Perché Lisippo ti modellò così abbattuto e mescolò al bronzo l’afflizione? (Gemino)
Il 209 a.C. fu la data ultima dell’autonomia dell’antica polìs di Taranto. Quinto Fabio Massimo e i suoi soldati distrussero quella che era stata la più grande città della Magna Grecia, facendo bottino dei suoi innumerevoli monumenti e ricchezze. Tra le grandi statue che adornavano la città, ce ne era una che si innalzava maestosa sull’acropoli: il grande Eracle di Lisippo.
La statua fu commissionata a Lisippo dai Tarantini nella seconda metà del IV secolo a.C., quando la polìs di Taranto attraversava il periodo di massimo splendore e potenza sia dal punto di vista politico che, soprattutto, da quello economico. Lisippo rappresentava in quel periodo il massimo esponente dell’arte statuaria greca: le sue opere venivano richieste sia dalle città-stato della Grecia continentale, sia soprattutto dai grandi re ellenistici, fra i quali il più importante fu sicuramente Alessandro Magno. Il condottiero macedone fu ritratto dallo scultore di Sicione innumerevoli volte in varie pose eroiche e divinizzate; lo stesso Lisippo si occupò della creazione del suo sarcofago, purtroppo andato perduto nel corso del tempo. La fine di Alessandro Magno di certo non bloccò la “carriera” dello scultore, anzi egli evolse il suo stile ideando un nuovo equilibrio statico statuario conosciuto come “apoxiomenos”, che si può riconoscere nelle sue opere successive. Verso la fine del IV secolo a.C., i cittadini di Taranto lo invitarono nella loro madrepatria per fargli adornare i maggiori luoghi pubblici. Uno di questi fu l’agorà, la piazza principale, dove fu posizionata una rappresentazione di Zeus Kataibates, pronto a scagliare una folgore.
La seconda statua fu, come già accennato, Eracle, sita in un luogo purtroppo ora sconosciuto dell’acropoli. Eracle era rappresentato in posizione “pensante”, richiamando una delle sue dodici fatiche: le stalle di Augia. Quest’ultimo era il re dell’Elide e possedeva delle stalle che non venivano mai pulite; come quinta fatica, Eracle dovette ripulirle e per farlo deviò due fiumi che entrarono nelle mura delle stalle attraverso apposite aperture e trascinarono via tutto il letame degli animali. Per la sua opera, Lisippo immaginò il riposo di Eracle dopo tale impresa: l’eroe era rappresentato seduto su una cesta, che probabilmente doveva servire per la pulizia della stalla; su di essa vi era la leontè, la pelle del leone di Nemea. Disarmato, Eracle era posizionato con il gomito destro sulla coscia e il pugno che reggeva il mento, mentre il braccio e la gamba sinistri erano flessi; la sua espressione sconsolata rappresentava la stanchezza dell’immane impresa appena compiuta. La statua era alta più di 5 metri, realizzata completamente in bronzo.
Il generale romano Quinto Fabio Massimo scelse proprio l’Eracle come suo dono a Roma per la vittoria sui Tarantini; essa fu collocata sul Campidoglio, come simbolo della potenza romana – e di quella personale del “Temporeggiatore”. La statua del semidio rimase a Roma fino al 325 d.C., fino alla conquista dell’Urbe da parte di Costantino, che la fece trasportare nella sua nuova capitale: Costantinopoli. Durante la reggenza di Anastasio, il monumento fu posizionato nell’Ippodromo della capitale dell’Impero d’Oriente e le sue ultime notizie si hanno da Niketas Choniates, che ne dà una descrizione. Infine, nel 1204, i crociati, dopo la caduta della città, la fusero per poterne fare delle monete.
La grande statua di Eracle è stata per diverse volte simbolo di potenza: il potere di Taranto nella Magna Grecia, la supremazia romana e il nascente predominio dell’area orientale dell’Impero. Di essa oggi abbiamo solo repliche, alcune delle quali sono conservate all’interno dell’esposizione del Museo Nazionale di Taranto. Qui si può osservare una riproduzione della testa in scala che può farvi provare le stesse emozioni provate in passato da coloro che ne ammiravano la sua forma colossale.
BIBLIOGRAFIA
Moreno, Lisippo, Roma 1975.
AA. VV., Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Zurigo 1990.