C’è un tempo per tutto. Un tempo per lavorare, un tempo per restare a lavoro anche oltre l’orario di lavoro (raramente con straordinario retribuito), un tempo per portarsi il lavoro a casa (fine settimana e festivi inclusi), un tempo per cercare lavoro, un tempo per preparare concorsi/inviare curriculum/partecipare a colloqui/fare stage e tirocini (non sempre retribuiti), un tempo per pensare a che tipo di lavoro inventarsi per non restare senza lavoro. Quello che resta, al netto delle ore di sonno, è tempo per vivere.
Può sembrare paradossale, ma per la generazione che sconta i maggiori livelli di disoccupazione dal dopoguerra il lavoro è l’ossessione attorno alla quale tutto ruota: pensieri e angosce, ritmi e spostamenti. Per chi vive questa condizione è una constatazione persino banale, di cui raramente però si è consapevoli. O meglio: si dà per scontato che debba essere così, che sia una cosa in fondo naturale. La precarietà ci è entrata nelle ossa, e con essa la difficoltà a restare in rapporto con le cose che accadono oltre il nostro naso: le giornate si consumano nell’attesa di un appuntamento sempre rimandato, quello con la stabilità, novella Godot.
Il collettivo che anima Siderlandia non può sottrarsi (come potrebbe?) alla legge ferrea della nostra epoca. E’ per questo che, da un po’ di tempo a questa parte, non riusciamo a garantire una continuità nelle pubblicazioni. Ed è questo che ci porta, inevitabilmente, a rallentare. Rallentare per non finire stritolati dagli impegni quotidiani, ma anche per preservare la “formula” di Siderlandia: cercare al fondo del flusso impetuoso di informazioni e opinioni il senso di quello che ci sta accadendo come individui e come comunità.
Si tratta di un compito quanto mai necessario, oggi a Taranto. La crisi in cui si dibatte la nostra città non è solo sociale ed economica, ma è una vera e propria crisi di identità. Nella confusione che oggi avvolge gli atti della vita pubblica locale, tutto si mescola come in un caleidoscopio in cui luci e ombre si rifrangono senza produrre una visione chiara. Si sta come certe sétte di un lontano passato, a maledire il presente, ad annunciare la prossima venuta della Morte Nera, e ad attendere l’evento salvifico, che dovrebbe sancire “la rinascita” di Taranto. E con questo marchio si fanno passare anche le iniziative più improbabili, puntualmente presentate come occasioni di rilancio, di futuro. “Rilancio” e “futuro”, d’altra parte, sono parole chiave del discorso pubblico locale: è come se si vivesse in bilico fra un passato glorioso che si vorrebbe replicare e un domani utopico tutto da costruire. Intanto, sfugge il presente. Cos’è Taranto oggi? Quali forme assume la “crisi” in cui ci troviamo? Che tipo di dinamiche la caratterizzano e quali forze si muovono al suo interno? Si possono intravedere spiragli realistici dalla posizione in cui ci troviamo?
Qui ed ora, in profondità: questa è la dimensione in cui si colloca Siderlandia. Consapevoli di muoverci in una fitta tenebra con un solo lumicino a rischiararci il cammino, speriamo di incontrare tante e tanti altri che, come noi, preferiscono avventurarsi lungo i sentieri impervi del dubbio e della ricerca piuttosto che battere le vie sicure delle verità per fede. Anche solo per condividere un tratto di strada e quattro chiacchiere nella penombra. Ché la notte in qualche modo la si deve pur passare.