«Non è giusto fare questa vita di merda dicevano gli operai nell’assemblea nei capannelli alle porte. Tutta la roba tutta la ricchezza che produciamo è nostra. Ora basta. Non ne possiamo più di essere della roba della merce venduta anche noi. Noi vogliamo tutto. Tutta la ricchezza tutto il potere e niente lavoro. Cosa c’entriamo noi col lavoro. Cominciavamo a avercela su a volere lottare non perché il lavoro non perché il padrone è cattivo ma perché esiste».
Sarebbe sciocco oggi presentare questo libro, che racconta le lotte del 1969, volendo fare un paragone tra la classe operaia di allora e quella di oggi. Sciocco sarebbe raccontare questo libro senza tenere presente che la figura dell’operaio è notevolmente mutata nei suoi rapporti di forza con il sistema. ‘Vogliamo tutto’ è il libro degli/sugli operai. Balestrini veste la prima persona di un operaio del sud che decide di “Andare al nord a fare lo sviluppo. Perché a loro su gli serviva il nostro sottosviluppo per farlo”. E giunti nella Torino del ’69 che scopriamo durante i 50 giorni di sciopero a oltranza che la questione non è l’aumento della busta paga, ma la volontà di distruggere un sistema, il padrone.
Ovviamente oggi, qui, le espressioni del capitale, nella sostanza non mutano. Potremmo cominciare col sovvertire la frase prima citata ‘’Vennero al sud a fare lo sviluppo. Perché a loro su gli serviva il nostro sottosviluppo per farlo.’’ – ma soprattutto per farlo in un certo modo. E potremmo proseguire con il crescere della frustrazione e della rabbia per lo sfruttamento, i ritmi di produzione, le condizioni di lavoro che fanno emergere una coscienza di classe, la quale comprende che la lotta deve essere proseguita oltre i circuiti democratici rappresentati dai sindacati, oltre le contrattazioni collettive e gli scioperi. Taranto per un attimo ha avvertito la necessità di questa coscienza, ha sognato di andare oltre anche i facili ambientalismi e slogan, ha mostrato il volto duro della grande beffa al padrone, basti ricordare il 2 agosto 2012. Cosa è mancato dopo? Ognuno ha la propria risposta.
Punto cardine di quest’opera è il percorso di auto-determinazione che Balestrini ci mostra durante il racconto. Il protagonista – eroe tragico, epico – segue uno sviluppo che lo porta alla condizione collettiva, perché è uguale per tutti, con la conseguenza che il lavoro fa schifo e che va rifiutato. Un’idea che nasce da un filone diverso da quelle che erano le logiche dei movimenti operai del Partito comunista e dei sindacati, e che addirittura riesce a mettere in crisi quelle idee. Ma cosa vuol dire rifiuto del lavoro? Si tratta della conoscenza operaia del ciclo produttivo, la quale ha la capacità di fermarsi, sabotare, sottrarsi allo sfruttamento. Il tempo del lavoro diventa dunque tempo liberato dal lavoro, attraverso la lotta e la cooperazione. Il tempo del non lavoro diviene tempo di scambio, ricchezza, comunicazione, conoscenza sociale, molto banalmente tempo di vita.
E lì finalmente ebbi la soddisfazione di scoprire che le cose che pensavo io da anni da quando lavoravo le cose che credevo essere solo io a pensarle le pensavano tutti. E che noi eravamo veramente tutti la stessa cosa. Che differenza c’era fra me e un altro operaio? Che differenza ci poteva essere? Che magari quello pesava di piú era piú alto o piú basso c’aveva il vestito di un altro colore o non so.
Ma la cosa che non aveva differenza era la nostra volontà la nostra logica la nostra scoperta che il lavoro è l’unico nemico l’unica malattia. Era l’odio che avevamo tutti quanti per questo lavoro e per i padroni che ci obbligavano a farlo. Era per questo che tutti stavamo incazzati era per questo che quando non scioperavamo ci mettevamo in mutua. Per evitare quella galera dove ci portavano via la nostra libertà e la nostra forza tutti i giorni. Questi pensieri che io facevo da molto tempo per cazzi miei finalmente vedevo che erano quello che tutti pensavano e dicevano. E le lotte che fino allora facevo per cazzi miei contro il lavoro avevo visto che erano lotte che tutti noi potevamo farle insieme e cosí vincerle.
Discorso questo che meriterebbe un approfondimento saggistico a parte, che possa partire dalle lotte dell’autonomia operaia di quegli anni e giungere sino ad oggi, magari ri-declinato e accostato ad un altro importante argomento: il reddito di base. Ma per il momento, buona lettura!
[1] Il tipo di scrittura utilizzato da Balestrini si libera appositamente quanto più possibile dalla punteggiatura, sperimentando il parlato, spesso anche sgrammaticato, con l’utilizzo di gerghi dialettali che rendano nell’immediato l’espressione del parlante.
[2] Foto ‘2 agosto 2012’ di Andrea Rotelli