Giù al Nord: la crisi nell’altra faccia della spirale

di Luca Frosini

Le luminarie quest’anno sono spente. Nella piazza principale del paese/città, tipologia di agglomerato urbano molto comune nell’estremo settentrione della penisola, gli addobbi natalizi richiedono un grosso sforzo d’immaginazione per essere definiti tali, piccoli come sono in cima a scarni lampioni, incapaci di illuminare vie deserte, quelle stesse strade che dovrebbero rigurgitare di popolino intento ad acquisti festivi almeno prima della fine del mondo prevista dai maya, nota genia di ragionieri insediatosi in tempi andati dalle parti di Rovigo.

Ma si sa, la crisi, notoriamente stato psicologico, morde forte anche da queste parti, non lasciando troppo spazio a certe celebrazioni neanche in realtà piccolozze e ghiacciole come la suddetta Como, borgo (parola grossa) un tempo facente parte a pieno titolo di quella Lombardia capace di rappresentare un modello a livello nazionale, la regione in poche parole che si millantava locomotiva economica e politica, il cuore pulsante di un dato modo d’intendere la cosa pubblica e in generale la vita civile che tanto peso ha avuto negli ultimi 20 anni, la stessa che alcuni suoi rappresentanti definivano a varie genere estranea ai problemi e alle disgrazie del resto del Paese, senza sapere e soprattutto senza voler capire di trovarsi in mezzo alla melma esattamente come tutti gli altri, pur scomodando elmi vichingi e simpatici figli dai soprannomi ittici.

Una realtà che si trova costretta a dover fare i conti, almeno nell’ultimo quadriennio, con un uragano economico e sociale capace di mettere in discussione tutta una serie di capisaldi e leggende sull’operosità lumbard, dallo spirito genuinamente pragmatico all’immagine retorica dell’imprenditore che si è fatto da sé, passando magari per la visione romantica dell’azienda piccola tanto da potersi confondere con una famiglia, dove l’operaio passava tutta la vita fianco a fianco con il datore di lavoro “che sapeva cosa voleva dire sporcarsi le mani”.

Un quadretto fiabesco oggi vicino al tramonto, almeno a vedere le cifre nude e la lista delle aziende cadute, senza contare situazioni particolari, emblematiche nel mostrare certe tendenze: la ditta incastonata nella Brianza felix che per esempio si trova costretta a chiudere nonostante una situazione economica abbastanza tranquilla, perché il proprietario ha venduto in precedenza il terreno per poter costruire nuovi condomini, oppure quella che subisce scalate di un certo tipo, da identificare con ‘n seguita da drangheta, per un parlare di un’altra che per sopravvivere si trova costretta a sopportare draconiane spending review da parte di fantomatici nuovi proprietari, desiderosi di lasciare a casa la stragrande maggioranza dei lavoratori pur di salvaguardare desideri di profitto simili a chimere più che a reali possibilità.

Una situazione drammatica di cui non si può fare una sintesi compiuta, soprattutto adesso con il natale alle porte, la festa che ancora oggi è vista, nella mia città ed in tante altre simili nei limitrofi, come l’occasione finesettimanale per esorcizzare certe paure e inconsistenze, il modo con il quale si prova a fare finta nulla, il periodo in cui si crede che l’ultimo modello di iPhone è ancora alla portata di tutti, in cui si deve far capire ai pari grado che andare in certi negozi e in locali “giusti” non riserva preoccupazioni di portafoglio, in cui indugiare nella sfilata in pectore all’ingresso del Duomo locale significa riaffermare l’appartenenza ad un certo status più che a rivelare “mediocri” ragioni di fede o cosacce riconducibili ad essa.

E allora che lo show abbia lo stesso inizio, tanto ci sarà tempo per pensarci non appena le luci, fatte passare per ridondanti light festival, spegneranno quel poco di bagliore che si ritrovano, le vie di nuove vuote anche nei weekend, e il tour in chiesa affare di vecchiette e anziani a caccia di coetanee single più che occasione di gala per uomini e donne d’affari di ogni tipo.