Proprio quando la meta, o per meglio dire la svolta, sembrava ormai a un passo arriva un nuovo e non troppo inaspettato decreto a scompaginare nuovamente tutto o quasi nella partita Ilva.
C’era da aspettarselo. Troppo improvvisato e stretto nei tempi era apparso il bando di vendita, data la situazione enormemente complessa in cui si trova l’azienda, per la natura delle produzioni e per gli innumerevoli problemi. Dagli aspetti ambientali e occupazionali a quelli finanziari- con un esposizione debitoria sempre più preoccupante -; dalle controversie giudiziarie in sede nazionale (processo “ambiente svenduto”) e internazionale (procedimeto della Corte per i diritti dell’uomo contro lo Stato italiano per non aver difeso i cittadini dall’inquinamento) alle procedure di infrazione comunitarie (su inquinamento e aiuti di Stato); dai vari ricorsi presentati dalla famiglia Riva,fino all’annuncio del Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, di ricorrere alla Consulta contro quest’ultimo provvedimento del Governo.
L’ennesimo decreto si presenta quanto i precedenti come definitivo e risolutore, ma a questo punto, è facile ipotizzare non sia l’ultimo. Esso mette in campo novità importanti rispetto al bando di vendita che si sarebbe dovuto concludere il 30 giugno 2016.
Le novità introdotte ridisegnano completamente le modalità di vendita.
a)Il passaggio in affitto non avverrà più il 30 giugno – che rimane il termine ultimo per presentare il piano di rilancio complessivo -, ma è rinviato a valle di una complessa fase che prevede l’approvazione di un piano ambientale con la relativa sostenibilità economica del progetto; questa procedura durerà circa 4 mesi.
b)In questo complesso meccanismo si inserisce – su richiesta motivata dell’acquirente – la possibilità di chiedere ulteriori 18 mesi di proroga, oltre la scadenza di giugno 2017, per l applicazione della rimanente parte delle prescrizioni dell’AIA o dell’approvato piano ambientale.
c) Viene concessa l’immunità penale, dopo i commissari, anche all’aggiudicatario del bando, ma solo nelle more dell’applicazione del piano ambientale.
d) I prestiti concessi dallo Stato non dovranno più essere restituiti dall’aggiudicatario ma dall’amministrazione straordinaria, in via prioritaria rispetto a tutti gli altri debiti.
Lascia costernati la mancanza di un piano chiaro e il continuo cambio di strategia del governo (o meglio dei Governi: da Monti a Renzi passando per Letta), di cui il numero spropositato di decreti sul tema è testimonianza. Ma probabilmente non tutto è frutto della solita pasticciona improvvisazione all’italiana: nella recente audizione alla Commissione Industria del Senato, infatti, gli emissari di Arcelor Mittal hanno candidamente ammesso di aver suggerito loro stessi al Governo la modifica della legge Marzano – utile a svincolarsi da vecchie pendenze-, e c’è da giurare che anche gli ultimi provvedimenti siano frutto di richieste delle cordate interessate all’acquisto e della volontà da parte del governo di disegnare la vendita espressamente sulle richieste dagli acquirenti stessi. Ma non è tutto. Nella suddetta audizione, gli uomini di Arcelor Mittal- che, insieme a Marcegaglia ed eventualmente Cassa Depositi e Prestiti, rappresentano uno dei consorzi favoriti all’acquisizione dell’Ilva, in contrapposizione all’altro composto da Arvedi, i turchi di Erdemir, Cassa Depositi e Prestiti, e il proprietario di Luxottica, Del Vecchio, tramite l’holding di famiglia Delfin – hanno tracciato le linee guida del piano di rilancio: categorico no al sistema ibrido con innesto di forni elettrici, ampliamento della gamma di prodotti a maggior valore aggiunto, modifica dell’AIA, produzione di sei milioni di tonnellate destinati principalmente al mercato interno, nessuna chiarezza sui centri minori e soprattutto un adeguamento dei costi fissi in base alla produzione – che potrebbe voler dire tagli occupazionali.
Se queste sono le premesse il quadro non può che essere fosco.
Alcuni sindacati provano, ancora troppo timidamente, a lanciare l’allarme; nel frattempo in fabbrica si va avanti quasi per inerzia. Grazie soprattutto all’enorme professionalità di operai e tecnici che, con poche certezze e alcune speranze, non del tutto consapevoli di ciò che potrebbe accadere, confusi e travolti da innumerevoli problemi piccoli e grandi, provano a mandare avanti la baracca.
Ma se la fabbrica e suoi dipendenti appaiono confusi, la città non è da meno: incapace di trovare un equilibrio-anche tra i suoi soggetti più attivi-; con un dibattito che fatica ad andare oltre la pregiudiziale della salvezza o del superamento dell’Ilva, il cui futuro continua a rimanere un elemento di divisione, nonostante i giudizi negativi sui vari decreti siano, sia pur con sfumature diverse, quasi sempre condivisi.
Con le elezioni comunali sempre più vicine, nonostante l’intensificarsi di assemblee dal basso- ma sempre entro certi limiti già decisi a tavolino-, e proclami ormai logori e abusati; nonostante le originali proteste – come quella, per forza di cose destinate a poche persone, di boicottare la Cassa Depositi e Prestiti sottraendole i propri risparmi -; nonostante la buona volontà di chi vorrebbe tendere l’orecchio ai bisogni concreti della gente comune; l’unico risultato ottenuto è quello di rimanere fermi, divisi, indecisi sul da farsi, sordi a quello che è probabilmente il prioritario bisogno della comunità: un lavoro decente e un po’ di serenità per il futuro! E magari ad averceli i risparmi da spostare…
E mentre l’ASL, nell’aggiornamento dati del registro tumori per gli anni 2006-2011, drammaticamente ci ricorda che ”Dai risultati evidenziati occorre sottolineare che indipendentemente dall’eventuale riduzione dell’esposizione all’inquinamento ambientale risulterà evidente ancora per molti anni l’eccesso delle patologie oncologiche nell’area a rischio”, resta un incredibile contraddizione: nella fabbrica a più alta concentrazione di dipendenti- circa 11500, di cui quasi quattromila di Taranto, che arrivano a quasi diecimila se si conta tutta la provincia-, in una città con una disoccupazione crescente che rappresenta uno dei problemi maggiori, con episodi di criminalità diffusa e in aumento ai quali ormai ci stiamo silenziosamente abituando, ancora in pochi si pongono il problema- magari studiando una strategia per affrontarlo-, di come si possa affrontare una situazione complessa che rischia di mandare in frantumi una grossa fetta dell’industria e dell’economia del paese oltre che qualche migliaia di posti di lavoro, che nella situazione di Taranto sarebbe il dramma più grande che possa capitare.
Nonostante il futuro dell’Ilva sia l’elemento centrale del dibattito cittadino, tutti ormai appaiono rassegnati a far scorrere le cose da sé, quasi consapevoli di essere solo spettatori: nessuna unità d’intenti, nessuna proposta complessiva, solo azioni, ricorsi e slogan fine a se stessi.
La sensazione è che ne potrebbero arrivare altri 10 100 o 1000 di decreti sull’ilva, a Taranto non accadrebbe nulla di realmente rilevante. E se è vero che il governo e le istituzioni non sanno bene come affrontare la sfida, neanche la popolazione nella sua totalità appare capace di capire pienamente cosa voglia fare e soprattutto in quale direzione voglia andare.