Seconda parte del giallo-satira di questo mese. Qui la prima parte
Alle otto circa, chiesero di Merli al telefono. Era il medico legale.
Sbadigliò. «Dottore, buongiorno. Hai trovato tracce di sangue o solo eroina?»
«Neanche un grammo di droga, Merli. Avrai il rapporto fra un po’, ma volevo parlarti in anteprima dei risultati. Confermo che è morto soffocato, e ti interesserà sapere che nello stomaco c’era più birra che acido gastrico. Ho calcolato il contenuto di sei bottiglie grandi.»
Merli storse il muso. Sei bottiglie, quelle intorno al cadavere.
«C’è dell’altro» continuò il medico. «La faringe presenta lesioni, come se qualcosa fosse stato infilato per la gola a forza. E ha segni di una colluttazione sulla nuca e sulla faccia. Insomma, Merli, secondo me è stato torturato. Lo hanno costretto a bere.»
«È evidente. C’è dell’altro?»
«Uh… sì, questo è strano e non me lo spiego. Nello stomaco c’erano residui di copertone e segatura. Questo davvero non me lo spiego. Suppongo che l’abbiano costretto a mangiare anche quelle. Mi chiedo chi…»
Merli fece un mezzo sorriso. «Forse è più semplice di quanto non sembri, dottore. Arrivederci.»
Spada aveva assistito e attendeva. Merli gli chiese di chiamare gli altri, andavano al Palamazzola.
L’ingresso al concerto era dalla parte di via Venezia. Merli, Spada, Tanzi e Betti lasciarono l’auto nel parcheggio e raggiunsero il marciapiede. Non c’era grande attività: le auto andavano e venivano, qualcuno attendeva alla fermata.
«Domenico Gallo è stato pestato e costretto a bere birra, ma prima ha mangiato kebab.»
«Come lo sai?» chiese Tanzi.
«Copertoni e segatura. Tre mesi fa l’Antisofisticazione ha sequestrato una partita di kebab “allungato” con merda assortita, tra cui gomme di copertone e segatura. Uno o due spiedi sono scampati al sequestro e Domenico l’ha mangiato. Cerchiamo di capire dove l’ha comprato. »
«Ma ci sono centinaia di kebabbari a Taranto, dotto’.»
«Vero, ma Gallo era appiedato e non conosceva bene Taranto, o comunque non ne doveva avere troppa familiarità, quindi avrà comprato il panino in un locale a non più di un isolato o due da qui. Andiamo, ragazzi. Voglio risolvere la cosa in giornata.»
Si divisero, Merli e Tanzi rimasero dalla parte di via Venezia e Betti e Spada si spostarono su via Cesare Battisti. Si erano dati appuntamento alle undici e mezza all’ingresso di via Battisti. Quando si riunirono, ognuno esitò a parlare per primo.
«Niente, dotto’» disse infine Spada, le braccia conserte «siamo stati in cinque localini. Uno era chiuso al momento dei fatti e altri tre non vendono kebab. Gli ultimi due, parecchio lontani da qui tra l’altro, avevano i documenti a posto, avevano fatto i controlli igienici da poco.»
Merli guardò lo schermo del telefonino. Anche a lui non era andata meglio. Aveva chiamato i colleghi dell’Antisofisticazione e aveva chiesto se da quelle parti avevano operato un sequestro ma, a quanto gli dicevano, intorno al Palamazzola non c’erano stati casi di shit-kebab, come dicevano loro.
«Che teste di cazzo» ringhiò Betti chinandosi. Raccolse una bottiglia color caramello dal ciglio della strada e la gettò nel cestino. «‘Sti gran pezzi di merda. Mettono le bottiglie per strada, quasi che ci tengono a rompere i copertoni. Ignoranti…»
… ignoranti…
«Che hai detto?» sbottò Merli. «Ripetilo!»
Betti alzò le mani. «Uè, capo, che mica ce l’avevo con te…»
«Ignoranti…» sogghignò Merli. «I “panini ignoranti”. Domenico Gallo ha comprato il panino con kebab e copertone da un ambulante. Torniamo in Questura e convochiamo gli agenti di servizio al concerto. Entro stasera voglio sapere tutto, ragazzi.»
In Questura, l’agente Mariani fu certo che, dei cinque baracchini, solo uno aveva lo spiedo da kebab. Un piccolo camper rosso e blu col disegno di Tom che insegue Jerry mentre urla, in un fumetto, “Avin, ca t’agghi’a mette ind’ u panine!”
In qualche ora, Merli ebbe il nome del proprietario del baracchino: Giuseppe Lopippo, detto Sivo 2.0. A quanto pareva, Sivo 2.0 non avrebbe potuto vendere nemmeno i calzettoni fuori all’Ipercoop, gli avevano strappato la licenza dopo aver causato un’epidemia di coliche a Saturo, a ferragosto.
