Attraverso profili creati ad hoc, in maniera periodica, ma costante, vengono postate le immagini che invitano a votare la Destra, non sulla propria pagina, ma nei gruppi di discussione politica, nelle pagine delle testate giornalistiche, ovunque si raduni un po’ di gente. Tradotto come se fosse offline, sarebbe come volantinare in piazza, irrompendo nei capannelli di persone, imponendo di prendere il volantino. Evidentemente un uso errato dello strumento che, invece di creare consenso, provoca fastidio, al di là delle idee espresse (ma, crediamo, come naturale continuazione).
L’utilizzo di questi strumenti, se da un lato è necessario – perché non avrebbe senso non usarli, dato che sono gratis e sono capillari, oltrechè diffusissimi –, dall’altro impone una rivalutazione dell’approccio nei confronti dell’agire comunicativo. Molto ascolto e parole ragionate, perché il cittadino digitale ha gli strumenti per raccogliere informazioni e per verificare le dichiarazioni, partecipando naturalmente alla conversazione. Una conversazione che coinvolge potenzialmente migliaia di persone.
Online, quindi, conta davvero la qualità di quanto detto e non la quantità. Per la maggior parte dei candidati questo non è un argomento che fa breccia, per il semplice motivo che spesso le candidature vengono prese negli studi professionali, ermeticamente chiusi e impermeabili a stimoli esterni. Scegliere di utilizzare un strumento di comunicazione a doppio senso come un social network, significa scegliere di mettersi in discussione, di confrontarsi quasi ad armi pari.
Non serve, quindi, comprare followers al mercato nero, non serve spammare locandine o santini. L’effetto può essere controproducente, il risultato devastante. E finchè si tratta della Destra…