Sembrava il treno anch’esso un mito di progresso…

di Annarita Digiorgio

Avevo detto al buon Romeo che per questa settimana avrei scritto qualcosa sull’attività politica in difesa del servizio ferroviario per la nostra provincia. Dal 12 dicembre parte la nuova offerta ferroviaria nazionale, come si legge si tratta di 267 treni in più.
Sul sito però si guardano bene dal dire che tutti questi bei treni, nuovi e veloci, sono destinati al traffico da Napoli in su. Il meridione è completamento tagliato dalla nuova offerta, o meglio, se a nord aumentano treni, servizi e velocità, a sud tagliano. Tutto. E così Puglia, Sicilia e Calabria perderanno la maggior parte dei treni a lunga percorrenza.
Il presidente Napolitano la scorsa settimana nel suo intervento alla contestata inaugurazione della stazione Tiburtina ha affermato che “i ferrovieri hanno unito l’Italia”; adesso i ferrovieri la spaccheranno.
La situazione l’ha ben descritta in un articolo della settimana scorsa Sergio Rizzo, che iniziava proprio lamentando “un numero che da solo dice quanto il Sud sia andato indietro. Il numero è 34: i minuti che oggi impiega in più il treno per coprire la distanza fra Roma e Palermo rispetto al 1975”.

Unica soluzione indicata da Trenitalia per la tratta Taranto-Lecce: passaggio da Roma, 12 ore di viaggio, 105 euro di spesa!!!

E allora ho fatto una riflessione del tutto personale. Altro che dal 1975. Ho iniziato a viaggiare con frequenza costante da Taranto 6 anni fa. Prendevo il grande Eurostar per Roma. Ce n’erano due. A casa mia, che non erano abituati a viaggiare su rotaie, pensavano ci fossero ancora i treni brutti e vecchi di una volta e volevano “per sicurezza” io prendessi la Marozzi. Ma come, quel bello e comodo Eurostar, sicuro con i vagoni aperti, tanto spazio per le valige, e poi costava anche poco. Certo ci metteva 6 ore, che erano tante considerando che quello da Bari ce ne metteva solo 4. Si fermava come Cristo a Eboli, e poi tre fermate a Napoli – che io non ho mai capito come un Eurostar potesse a Napoli trasformarsi in metropolitana. Da Roma poi spesso andavo a Milano e Genova, e lì scoprii che c’erano degli Eurostar molto molto piu fighi del mio. Poltrone comodissime, le prese corrente funzionanti, tavolini ultra ergonomici, strapuliti. E mi accorsi che però erano così solo quelli che andavano da Roma in su. E iniziò a piacermi un po’ meno il mio trenone. Che ne sapevo che dopo poco non l’avrei più visto. Dopo un paio d’anni lo sostituirono con un vecchio intercity, con gli scompartimenti a sei, stretto e sporco, e costava pure di più. Io non ho mai capito perché ci avessero fatto tornare indietro e anziché darci i treni nuovi come per Milano, a noi toglievano quello seminuovo per darci quello vecchio vecchio. E iniziai pure a sentirmi parecchio impedita ogni qual volta non riuscivo a mettere il mio valigione nel vano in alto, che per me era troppo troppo in alto. Man mano che il tempo passava quel trenino brutto e sporco iniziò ad essere sempre più lento e fare sempre più fermate, e allora io non potevo più permettermi di perdere mezza giornata in viaggio e cominciai a prendere il notturno. Così potevo andare e tornare di notte, sostando a casa quelle due giornate piene. Però dopo un po’ iniziò ad essere sempre più pieno, gli altri aumentavano il prezzo e quello era l’unico economico, e spesso mi toccava fare tutta la notte in piedi. Poi l’estate scorsa, pronta per il mio ennesimo viaggio, il bel sitone non mi dava più l’opzione notturna. Prova e riprova alcuni giorni me la dava e altri no. E cosi scopro che era diventato un treno una tantum, cioè il venerdì saliva e la domenica scendeva. E ora non c’è proprio più. Per niente. Addio. Cosi come quelli per Milano e Torino. Così come la maggior parte dei treni a lunga percorrenza che partivano, arrivavano o transitavano per Taranto. E non parliamo di quelli regionali.
Aldilà delle inconvenienze personali, le nuove scelte di Trenitalia guardano al mercato. E secondo Moretti qui non c’è mercato. Il diritto alla mobilità non è in agenda. E noi resteremo isolati. Da lontano mi chiedevo come fosse possibile che i politici locali e noi cittadini non lamentassimo questa ingiustizia. Guardavo sperticarsi per l’aereoporto di Grottaglie per i viaggi a Medjugorie, mentre si chiudeva la stazione. “Ma con l’aereo ci metti meno” mi ha risposto un Sindaco della provincia, “ma io come ci arrivo dal tuo comune in aeroporto”? Il vantaggio ambientale del trasporto su rotaia, l’economicità e tante altre cose poi proprio non le consideriamo.
Per fortuna un mese fa Luciano Santoro, capogruppo del pd in provincia, ha organizzato una manifestazione sui binari (ero l’unica donna lì, che va bene, per me il genere non conta, ma vorrei farlo notare a tutte quelle che si arrabbiano se poi quando fai gli appelli non precisi “amici e amiche”). Da allora Santoro sta portando avanti questa lotta, un po’ in solitaria, ma devo ammettere molto bene (non come il sindaco di Bari, solo al seguito dei sindacati per difendere i lavoratori, ma appunto rivendicando il diritto alla mobilità e l’uguaglianza). Hanno posto le richieste sul tavolo, e si stanno mobilitando su più fronti. Certo è tardi, mancano pochissimi giorni al nuovo orario, e credo che oltre all’iniziativa dei politici, ora sia necessario tutti noi cittadini della provincia (se pur troppo uguali ai suoi colleghi dell’Ilva che Vincenzo Vestita ha magistralmente descritto in un bellissimo articolo di Siderlandia della scorsa settimana) ci mobilitiamo. E’ necessario organizzare una grande manifestazione di piazza. Poi oggi pomeriggio ho visto l’intervista di Moretti da Piroso. E mi sono incazzata ancora di più di fronte alla sua spregiudicata arroganza.
E allora ho pensato un’altra cosa. E spero non si arrabbierà Romeo se ora inserisco qui un’altra breve riflessione. Sui metodi delle manifestazioni. Qualche giorno fa gli studenti di Azione Giovani avevano organizzato un dibattito alla Statale di Milano con relatore Oscar Giannino. Altri studenti gli hanno impedito di entrare, colpendolo con uova e pomodori. Per me era lapalissiana la violenza e la condanna di tale gesto. Poi però ho iniziato a leggere sulla mia bacheca facebook commenti di “diminutio”. “Ma si, divertente, bravi, hanno fatto bene, se lo meritavano quei fascisti”. “Legittimo dissenso” lo ha definito Pierfelice Zazzera. Un parlamentare. Dell’IdV. Saranno i pomodori i suoi valori.
Allora ho pensato che certe cose non si può farle passare con la stessa leggerezza. Che magari molti di quelli che commentavano cosi quella violenza a Giannino, me li sarei ritrovati accanto alla manifestazione in difesa della stazione di Taranto e dei diritti del Mezzogiorno, che poi sono diritti di tutta l’Italia. E poi magari metti che partiva un pomodoro, io non avrei mai detto che erano degli infiltrati. Come il 15 ottobre. C’erano degli infiltrati, ma sono le piattaforme politiche che permettono ci siano. Ho fatto centinaia di manifestazioni in piazza con i radicali, e mai ci sono stati infiltrati, come mai? E gli sputi a Pannella il 15 ottobre non erano di infiltrati. E allora purtroppo queste cose c’è bisogno di dirle.
Che ci sono i diritti da rivendicare, ma anche i doveri della libertà. Non esiste welfare senza libertà. In questo caso, il dovere di dare a chiunque la libertà di parlare ed esprimere la sua opinione, anche ad un fascista. Perché ogni qual volta si concede anche ad un fascista di parlare questo Paese diventa un po’ meno fascista. Sembra assurdo, ma è cosi. Che anche contestare è un diritto, ma dopo che si è ascoltato. Lanciare le uova impedendo di parlare è tecnicamente e scientificamente fascista. Il fascismo dell’antifascismo che ha caratterizzato la storia repubblicana italiana¹.

