Il prossimo 10 ottobre gli studenti inaugureranno l’autunno caldo. Quest’anno lo slogan sarà “Non me lo posso permettere” e si riferirà alle spese sempre più onerose che studenti medi e universitari dovranno affrontare per la propria formazione.
Lo spot che i ragazzi della Rete della Conoscenza, Link e Uds (Unione degli studenti medi) stanno spammando in giro per la rete ipotizza la spesa media di uno studente medio. Ovviamente lo spot tende all’assurdo esasperando le spese per libri, trasporti e materiale scolastico. Ma a ben guardare la finzione non è poi così distante dalla realtà se solo si pensa che a Taranto, città del meridione attanagliata dai morsi della crisi, uno studente medio arriva a spendere anche 70 euro per un libro di testo. Se poi si vuol volgere lo sguardo a agli studenti universitari la faccenda si inasprisce. Perché alle tasse universitarie, che vanno dai 450 agli 800 euro all’anno per uno studente avente reddito medio-basso, si dovranno aggiungere le spese di viaggio, nel caso in cui lo studente scelga di fare il pendolare, o quelle di affitto, nel caso in cui lo studente scegliesse di risiedere nella città in cui frequenta. Questo vuol dire che ogni mese lo studente costerà alla sua famiglia dai 450 agli 800 euro, tasse escluse.
Per molti la soluzione è restare a Taranto, ma, ironia del destino, proprio in questi giorni, si discute della chiusura di 3 corsi di laurea di cruciale importanza per il polo Jonico: Fisioterapia, Scienze Infermieristiche e Tecnico della Prevenzione Ambientale.
Pare che alla richiesta della Consigliera Regionale in quota PD, Annarita Lemma, di mantenere aperti i suddetti corsi, il Magnifico Rettore dell’Università di Bari (di cui Taranto è una succursale) abbia risposto con la solita filastrocca: non ci sono abbastanza fondi.
Strano!, verrebbe da pensare, proprio il Magnifico Antonio Uricchio, che tanto si è battuto per l’Università di Taranto, che tanto ha fatto per spostare la sede di Giurisprudenza da via Acton in via Duomo, “contribuendo notevolmente alla riqualificazione della città vecchia, producendo un notevole abbassamento della criminalità…”, diceva in campagna elettorale. Proprio lui liquida la questione in questo modo?
Ma, ahinoi, quando i fondi non ci sono c’è poco da fare! Solo che se i fondi non ci sono è perché, molto spesso, è il Governo centrale a non stanziarli, o a dividerli “secondo i meriti”.
Stiamo parlando dell’annosa questione dei Fondi di Finanziamento Ordinari, quelli che servono a tener su le università pubbliche e che il Governo centrale decide di redistribuire fra queste, secondo indicatori come, ad esempio, il numero di laureati in un anno, o il numero di occupati dopo la laurea, senza tener presente che questi fattori saranno fortemente influenzati dalla situazione socio-economico della zona in cui lo studente vive e si laurea.
Per intenderci, un laureato presso l’Università di Bari, residente a Taranto, in linea di massima, avrà più difficoltà a trovare lavoro nella propria città di un laureato presso l’Università di Milano, residente a Milano.
Quest’anno, a dispetto degli anni passati, l’FFO non sembra subire ulteriori tagli, anzi! Ma il lieve incremento registrato, come denuncia l’ADI – Associazione Dottorandi Italiani – “risulta ancora del tutto insufficiente a fronte degli oltre 800 milioni di euro di tagli accumulatisi dal 2008” e come se non bastasse l’inganno è che tale incremento, come sottolinea ancora l’ADI, “sarà interamente assorbito dall’aumento percentuale della quota premiale che passa dal 13,5% al 18% (arrivando così da 819.000.000 a 1.215.000.000 euro)”.
Cos’è la quota premiale? Una quota aggiuntiva che viene conferita agli atenei meritevoli, gli atenei d’eccellenza. “Tale repentino aumento percentuale della quota premiale imprime una pericolosa accelerazione al processo di selezione degli atenei ‘meritevoli’ che potranno raggiungere un livello di finanziamento adeguato alla propria programmazione, recuperando in parte le risorse progressivamente sottratte dal 2008 ad oggi, da tutti gli altri atenei che invece vedranno comprimersi ulteriormente il proprio FFO e quindi la possibilità di investire in una programmazione di qualità”, continuano i dottorandi.
Insomma anche quest’anno si inasprisce il divario fra Atenei di serie A ed Atenei di serie B, che rischia di diventare, in sostanza, un divario fra Atenei del Nord e centro Nord ed Atenei del sud.
Eppure il Governo Renzi (PD, partito della suddetta Consigliera Lemma) aveva fatto dell’istruzione e della formazione il cavallo di battaglia di tutta la campagna elettorale. Anche se, ad onor del vero, non aveva certo parlato di istruzione per tutti.
La fine di questa lunga storia potrebbe essere molto pericolosa, soprattutto per Taranto.
L’Università ed i licei contribuiscono non solo a mantenere attiva l’economia di una città, ma, cosa più importante, da centri di formazione diventano naturalmente centri di civilizzazione.
La cultura è come un virus, si diffonde lentamente, cammina sulle nostre gambe e si esprime con le nostre voci. Questo, in soldoni, significa che se anche il salumiere sotto casa, ad esempio, non sapesse cosa sia l’articolo 18, glielo potrebbe spiegare lo studente di economia, o di giurisprudenza, o di ingegneria, o anche lo studente medio, lo stesso che quotidianamente va a comprar lì il panino a merenda, o la brioches a colazione.
È evidente che i governi degli ultimi venti anni hanno lentamente bloccato questo processo di diffusione dei saperi, fino ad arrivare ad eliminare i centri stessi del sapere. A molti piace pensare che il tutto sia stato fatto senza troppa malizia. Ma la verità è che un popolo ignorante è un popolo che si lascia raggirare più facilmente.
E qui arriviamo al punto. La cultura e l’istruzione non sono un vezzo da intellettuali.
Gli uomini sono fatti per vivere in società e non in sistemi chiusi. Si danno un codice di leggi per poter coesistere in comunità pacifiche, eleggono rappresentanti che, seguendo tali leggi, mantengano la pace e la giustizia.
Ma se arrivasse il giorno in cui quegli stessi rappresentanti facessero il possibile per rendere incomprensibili quelle leggi, privando il popolo della necessaria istruzione per poterle comprendere, al fine di modificarle e con esse modificare il regime di uguaglianza e di giustizia, allora a quel popolo resterebbero solo due cose da fare: piegarsi al giogo del padrone e diventare schiavi, oppure emigrare.
Credete ancora che tutto questo non stia accadendo a voi?