È facile pensare che nessuno può capire cosa significhi vivere a Taranto meglio di chi ci vive tutti i giorni. E probabilmente è vero. Ma è anche vero che un punto di vista esterno – e giocoforza meno coinvolto – può far emergere più lucidamente quali sono i problemi che attanagliano una comunità.
Devo ammettere che mi sono avvicinato a Buongiorno Taranto un po’ scetticamente. Di solito, il cosiddetto punto di vista esterno è buono solo a mettere in luce – come se ce ne fosse bisogno – il disastro sanitario che, è bene ricordarlo, è solo uno dei tanti aspetti del disastro perpetrato in riva allo Ionio. Sono bastati invece 80 minuti (tanto dura il documentario) per ricredermi: Paolo Pisanelli – che, appunto, tarantino non è – compie davvero un lavoro di tutto rispetto, e gli va dato il merito di aver creato un documento con un progetto dal basso, finanziato in parte dall’Apulia Film Commission e da un contributo collettivo di 5000 euro. Un documento utile anche per chi in futuro vorrà avere un’idea piuttosto chiara e vertiera sulla situazione e sul contesto che ha vissuto la città dall’esplosione dell’inchiesta giudiziaria ai danni dell’Ilv a e del Gruppo Riva.
Buongiorno Taranto è un progetto articolato, che ha come forma finale quella del documentario a cui hanno assistito in anteprima circa trecento persone ai piedi del palco che dopo poco più di 36 ore sarebbe stato calcato dagli artisti per il concertone.
La pellicola è un indagine a tutto campo, compiuta grazie all’aiuto di una radio web costituita per l’occasione che funge anche da voce narrante.
Difficile immaginare di riuscire a parlare compiutamente di tutti i problemi di Taranto in poco meno di un’ora e mezza, ma Pisanelli e la redazione della radio web ci riescono, riuscendo focalizzare – ma senza tentare di semplificare – le questioni che più sono a cuore della cittadinanza tarantina: dal degrado dell’urbanistica periferica a quello di città vecchia, dall’opprimente presenza degli insediamenti della Marina Militare all’Ilva, con la capacità di interpellare alcune tra le persone più qualificate a raccontare di queste realtà. Ma non si dimentica di dar voce sia a chi è avulso dai contesti di discussione cittadina, sia a chi cerca quotidianamente di praticare l’alternativa. Un’opera quasi impossibile!
Il documentario ricorda anche quanto l’installazione del siderurgico nel territorio Ionico sia stata salutata con entusiasmo dalla popolazione di una città “ancora arretrata e dedita all’agricoltura”, come apprendiamo dai video d’archivio registrati negli anni di espansione economico-urbanistica di Taranto. Inserire questi video datati, che sembrano ancora risentire come stile del metodo propagandistico dell’Istituto Luce, è una scelta quanto mai indovinata, soprattutto quando si vuol far notare come questi cinegiornali esaltassero il nuovo piano regolatore approvato in quegli anni di grande e incontrollata espansione, sfocando poi sulla realtà attuale di quelle zone, dove il degrado emerge senza bisogno di commenti ulteriori.
Se dovessi azzardare il quantitativo esatto delle ore di filmato girate, di certo esagererei al ribasso: il materiale raccolto è davvero impressionante per la varietà e la particolarità di alcuni momenti che hanno forse inconsapevolmente segnato la storia delle vite e delle lotte dei tarantini. Questo di sicuro non gioca a vantaggio della qualità della fotografia complessiva, compensata in parte dalle interessanti musiche della band di Michele Riondino che sostengono bene il ritmo della narrazione.
Il film si limita forse eccessivamente appunto a documentare, senza lasciar trasparire accenni di alternativa. O forse no: la presenza dell’acqua sotto varie forme e angolature è praticamente una costante in quasi tutte le scene, a volte in maniera così preponderante da far tornare alla mente la mania di Tarkovskij per l’acqua come elemento di morte e vita.
Mi ha particolarmente impressionato la considerazione di una mamma dei tamburi, schiacciata dalla realtà che non lascia via di scampo a una vita segnata dal minerale nell’aria e sui panni e sui balconi: “mi sento come se stessi in una dittatura”. Ed effettivamente i cittadini della città appaiono più che mai incatenati ad un passato in cui la connivenza è stata quasi collettiva.
In questo senso mi permetto di parafrasare Marx: i cittadini di Taranto non hanno nulla da perdere, se non le loro catene. E, questo film lo ricorda, non sono rappresentate solo dall’Ilva e dalla diossina. I cittadini di Taranto hanno un mondo da guadagnare.
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