O la borsa o la vita: cosa significa garantire i finanziamenti pubblici ai partiti

di Andrea Cazzato

Qualche giorno fa, il deputato tarantino del Movimento 5 Stelle Alessandro Furnari scriveva sul suo profilo Facebook:

“ [..]Il 5 Stelle è una realtà in divenire e stiamo capendo che tutti coloro che hanno difficoltà economiche come ad esempio le casalinghe con figli e tanti altri casi non possono fare politica nel 5 Stelle. I prossimi ad entrare in Parlamento dovranno tenerne conto. Nel 5 Stelle non possono entrare tutti, ma solamente coloro che non hanno problemi.”
Tutto questo nasce per la “pruriginosa” polemica sulla diaria dei deputati e senatori del movimento che fa capo a Beppe Grillo. Per capirci, la diaria è il rimborso spese per l’alloggio durante le attività parlamentari (leggi qui per altre informazioni sulle indennità varie garantite ai deputati).

Ci si è forse resi conto che “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, come direbbe l’arcinoto proverbio, che ogni santa volta i nostri genitori ci spiattellavano davanti quando, in preda a raptus di “ghepensimi-ismo” (di chiara matrice lombarda come il sottoscritto, vorrei far notare) filiale, lanciavamo propositi assurdi su nostri impegni? Forse sì, anche perché lo stesso Furnari avanza l’ipotesi di una “selezione di classe”; in sostanza, la politica (anche se il deputato fa riferimento al solo Movimento 5 Stelle) è per chi se la può permettere! L’autonominatasi anticasta che propone la casta…una notizia.

Quasi una intera parte della Costituzione garantisce il libero ed eguale accesso alle cariche elettive (vedasi il Titolo IV Rapporti politici della prima parte, dall’articolo 48 al 54) o più semplicemente l’articolo 3 che, nella sua seconda parte recita:

“ [..]E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Al di là della mia sensibilità bolscevica, quindi, c’è un testo costituzionale che fornisce le basi per una partecipazione davvero democratica alle sorti della Repubblica, e rendere la politica una cosa elitaria, ancora più della situazione attuale, sarebbe un delitto senza precedenti; e poi, che lo faccia un deputato di un movimento che sulla trasparenza e sulla partecipazione ci ha praticamente vinto le elezioni, lascia uno strascico non poco edificante, tipico della caduta di culo su un pavimento bagnato.

Detta tutta, c’era da aspettarselo anche un po’. La campagna devastante contro il finanziamento pubblico ai partiti (ora chiamato rimborso elettorale), oltre ad essere una giustissima richiesta di trasparenza, è anche un evidente “arrendersi” alla fine della politica di tutti per una “roba di classe”, per pochi “eletti” (giusto per rimanere in tema). Perché dico questa cosa antipopolare? Proprio perché per me, giovane militante di un partito con pochi finanziamenti e con militanti squattrinati, ormai confinato fuori dal Parlamento a tempo indeterminato, la possibilità di avere soldi dallo Stato per poter organizzare la mia attività è l’unica possibilità per poter fare attività.

Ecco, adesso il lettore starà pensando che da buon membro della casta e del “son tutti uguali, magnamagna”, io stia difendendo questo mezzo, chiedendo di confermare lo status quo. Marx m’anneghi se dico questo. Una proposta, ben più valida e giusta, che eviterebbe quindi il ricorso ai soli soldi privati per poter andare avanti, è quella che lo Stato si renda garante di servizi per il partito che intende svolgere attività politica, chiaramente in maniera proporzionale ai tesserati e ai voti presi durante la campagna elettorale, con rendicontazioni minuziose tenute da esterni al partito stesso. Il finanziamento a fondo perduto o con giustificazioni ai limiti del paradosso, quindi, cesserebbe di essere tale, nel momento in cui lo Stato fornisse il danaro utile all’attività politica, che sia la pubblicazione dei manifesti elettorali, dei volantini, al fornire cancelleria ed altro. Costi, quindi, che avrebbero una giustificazione materiale, e non il finanziamento per pagare la cena o la semplice campagna elettorale (spese che spesso, sotto forma di rimborsi elettorali, hanno pesi diversi e creano grossi margini di guadagno ai partiti). Come detto prima, quindi, l’annullamento del finanziamento pubblico sotto qualsiasi forma, non sarebbe altro che la fine della democrazia e la possibilità di poter fare politica solo se ce lo si può permettere. Già così marchiamo male, è evidente. Ma vogliamo che la politica diventi ufficialmente solo una questione di affari o ci volete ridare un po’ di passione? Io tengo duro e spero, dalla mia piccola provincia dimenticata, come il compagno Cioni che assisteva al dibattito.

 

2 Comments

  1. cerash May 22, 2013 7:26 pm 

    eh, che dire… condivisibilissimo.

    il passaggio dal finanziamento pubblico ai partiti al rimborso elettorale non è stato altro che deleterio. ma il finanziamento, ripartito come dicevi tu in base al risultato elettorale, era sacrosanto. il discorso è complesso…

    la cosa che mi preme dire è che soprattutto i grillini usano il vecchio trucco dello specchietto per le allodole:

    oddio! i costi della politica! le auto blu costano 200 mila euro l’anno (a fronte di un pil di 34miliardi)! che vergogna!

    poi non vedono (o non vogliono vedere) i veri buchi… 33 miliardi per gli f35, le spese delle missioni di pace, le grandi opere il cui costo si dilata enormemente in anni ed anni di finta costruzione…

    o sono cechi… o sono conniventi.

    gli stipendi ai parlamentari li misero i socialisti alla fine dell’800 appunto per permettere ai lavoratori di lasciare il lavoro per fare politica…

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