Mi accingo a parlare della storia di un gruppo di ragazzi che ha avuto il coraggio di emigrare al contrario, di tornare e costruire un lungo e complesso percorso che ha stravolto le vite di comunità dimenticate nell’entroterra salentino. Sto per narrare di quella che può sembrare una bella favola ma che ha trovato riscontri veri, pratici; che ha aiutato dei piccoli borghi dediti a decadente agricoltura a ritrovare la propria identità perduta e a coniugarla con un progresso socio-tecnologico con salde fondamenta etico-tradizionali. Sto per raccontarvi la storia del LUA, Laboratorio Urbano Aperto.
L’incontro con Mauro Lazzari del Lua è avvenuto in una sala dei Baraccamenti Cattolica ridonata alla fruibilità dai ragazzi delle Officine Tarantine che, occupando quegli spazi, cercano con umiltà e dedizione di innescare processi che partono dalla stesse esigenze con cui è nato il Lua: ridisegnare le proprie tradizioni per darsi risposte esistenziali.
Non è un caso che i promotori dell’incontro, architetti e ingegneri che stanno mettendo a disposizione delle “Officine” le loro competenze, abbiano scelto proprio quello spazio e quella sala poiché, mentre una comunità di giovani si mette in gioco e lavora per dare concretezza ai propri sogni e bisogni, le uniche risposte delle amministrazioni locali sono reiterate minacce di sgombero e l’avvio dell’iter per la muratura dello stabile, con costi ingenti che potrebbero essere invece usati per aiutare gli occupanti nella loro impresa.
Ma ad essere troppo avventurosi e al contempo trasparenti si rischia di passare per folli.
Credo proprio che così siano apparsi i ragazzi del Lua – un gruppo di studenti fuorisede in buona parte indigeni – agli abitanti di San Cassiano, un paesino di poco più di duemila anime, quando nel 2003 hanno iniziato il loro lungo viaggio, di cui forse neanche conoscevano o immaginavano né tragitto né meta. Ma nella loro idea, questo paesino può diventare sede di un laboratorio socio-culturale dal basso. Fin qui, dirà il lettore, tante belle parole. Ma cerchiamo di capire come e cosa hanno significato per San Cassiano e i paesi limitrofi dieci anni di Lua.
Il Lua si basa su un no secco ai processi deterministici: troppi sono gli esempi di rigetto verso progetti comunali come piazze e strade progettate da chi ha poco legame col territorio e che risultano poco funzionali creando più contraddizioni che benefici. Questo processo risulta inoltre inutile per costruire una visione diversa della vita in un piccolo paese rurale alla periferia dell’Impero. Occorre unire un sapere locale e tradizionale a un sapere esperto che può analizzare le situazioni con maggior oggettività.
I ragazzi del Lua danno allora il via a dei laboratori estivi di una settimana in cui si compiono ricerche su determinati temi, e a San Cassiano accorrono studenti ed esperti da tutta Italia. Si immagini come questi “forestieri” possano aver destato attenzione e sorpresa agli abitanti di un paese dell’arido entroterra salentino!
Per realizzare queste ricerche bisogna rispettare delle regole: la ricerca deve costituirsi con gli abitanti (per cui non erano mai accettati progetti precostituiti); il processo deve cercare di porre in conflitto, nel senso produttivo del termine, il sapere dell’abitante con quello dell’esperto; infine, bisogna aderire al tema dell’identità, poiché interrogarsi su questo tema dona la possibilità a tutti – anche ad abitanti più piccoli e più anziani – di esprimere con una certa libertà opinioni sulla propria visione di se stessi, del territorio, del mondo. Le ricerche sono state poi messe in relazione l’una con l’altra.
Questo sistema di ricerche è durato quasi dieci anni e in una prima fase tutto è nato tramite gruppi informali, con le amministrazioni in posizione sfiduciata e sorniona.
Dal 2004, la settimana di laboratori è strutturata in maniera più ampia, anche perché gli esperti che arrivano in paese, oltre a dare una ventata di vivacità culturale, innescano anche piccole economie. Non è stato difficile quindi incontrare il favore degli abitanti, anzi la sempre maggiore attesa per l’evento aiuta la manifestazione a diventare sempre più articolata: la scuola elementare, ad esempio, d’estate è diventata un piccolo ostello.
Se nel 2003 vi sono 62 partecipanti ai laboratori, con 22 ricerche e 1 comune coinvolto si arriva al 2011 con più di 1000 persone e 18 enti coinvolti, un’operazione che per le sue dimensioni ha sorpreso anche il più ottimista dei promotori.
San Cassiano e pian piano anche il circondario decidono di partire dalla discussione sull’identità, nel tentativo di cambiare la loro storia. L’identità non è qualcosa che può essere definita attraverso una dimensione immobile, ma è un concetto molteplice, fluido.
Ci si è resi conto col tempo che alla base di tutte le ricerche c’era il Bosco dei Paduli, un immenso oliveto, che nel passato ha rappresentato luogo dal quale scappare, dove miseria e arretratezza la faceva da padrone. Dall’altro lato, il fatto che tutto il bosco sia diviso in tanti piccoli lotti di proprietà degli abitanti del posto ha conservato anche una generale affezione.
Gli abitanti diventano allora stalker, accompagnatori (non chiaramente nell’accezione mediatica di molestatore, ma con riferimento cinematografico all’omonimo capolavoro di Tarkovskij, ndr) e la prima nota è la confusione che regna nell’assegnare i nomi ai posti del bosco. E quando il toponimo non è più riconosciuto come unico è un chiaro segnale di come si stia perdendo la memoria.
