Probabilmente nessuno di noi lo ricorda, ma un giorno il sistema italiano prese in “prestito” da quello tedesco l’istituto della “sfiducia costruttiva”, che doveva permettere agli esecutivi locali di raggiungere una maggiore stabilità. L’istituto, così come concepito in Paesi come la Germania e la Spagna, prevede che il Parlamento non possa sfiduciare il Governo senza aver avanzato una proposta per un nuovo esecutivo, o un nuovo Primo Ministro. In sostanza, riadattandolo agli esecutivi locali, alla dipartita di un sindaco, ce ne sarebbe dovuto esser un altro pronto a prendere il suo posto. Questi, però, continuarono nella pratica delle dimissioni volontarie e l’istituto non venne mai utilizzato, per poi esser superato dalla legge sull’elezione diretta del Sindaco.
L’erronea, o quanto meno inadeguata, introduzione dell’istituto all’interno del sistema italiano fu frutto di una cattiva comparazione dei due ordinamenti, quello italiano e quello tedesco. Ossia, non ci si rese conto che in Italia mancavano i presupposti che facevano funzionare in Germania la sfiducia costruttiva: sostanziale bipartitismo, con un terzo piccolo partito che può risultare l’ago della bilancia; la possibilità per il Governo di guidare il Parlamento da una posizione di minoranza e la previsione dello “stato di emergenza legislativa” per affrontare le crisi.
Oggi la storia di questo errore potrebbe ripetersi. Ma questa volta l’effetto potrebbe produrre danni più gravi di una banale desuetudine. Perché stavolta si parla di legge elettorale e ad esser messe sul piatto della bilancia sono da una parte la stabilità degli esecutivi nazionali e dall’altra la rappresentatività del Parlamento.
Il segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, ha deciso di “prendere in prestito” il sistema elettorale spagnolo, senza però tener conto alcuno dei suoi sviluppi storici e politici, che per esempio si esprimono in un sistema bipolare, ma soprattutto bipartitico, quale assolutamente non è il nostro, né mai lo è stato.
Infatti, il sistema spagnolo è, sì, un proporzionale, ma strutturato in maniera tale che favorisca un sostanziale bipolarismo.
Nelle variazioni apportate dal segretario e dalla sua troupe, si prevede di mantenere il doppio turno, nel caso in cui nessuna delle liste raggiunga la maggioranza, di introdurre un premio di maggioranza al 35% (forse 38%), con sbarramento al 5% per le liste che corrono all’interno della coalizione, 12% per le coalizioni e 8% per le liste che corrono da sole. E, rullo di tamburi, non si parla di preferenze.
Insomma, il Dr. Frankenstein non avrebbe saputo far di meglio.
Delle tanto agognate preferenze si parla, dunque, poco e niente. I listini restano bloccati, continuando a non rispettare il giudizio di incostituzionalità del Porcellum. I più, da destra e da sinistra, si sono concentrati sulla grandezza delle circoscrizioni (troppo piccole) e, di sfuggita hanno parlato anche di preferenze.
Risuonano ormai lontani slogan come: “Ogni cittadino deve avere il diritto di scegliere il proprio candidato in Parlamento”, “Non vogliamo un parlamento di nominati, ma di eletti”, che oggi lasciano poco seguito ai fatti.
Ancora una volta non rispettando gli sviluppi storici del nostro sistema costituzionale, potrebbe essere che le preferenze in verità non le voglia nessuno.
Probabilmente, se ci si riflette un po’ su, introdurle potrebbe tradursi in un inasprimento delle regole del gioco. Per esempio non basterebbe più presentare un partito, ma sarebbe necessario presentare anche un candidato competitivo. A farne le spese sarebbero candidati poco conosciuti, o magari quelli molto conosciuti, ma per motivi poco edificanti. Parliamo di Forza Italia, come di Pd, ma anche del Movimento Cinque Stelle. Per esempio, Paola Taverna, prima che entrasse in Parlamento, in quanti la conoscevano? Ma, soprattutto, quanti l’avrebbero votata nonostante la conoscessero?
Gli elettori del M5S, non hanno votato per i candidati – perfetti sconosciuti conosciuti sul web – ma per il Movimento e, nel peggiore dei casi per Beppe Grillo, con la convinzione, magari, che in Parlamento ci sarebbe andato lui.
Ora fate un gioco, prendete tutti gli attuali parlamentari e chiedetevi quanti di loro avreste votato. Molti non li conoscete, lo so. Molti hanno delle facce molto curiose, so anche questo. Ma chi avrebbe meritato il vostro voto? Beh…ecco servitavi la risposta. Le preferenze meglio per tutti che restino fuori.