Il mattino seguente, andarono a prelevare Lopippo da casa sua, a Taranto Vecchia, ma lui non c’era. La moglie disse a Merli che, quasi sicuramente, il marito era al baretto di “Frischə-frischə”. Merli e Spada vi si recarono. Quando vi entrarono, una musica aliena suonava dalla radio. Era una stanzetta spoglia ammobiliata alla meglio per sembrare un bar: un frigorifero orizzontale marroncino col marchio anni ’80 della Raffo e quattro o cinque tavolini di plastica, rossi, con lo stesso disegno.
A ogni tavolo – erano le 09,25 – c’era almeno una persona che beveva birra o liquore, la faccia bassa e le bottiglie abbracciate come peluche per la notte. Merli e Spada andarono al frigorifero, che faceva anche da bancone. Frischə-frischə stava giocando al cellulare.
«Uè, buongiorno. Cə və pozzə da’?»
«Due succhi di frutta.»
Frischə si girò verso i clienti e urlò «Uè, ma addò l’hannə lassatə l’astronavə, quist’e du’?»
Il pubblico bofonchiava risate alcoliche e Merli afferrò Frische per il colletto e ringhiò «In fondo alla strada: una bella astronave azzurra, con la scritta Polizia di Stato sui fianchi e la sirena rossa e blu. E ora che ti ho detto dove sta la mia astronave, tu dimmi dov’è Lopippo!»
Le sedie stridettero e rimbalzarono per terra, fuggirono tutti. Frischə indicò un piccoletto tutto culo si era lanciato di fuori. Merli mollò quel colletto unto e corse di fuori, con lui Spada. Anche se grassottello, il fuggitivo ci dava parecchio di gambe. Erano in via Duomo, l’uomo strattonava i passanti per farne ostacoli e Merli dovette respingerli a spallate. «Scusate! Polizia di Stato» urlava a quanti finiva addosso. Poi il fuggitivo arrivò alle Colonne e cercò di arrampicarsi sulle sbarre.
Merli, ansimando, gli afferrò l’orlo del pantalone.
«Oh, e ispettò!» si lagnò.
«Lopippo, vero?»
«E che ho fatto, mo?»
«Ancora non lo so, ma qualcosa ce la inventeremo. Andiamo, va’…»
Merli tirò giù Lopippo, si annusò la mano e se la pulì sulla camicia.
In Questura, nella stanza degli interrogatori, Lopippo tremava come un bruco in un congelatore. Si guardava intorno, cercava la condiscendenza di Betti e Tanzi che lo piantonavano come guardiani di pietra alla soglia di un portale.
«Dunque» cominciò Merli «due sere fa tu hai venduto senza licenza carne guasta di fronte al Palamazzola. Questa cosa basterebbe per far finire te sullo spiedo del kebab in tribunale, ma facciamo così: tu mi dici quello che voglio sapere e noi ci dimentichiamo della merda che vendi.»
«Madò, dottò, che io tutto ti dico! Tutto!»
Lopippo cercò di baciare la mano a Merli, ma questi lo schiaffeggiò col fascicolo del caso.
«Hai venduto un panino a questo ragazzo» gli mostrò la foto di Domenico.
Lopippo fissò la fotografia, strinse gli occhi e poi fece «Ah, sì.»
«Te lo ricordi?»
«Sì.»
«Avrai venduto decine di panini» disse Tanzi «come fai a ricordarti proprio di questo qui?»
«Me lo ricordo perché è successo un fatto. Praticamente, è venuto a comprarsi un panino, e poi ha chiesto pure la birra. Una birra… una Peroni, sì. Gli ho detto che non ne avevo e gli ho dato una Raffo – che io solo Raffo c’ho. Lui non l’ha voluta. Si sono avvicinati dei ragazzi, che pure avevano comprato il panino da me, e hanno cominciato a sfotterlo. Be’, hanno iniziato a litigare, poi questo qui ha detto che la Raffo non è nemmeno la sciacquatura dei bidoni della Peroni.»
Merli fece scrocchiare le nocche, il respiro gli si fece duro. «Continua.»
«Mah… niente… che io gli ho detto “ma vattinnə tu e ‘a Peroni”, solo che gli altri si erano incazzati parecchio e uno di loro voleva sponzarlo di mazzate, ma gli altri lo hanno fermato, e poi se ne sono andati tutti, il morto e gli altri, che erano tipo tre o quattro.»
Merli si alzò dalla scrivania e cominciò a girare in tondo. Gli occhi tremuli di Lopippo su di lui.
«Se li vedessi, riconosceresti questi ragazzi?»
La settimana prossima il finale!