I primi risvolti pratici – e per certi versi rivoluzionari – arrivano nell’ultimo periodo di workshop, quando una parte delle persone che si occupavano del PPTR (Piano Paesaggistico Territoriale Regionale) partecipano al laboratorio a San Cassiano e da lì nascono le linee guida del nuovo piano paesaggistico sul rapporto città-campagna. Il comune di San Cassiano diventa uno dei primi comuni pugliesi ad acquisire il PUTT (Piano Urbanistico Tematico Territoriale del paesaggio) riconoscendo all’area dei Paduli rilevanza paesaggistica e allo stesso tempo aumentando l’indice di fabbricabilità delle aziende agricole, affinché l’intenzione di curare il paesaggio significhi di pari passo promuovere nuove e sperimentali politiche agricole. Insomma i Paduli, da zona degradata, diventano elemento potenziale di qualità del territorio.
Il tutto ha creato anche una consapevolezza ecologica dal basso: quando si è prospettata la possibilità di costruire un mega eolico nell’area è bastato davvero poco per costruire una coscienza comune che arginasse quel tipo di intervento, che poi è diventata massa critica costringendo la regione a circoscrivere l’area dei Paduli come “parco di ulivi secolari” pur non essendo un vero parco.
Che farne delle 150 ricerche sviluppate negli anni? Era necessario dimostrare che il percorso, oltre a dire cose giuste, raggiungesse virtuosismi anche all’atto pratico. Le ricerche allora vengono messe a sistema per costruire il nuovo piano di rigenerazione urbana, un vero e proprio piano urbanistico (una variante del piano regolatore, ndr) con San Cassiano capofila di dieci comuni che scelgono lavorare sull’agricoltura come settore di innesco per un processo di sviluppo e innovazione di borghi rurali nati sostanzialmente con e per quella pratica.
Un’agricoltura che non sia conservatrice, ma legata a princìpi e attività ad essa complementari.
Nasce quindi, attraverso il bando sui Laboratori Urbani, il progetto Abitare i Paduli e il Parco Agricolo Multifunzionale. È un progetto di attività ecosostenibili a sostegno del territorio che unisce cinque associazioni in comuni diversi, una sorta di gestori del parco, e che trattano Ospitalità Diffusa, Mobilità e Territorio, Gusto Artigianato e Imprese, Agricoltura e Ambiente, Percorsi e Beni Culturali: tematiche diverse, complementari l’uno all’altro. Sono formate da giovanissimi, provenienti da storie di precariato e disoccupazione, cresciuti con i laboratori e che rappresentano ora la linfa vitale del progetto. C’è inoltre il gruppo comunicazione, trasversale ai laboratori e che si occupa della promozione di tutte le azioni e le attività. Un vero sistema di promozione territoriale, dai costi economici e ambientali prossimi allo zero.
L’attività del Parco ruota attorno a tre eventi:
– Nidificare i Paduli: è il progetto di un albergo biodegradabile temporaneo e diffuso all’interno dell’oliveto: per offrire un’esperienza diretta con questo territorio occorre viverci dentro, farlo diventare luogo di contemplazione per una notte. È stato quindi lanciato un concorso internazionale in cui è stato chiesto di progettare la costruzione di rifugi temporanei per costruire un albergo biodegradabile utilizzando esclusivamente il materiale di scarto della produzione agricola dell’olio. I primi due progetti classificati, Lovo e Nido dei Paduli, hanno ricevuto in premio le sovvenzioni per autocostruirli, in una settimana di workshop all’interno dei Paduli a cui ha partecipato anche la commissione del concorso. In commissione figurava anche Elena Barthel di Rural Studio, una fondazione dell’Università dell’Alabama che si occupa di autocostruzione e i cui studenti hanno seguito dalle loro aule le operazioni del workshop Nidificare i Paduli. Da San Cassiano al mondo, per intenderci.
– Lampa!: se prima la zona era celebre per la produzione di olio lampante che veniva usato alla fine dell’800 in tutta Europa per la pubblica illuminazione, è ovvio che non è questo un settore che può risultare competitivo più di cento anni dopo. L’obiettivo era quindi innanzitutto decostruire la convinzione secondo cui l’olio alimentare prodotto da olivi secolari sia di cattiva qualità e i risultati, per ora, danno loro ragione. Prima sono stati ottenuti 450 olivi secolari in comodato d’uso, poi, attraverso i laboratori di Bollenti Spiriti, è stata attività una cooperativa multietnica che pratica metodi agricoli sperimentali e innovativi, dando vita a un olio extravergine con un tasso di acidità sorprendentemente basso e con diverse proprietà antiossidanti. L’anno prossimo l’attività entrerà a pieno regime e la quantità d’olio prodotta sarà tale da renderla economicamente autosostenibile.
– Raccontare i Paduli : si avvertiva la necessità di raccontare il parco, le sue storie, che molto spesso facevano solo parte della tradizione orale. Dal concorso letterario lanciato dal Lua a cui hanno partecipato diversi scrittori ne è nato un libro, Storie Lampanti, quindici racconti ai paduli (AA. VV., Lupo Editore)
Coniugare tradizione e innovazione è quindi possibile, a patto che si conosca la prima.
Alternative, ambiente, cura del territorio: parole vuote e oggi inflazionatissime, che nel caso del Lua hanno però assunto forma e sostanza.
www.laboratoriourbanoaperto.com
www.parcopaduli.it