“Italieni”

di Cosimo Spada

Al liceo in giro per Taranto c’erano molti più fasci di oggi. A volte l’emigrazione ha i suoi lati positivi. Cosa facevano questi fasci in giro per Taranto? Spesso facevano dei picchetti o dei volantinaggi, e mentre li facevano ogni tanto buttavano giù qualche filastrocca. Ahimé io molte di queste filastrocche me le ricordo; sarà che ho sempre avuto un piacere perverso per ciò che fa schifo, per il trash diciamo oggi. Ma sta di fatto che non le ho dimenticate. Quella che ricordo meglio di tutte aveva i seguenti, ed “immortali”, versi: “L’Italia agli italiani, fuori gli ebrei e gli a-fri-cani” su africani sillabavano per rendere bene la rima; oltre all’orrore per queste parole mi trovavo a pensare anche cosa intendessero questi giovani virgulti per italiani. In realtà l’ho scoperto con gli anni e secondo me anche voi che state leggendo. Quindi non perdiamo tempo con questi tizi e parliamo di cose serie, no, non parleremo della mia situazione sentimentale. Ogni volta che provo a parlare di cose serie ecco che voi mi volete trascinare nel baratro del gossip; E BASTA!!!

Non basterebbero le cinquecento e poco più parole che scrivo per questa rubrica a spiegare i concetti di identità e di contaminazione di cui vorrei parlare oggi. Possiamo partire da un dato certo: nella musica l’identità è superflua, la contaminazione è fondamentale.

Se non siete d’accordo con me allora andate a riprendervi i vostri dischi, o file, di tutti gli artisti che vi piacciono; prendete i dischi di Subsonica, Marlene Kuntz, Litfiba, Afterhours ma anche artisti più pop come Tiziano Ferro. Di certo non annoverano tra le loro influenze Claudio Villa.

In Italia ci sono circa quattro milioni di stranieri, ed esiste già una seconda generazione di giovani italiani di origine straniera, anche se secondo la nostra legge non basta essere nati in Italia per potersi definire italiani, mi viene da pensare che a questi ragazzi gli è andata bene in fondo, ma peccherei di cinismo.

Comunque c’è chi, pur essendo italiano, non si riconosce in questa cultura e porta in giro il proprio bagaglio culturale e musicale messo insieme come meglio crede.

Proviamo a parlare concretamente, cominciamo con un nome e cognome: Jonathan Clancy.

Incontrando per strada Jonathan ne ricavereste una modesta impressione, questo dimostra che la prima impressione è sempre un errore: capelli arruffati in stile primo Bob Dylan, magro mediamente alto e con la faccia di un Charlie Brown del ventunesimo secolo. Ed invece vi sbagliereste. Jonathan è nato in Canada ma fin da piccolo i suoi genitori si sono trasferiti a Bologna, infatti Jonathan è in possesso di un perfetto accento bolognese con la zeta che diventa esse.

Jonathan con altri amici mette su una prima band, Settlefish, che dal 2001 al 2007 si fa conoscere sopratutto negli Stati Uniti, rimanendo una realtà di nicchia in Italia. Il loro rock si richiama a quello dei Pavement e di tutto il rock indipendente degli anni 90. già ascoltando i Settlefish non si riconosce alcuna influenza della cultura musicale italiana, ma neanche si avverte uno scimmiottare la cultura musicale di riferimento. È un adesione perfetta e credibile ad un altra cultura. Dal 2007 Jonathan insieme a Paul Pieretto (basso) e Federico Oppi (batteria), già con lui nei Settlefish, danno vita agli A Classic Education, insieme a Giulia Mazza (tastiere e voce) e Luca Mazzieri (chitarra e voce).

Questo è uno dei miei gruppi preferiti, ed è davvero difficile provarne a parlare seriamente, mi verrebbe da dirvi: “ascoltate e capirete tutto” a che servono le parole quando tutto quello che senti è talmente chiaro?

Ma cerchiamo di mettere da parte il sentimentalismo e procediamo con ordine: a pochi mesi dalla loro nascita gli ACE fanno uscire il loro primo EP, First EP, e nel 2010 il loro secondo ep, Hey There Stranger, una scelta coraggiosa uscire con due ep e non subito con un album intero, ma è una scelta che premia, visto che sono in tanti, tra blog e riviste di settore, sopratutto oltreoceano, che scrivono di loro e ne scrivono bene.

Riescono persino a suonare a suonare al South by Southeast festival di Austin Texas, uno dei festival più importanti del circuito indipendente.

Nel 2011 poi fanno uscire finalmente il loro primo LP, Call It Blazing, che tra l’altro riprende alcune delle canzoni dei due ep.

Gli ACE per il loro primo LP decidono di lavorare per sottrazione; spogliano il loro suono rendendolo più aggressivo, ma non rinunciando alla melodia, tra i loro punti di forza. Quello che tutto l’album trasmette, a partire dalla copertina, un richiamo alla cultura americana degli anni 50 e 60. Filtrato con un certo spirito nostalgico che però non diventa passatista. Ho citato la copertina perché per delineare il loro immaginario gli ACE si servono delle foto del fotografo Danny Lyon, famoso per le sue foto delle bande di motociclisti; che aiutano a creare un atmosfera senza tempo ma anche (perdonate il ma anche di veltroniana memoria) a creare un clima da gang all’interno della band. All’interno dell’album ci sono canzoni magnifiche come Forever Boy, un inno all’eterna giovinezza, o Terrible Day, quasi una ninna nanna, oppure Gone To Sea, una perfetta hit per tutte le estati. In chiusura vi segnalo che Jonathan Clancy ha anche un progetto solista in acustico His Clancyness, molto interessante.

A voler cercare a tutti i costi una morale (sì cari amici sto per fare dell’orrido moralismo da quattro soldi) penso che attraverso la musica degli A Classic Education si capisce che tutta questa storia di identità nazionali, locali ecc. è solo buona per certi vecchi dentro. La tua identità te la costruisci da solo, mettendo insieme esperienze tra le più disparate, come un puzzle impazzito, consapevole che alla fine quel puzzle avrà comunque un senso.

Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo:

Vadoinmessico, Archeology Of The Future, 2012