Grillo e le democrazia… “cicerioniana”

di Serena Mancini

Quando in piazza iniziano a comparire palchi e sedie, bandiere e gazebo e i muri a riempirsi di facce più o meno conosciute, allora è chiaro che le elezioni amministrative sono vicine. Nel nostro Paese i manifesti elettorali devono ricordare l’importanza di una politica cosciente del proprio assenteismo e per questo sempre disposta a riemergere nei momenti più utili. Il 15 e 16 maggio si vota anche sotto la Mole e, passeggiando per le strade di Torino, non appare dunque strano ritrovarsi immersi in un comizio o davanti ad un maxi schermo che ritragga il politicante di turno, seduto in un teatro a parlare del futuro della città. Così se da una parte trionfano le bandiere tricolore, dall’altra non mancano simboli di partito e slogan elettorali sempre più volgari e dissacratori. Sabato pomeriggio è stata la volta del Movimento a 5 stelle, lista elettorale promossa da Beppe Grillo che alle ultime elezioni ha riscosso notevole successo in varie regioni. Davanti al palco costruito per accogliere tutti i candidati c’erano inizialmente poche persone, aumentate visibilmente verso le 17.00, ora prevista per l’arrivo del comico genovese, sino a riempire tutta Piazza Castello. Giovani, vecchi, bianchi e neri lì ad accogliere il messia in molti casi conoscendone già i discorsi.
Che si tratti di un personaggio carismatico è ormai chiaro e, ascoltando le sue parole, sfido chiunque a non essere d’accordo con i suoi principi.
Chi di noi non si è lamentato almeno una volta delle eccessive agevolazioni dei parlamentari, delle loro infinite cariche o del fatto che rimangano troppo spesso “attaccati alle poltrone”, negando la possibilità che emergano nuovi volti in politica?
Quella di Beppe Grillo è una critica dura, una polemica costante cha spazia dalle tematiche ambientali a quelle tecnologiche, passando per il rinnovamento della legge elettorale e il voto di preferenza e soffermandosi su di un interrogativo di fondo: ci accontentiamo della partitocrazia o pretendiamo una democrazia? Tuttavia penso di non offendere nessuno quando dico che una delle sue armi più efficaci è il populismo, ma d’altra parte quale metodo migliore per attirare anche i meno interessati? Beppe Grillo parla male di tutti, con lui di certo il problema della tanto proclamata par condicio non esiste e, in mancanza di validi avversari, il comico genovese riesce ad affermarsi senza troppa difficoltà. Il suo movimento appare l’unica alternativa possibile, convalidata dalla mancata appartenenza da parte dei suoi candidati ad un colore politico e iscrizione ad un qualsiasi partito. Mi viene da pensare allora se questo criterio di selezione sia opportuno e “democratico”. Riconoscersi in un’ideologia significa forse valere meno degli altri o essere destinati ad appartenere alle famigerate caste?
È giusto considerare negativa l’iscrizione ad un partito?
Certamente al movimento 5 stelle va riconosciuto il merito di essersi impegnato direttamente, senza delegare a qualcuno il compito di intervenire per “migliorare le cose”, condizione che troppo spesso sta diventando norma nel nostro bel Paese, o ancora quello di aver optato per una campagna elettorale a stretto contatto con i cittadini. Una campagna che parta dal basso, che agisca nelle piazze e nelle strade di ogni città grande o piccola che sia. Una vera predicazione rivolta a dimostrare che non tutto è perduto.
La figura del messia che Beppe Grillo ha acquisito negli ultimi anni desta però qualche dubbio.
Tutto il pubblico immobile ad ascoltare, ad annuire, ad applaudire a qualsiasi battuta e a condividere persino dei gesti insulsi come sputare acqua verso le telecamere delle emittenti televisive. Tutti lì, quasi plagiati dalla simpatia e dall’ironia del comico, persino i candidati alle sue spalle sembrano invasati! E devo ammetterlo…anche la mia attenzione è tutta focalizzata su di lui.
Gli altri, i veri protagonisti della futura politica, sono solo comparse, figure immobili utili da contorno e da scenografia a quel meraviglioso spettacolo più teatrale che politico.
Tutti personaggi in realtà assenti agli occhi degli elettori.
Tanti discorsi pienamente condivisibili dunque, ma tutti legati ad un unico personaggio.
Ancora una volta si ha l’impressione di doversi affidare ad un intermediario, ad un garante nel quale riporre fiducia. Come non notare una contraddizione di fondo? Colui che prima di iniziare il suo comizio ricorda al pubblico di non fidarsi di nessuno e prosegue tutto il suo discorso sottolineando l’importanza del gioco si squadra può concentrare l’intera attenzione su di sé?
Sarebbe un po’ come ripetere quanto già accaduto con Berlusconi o con Vendola, due leader tanto acclamati.
Cosa accadrebbe al movimento a 5 stelle in assenza del suo carismatico capogruppo? È giusto affidare ad un uomo solo tutto questo potere?
I suoi discorsi susciterebbero lo stesso entusiasmo se a pronunciarli fossero emeriti sconosciuti, magari anche un po’ antipatici? Io temo di no.
Quando la partecipazione diventa adulazione e fanatismo nei confronti di un individuo ogni principio democratico viene meno e parlare di democrazia non ha più senso.
Preferirei che iniziassero ad emergere di più i nomi dei candidati e che fosse Grillo a fungere da scenografia. Preferirei che ogni tanto i discorsi fossero differenti in modo da non ascoltare le stesse parole andando a teatro per un suo spettacolo o in piazza per un suo comizio.
Preferirei inoltre che il movimento 5 stelle vincesse perché apprezzato per le sue idee e non perché capeggiato da un personaggio noto.
Di sicuro a questo movimento va riconosciuto lo sforzo nell’autofinanziarsi, mentre la maggior parte degli altri candidati utilizzano stipendi provenienti da altre cariche politiche per la propria campagna elettorale. Altro plauso è da rivolgere per il tentativo di promuovere tanti giovani e di affidare a ciascuno un ruolo che possa svolgere in base alle proprie competenze.
Il motto è il tradizionale “l’unione fa la forza” ma, a differenza di quanto accade con gli altri partiti, pronunciato da loro assume maggiore validità, perché “gente comune”, “gente come noi”.
Come dire quindi che buoni sono i propositi, ma pessime le modalità di diffusione.
Quello che però convince poco e soprattutto spaventa molto è l’eccessivo consenso, la totale mancanza di un approccio critico nei confronti del verbo pronunciato dal profeta Grillo. Il suo modo di intrattenere la folla, la gestualità curata nei dettagli e il tono di voce mantenuto alto per tutto il monologo gli conferiscono un ruolo pari a quello ciceroniano. Ma Cicerone, da bravo avvocato, doveva difendere chiunque, persino gli assassini e usare l’arma della parola a proprio vantaggio in qualsiasi circostanza per convincere il suo pubblico. Speriamo dunque che il paragone sia inappropriato, perché altrimenti avrebbe ragione il comico a sostenere che peggio di così non può andare!