Molti ragazzi convivono, e non di rado capita di dover convivere con gente davvero bizzarra. Prima o poi tutti gli studenti fuorisede hanno a che fare con un coinquilino un po’ sopra le righe. Un esempio? I miei due coinquilini…
Sarà capitato anche a voi di dover condividere casa con qualcuno di singolare.
Dunque, parliamo di Nico. Quando il signor Lo Jacono ce lo portò in casa per mostrargliela, ci sembrò – a me e a Francesca – un ragazzo comune. Il tipico ragazzo della porta accanto, e lo sarebbe stato letteralmente perché aveva preso in affitto la singola accanto alla nostra. Aveva diciannove anni ed era alla sua prima esperienza di fuorisede. Alto, in forma, sbarbato, capello a frangetta storta, sorriso sornione.
Nico era mattiniero. La mattina successiva al trasferimento trovai sul tavolo la tazzona con i residui di yogurt e cereali integrali. Una sana abitudine senza dubbio. Lasciai un post-it sul frigorifero: “Ciao, Nico. Ti spiace mettere la tazza nel lavabo quando finisci? Grazie”.
Tornai a casa per le due e avevo una fame cagna. Francesca non sarebbe tornata prima delle tre, ma lei pranzava fuori, non l’avrei aspettata. Nico aveva letto il messaggio: la tazza della colazione e i piatti, il bicchiere e le pentole che aveva usato erano nel lavabo. Luride di sugo e carne, ma erano lì. Un passo alla volta, mi dissi. Un passo alla volta.
Riscaldai una porzione di lasagne e una fettina di pollo. Presi il caffè e lavai le stoviglie, mie e sue. Bussai alla sua porta e, cortesemente, mi fece entrare. Era al computer.
«Ciao, Nico.»
«Ehilà, Adri.»
«Come andiamo, Nico? Ti trovi bene qui?»
«Ti dirò, la casa è un po’ vecchia.»
«Be’, sì, ma a questo prezzo… senti, comunque, volevo dirti solo una cosa: quando finisci di mangiare, se puoi dare un colpo di spugna… okay?»
Nico mi guardò e fece il musetto. Scrollò le spalle e mugugnò. Lo presi per un sì.
Non ci crederete, mi ascoltò! Già dal mattino successivo non trovai più la tazza di yogurt, e, a pranzo, nemmeno un piatto usato e non lavato. Ero fiero di me stesso, dimostravo di essere un buon padrone di casa, almeno fino alla settimana successiva.
Era ora di pranzo, Francesca borbottava e le chiesi cosa non andasse.
«Mancano tutte le pentole e sono rimasti solo i piatti fondi.»
«Guarda meglio.»
«E la padella per la carne? Sono giorni che è sparita.»
«Dove vuoi che siano andate a finire.»
«Sì, ora va a finire che è colpa mia. Comunque, vai a dare un’occhiata al gabinetto. Lo scarico non funziona di nuovo. Sale una puzza…»
Non era la prima volta che lo scarico si otturava. In bagno, pigiai un paio di volte il tasto, ma lo scarico funzionava. Eppure Francesca aveva ragione, c’era una puzza strana. Un odore batterico, c’era qualcosa che andava in fermentazione da quelle parti; anzi, diciamo pure in putrefazione. Non era in bagno. Mi misi a fare il segugio e annusai l’aria in cerca della fonte dell’odore. In corridoio la puzza era anche più forte! Seguii la scia e quando aprii la porta dello stanzino mi sentii come il nazista che scoperchia l’Arca; temetti davvero che mi si stesse sciogliendo la faccia.
Le stoviglie latitanti erano state stipate lì dentro. Lo yogurt nelle tazze era diventato ricotta; il sugo sui piatti da rosso si era fatto nero e le croste di carne nelle padelle sembravano essersi fuse con l’acciaio.
Bussai alla porta di Nico, mi fece entrare. Stava giocando al computer. Mi sedetti vicino a lui, gli sorrisi e fui ricambiato. Gli diedi un buffetto sulla gamba e, così per rompere il ghiaccio, gli chiesi a cosa stesse giocando. Passò l’ora successiva a illustrarmi il gameplay di Toy Story 2.
Ad un certo punto, dissi «Nico, comunque quello che hai fatto non è bello.»
«Vabbè, ho perso tre vite, ma alla fine Zurg l’ho sconfitto.»
«No, Nico, parlavo di quello che hai fatto nel senso che non hai fatto. I piatti…»
Fece il musetto. «Ah.»
«Io e Francesca ci siamo rimasti un po’ male. Sarebbe il caso che tu ora rimediassi, non credi?»
Fece spallucce, come a dire «sì, può essere» e andò via.
Mi sarei tanto voluto dare pacche sulle spalle. Venti minuti dopo, in camera mia, ero nel mezzo dell’Ars Poetica e bussarono alla porta. «Adri, ehi, Adri.»
Nico, col grembiule e i guanti di gomma, apparve all’uscio.
«A quanti gradi devo impostare la lavastoviglie?»
Il mio sopracciglio raggiunse la nuca. «Non usiamo la lavastoviglie.»
Nico rizzò il suo ditino da proctologo saccente. «Molto stupido da parte vostra! Si fa prima.»
Alzai la voce. «Nico, noi non usiamo la lavastoviglie… perché non abbiamo una lavastoviglie!»
Fece di nuovo il suo musetto, socchiuse gli occhi sospettoso. «Ma va?»
Solo in quel momento ebbi la rivelazione, ma era già troppo tardi: il fracasso di porcellana e vetro centrifugati insieme e poi l’urlo di Francesca che rientrava in casa.
Il tecnico della lavatrice, invece, ebbe da ridire un bel po’, e anche Lo Jacono. La ceramica aveva lacerato i tubi come lamette in un esofago.
Per il resto dell’anno, cento euro in più sull’affitto.