Con questo articolo Siderlandia inaugura una rubrica dedicata alla storia del Taranto calcio, “Tarde Nuestr”. Giuseppe Andriani, giovane giornalista sportivo tarantino, ci farà rivivere gioie e dolori, grandi personalità e momenti bui della storia rossoblu. Buona lettura!
Iniziamo da qui. Da una delle partite più belle della storia recente del Taranto, ma forse anche quella più dolorosa.
Giugno, fa caldo. Si suda. L’amico più vicino spesso suda più di te, e magari si attacca ancora un po’. Perché a Taranto può far caldo quanto vuoi ma durante i play-off ti si gela il sangue. Ma quello che successe il 5 Giugno 2011 prescinde da ogni logica. È il ritratto fedele, a tinte scure, di cosa è stato il Taranto degli ultimi 15 anni. Come un film di Dario Argento, con il finale triste. Perché sembra quasi che il Taranto al finale triste sia abituato. Come se dovesse ancora arrivare il regista che scrive il finale bello.
Taranto viveva nell’illusione. L’illusione dei 3.500 che partirono alla volta di Roma, del Flaminio, per una semifinale play-off. L’ennesima occasione della vita. Il viaggio della speranza. Che non tenne conto di un risultato negativo all’andata (0-1) che costringeva il Taranto a dover vincere con almeno due gol di scarto. E c’eravamo quasi. Prosperi fece esultare il settore ospiti: ce lo eravamo detti anche in settimana, bisogna segnare subito e poi sperare. E poi pregare. Prosperi fece la prima parte, la sua. Andando a realizzare un gol che sarebbe stato termine di paragone per tutte le sue marcature successive, tanto che “ha segnato Prosperi, come a Roma”.
C’è ancora tanto tempo. Ma all’inizio del secondo tempo da una mischia spunta Di Deo: è gol. Il Taranto sarebbe in finale. Bisogna solo resistere. Ma dura solo 12 minuti: Mazzeo fa il 2-1, e cala nuovamente il silenzio. Il viaggio della speranza è anche quello di Guazzo, che entra per dare la scossa. Da rimanerci fulminati. Guazzo, che non aveva mai segnato con la maglia del Taranto. Guazzo, che raccoglie una palla di Girardi e mette il piede proprio lì, dove Ambrosi non può arrivare. La palla ci mette quasi un secondo per entrare in rete: il secondo più lungo. Ma è gol. Il Taranto sarebbe di nuovo in finale, e mancano 7 minuti.
Sono troppi. In cuor nostro ce l’aspettavamo tutti. Ce lo diceva anche Paul Ashworth, il protagonista di Febbre a 90: “Adesso salgono e segnano, vedrai se non lo fanno…”. Nel film non succede, ma Atletico Roma-Taranto non è un film. E succede. Al 90′ una palla in area, qualcuno si abbassa e Padella va a realizzare. Ironia della sorte: dalla Padella alla brace, ma sarebbe banale, me ne rendo conto. Ed è un po’ banale anche il finale di questa storia troppe volte ripetuta.
Volevo partire così nel ripercorrere la storia del Taranto. Da un momento triste. Da una curva che applaude una squadra che ha perso, o meglio che ha conquistato la vittoria più inutile della propria storia. Le lacrime di Roma sono, nonostante tutto, uno specchio limpido di quello che è stato il Taranto degli ultimi 20 anni. Un film drammatico. E d’amore.