Ora il rischio evidente è questo fascismo dell’antifascismo di ritorno. L’abbiamo visto nei no tav, e tra gli studenti a Tiburtina, e alla Sapienza, e il 14 dicembre, e adesso. Lo vedo tra i miei amici di facebook che mettono le foto di Giannino preso a pomodori prima di parlare e ci ridono su. L’ho letto. Nomi e cognomi. Quindi stiamo attenti. E’ un rischio che sta crescendo. Parliamone prima di correre quello di ritrovarci ancora una volta i morti in piazza. I mezzi prefigurano i fini. Per questo il mezzo deve essere la nonviolenza. E il dialogo. Perché i metodi fascisti non sono esclusiva solo dei fascisti. E come diceva Pasolini “ogni zelo nasconde sempre qualcosa di poco bello, anche lo zelo antifascista”.
Il nostro compito è salvarci dai buoni a niente. Ma soprattutto salvarci dai Piazzale Loreto per i capaci di tutto.

¹“La continuità tra il ventennio fascista e il trentennio democristiano trova il suo fondamento sul caos morale e economico, sul qualunquismo come immaturità politica e sull’emarginazione dell’Italia dai luoghi per dove passa la storia. Ciò che ha differenziato, formalmente, gli antichi padroni fascisti dai nuovi padroni democristiani -che di cristiano non hanno ormai proprio più nulla : hanno cinicamente gettato la maschera- è l’esercizio del potere: il ventennio fascista è stata una dittatura, il trentennio democristiano è stato un regime poliziesco parlamentare. Il parlamentarismo è stato un lusso che è stato consentito ai nuovi padroni (antifascisti!) dalla presenza della Chiesa. La grandiosa maggioranza che DC ha sempre ottenuto alle votazioni del trentennio, grazie alle masse cattoliche asservite ai preti, le ha permesso una parvenza di democrazia, che viene disonestamente usata come prova di dissociazione col fascismo.”Pier Paolo Pasolini, Il Mondo 28 marzo 1974