Chiudiamo in tristezza. Immagino il tempio dorico Taranto: il turismo fa da frontone e le nozioni culturali sono le colonne e i capitelli. Vedo questo tempio traballare pericolosamente, perché le colonne sono piene di crepe. O è solo una mia impressione?
Mario adorava il profumo della carta stampata al mattino. Per il suo naso da rosicchia-libri era anche più piacevole dell’aroma del bar dove sfornavano cornetti e pasticciotti fatti a mano. E poi all’edicola poteva farci entrare Argo; al bar non glielo avrebbero permesso.
Piero, il paffuto edicolante, leggeva il giornale sportivo, che abbassò quando avvertì il guaito del cane. «Oh, buongiorno, professore!»
«Carissimo.»
L’edicolante guardò di sotto e sospirò sognante. «Ah, vi siete fatto il cagnolino.»
«Per ora siamo solo amici» tossicchiò Mario.
«Cosa vi serve, professo’?»
«Dunque, vediamo…» borbottò il professore, torcendosi i peli ingrigiti sul mento. «L’ultimo numero di Historica con l’inserto su Aristofane e l’ultima uscita dei classici greci e latini per me. Per Argo, invece… sì, questo andrà bene.»
Aveva pescato dalle file di quotidiani un edizione con le foto dei ministri in prima pagina, e lo poggiò davanti a Piero, che strabuzzò gli occhi.
«Avete il cane che si interessa di politica?»
«Serve solo a stimolargli la diuresi.»
Mario pagò la spesa e uscì dall’edicola con i giornali e il libro sotto il braccio destro e il guinzaglio avvoltolato intorno all’avambraccio sinistro. Il cagnolino zampettava dietro di lui e guaiva, aveva la vescica piena. Camminarono fino a un alberello rinsecchito; Mario stese la prima pagina del quotidiano accanto a una radice contorta. Argo ci camminò sopra e sollevò la zampetta.
«Bravo, bravo Argo, ecco falla un po’ più a sinistra» e tirò un po’ il guinzaglio, in modo che Argo ingiallisse il primo piano del Ministro della Cultura. «Come ti invidio, Argo mio…»
Il cane era passato a fare qualcosa di più solido sopra un selfie del Primo Ministro, quando qualcuno disturbò la quiete del momento. «Buongiorno, ha due minuti da dedicarmi?» E Mario rabbrividì, preparandosi al peggio.
Come si voltò disse: «Non ho soldi, sono agnostico e ho strappato la tessera elettorale.»
Il disturbatore poteva avere diciotto o diciannove anni; barba lunga e cilindrica delineata e curata meglio di una siepe artistica, baffoni a manubrio, capelli a crestina e occhialoni da sole con montatura verde limone. Indossava una maglietta bianca che quasi scoppiava da sopra i muscoli esageratamente gonfi. Gli aveva già allungato penna e modulo.
«Si tratta di cultura, signore. Per il rilancio culturale della città.»
«In questo caso hai tutta la mia attenzione.»
«Vogliamo intitolare via Rintone a Spartaco.»
Mario strizzò gli occhi e fissò serio il disturbatore. «Uhm… dài un senso a ciò che hai appena detto, per favore.» Era la sua indole da vecchio professore che veniva nuovamente fuori, il ricordo di centinaia di interrogazioni.
«Per il rilancio della città.»
«E questo l’hai già detto, ma perché sostituire il nome del grande commediografo tarantino con quello di un personaggio che con Taranto non c’entra nulla?»
Il disturbatore sorrise fieramente, come a dire “e qui ti volevo!”. Alzò l’indice e parlò. «Perché Taranto è fondata dagli spartani, e Spartaco era spartano, quindi Spartaco era della stessa razza dei tarantini.»
Ah, come sentiva la mancanza del suo registro! Se lo avesse avuto tra le mani, avrebbe segnato un due per ogni casella fino alla fine della carta, tutte per quel disturbatore! Due dall’inizio alla fine del quinquennio, senza neanche una possibilità di recupero.
«Sillogismo curioso. Da qualche parte lassù Aristotele si starà chiedendo il perché di tutto questo. Ricapitolando: Spartaco era spartano e tu sei serio mentre lo dici.»
«Ma non è chiaro?» sbottò quello. «Se ce l’ha scritto nel nome che era spartano! Sparta-co.»
«Non so che libri di storia usi tu, ma Spartaco è trace da duemila anni. Se poi lui ha aggiornato il profilo Facebook negli ultimi dieci minuti, io non posso saperlo.»
«No, no, no!» incalzò il disturbatore. «Spartaco era spartano perché il suo nome vuol dire “di Sparta”. C’è scritto pure su Wikipedia.»
«Ah, be’, se è scritto su Wikipedia… fonti attendibilissime, eh?»
Si batté il petto. «Ehi, guarda che su Wiki ci scrivo pure io.»
Mario si chinò, raccolse il giornale lercio per i quattro angoli e lo appallottolò. Lo mise sul modulo delle firme e sospirò «Ragazzo mio, sentirti parlare mi fa desiderare di bruciare la laurea in lettere classiche e di darmi ai tutorial di make- up. A ogni modo, in bocca al lupo per la petizione.» Fece l’occhiolino, gli diede una pacca sulla spalla e lo lasciò con le mani impacciate dalla cacca di cane.
Mentre si allontanava, Argo alle calcagna, sentì le parole urlate del disturbatore: «Che poi vai a vedere la pagina della serie tv Spartacus, su Facebook! Tre milioni e seicentomila fan! Tutti potenziali turisti! Tutti potenziali turisti!»
Mario sospirò e girò l’angolo. Argo dietro di lui.