L’ultimo posto nella classifica di gradimento dei Sindaci d’Italia rappresenta senz’altro il punto più basso della parabola politica di Ezio Stefàno, se non addirittura il preludio alla sua conclusione. Le ragioni del crollo sono sotto gli occhi di tutti: alla mancanza di azione strategica che ha caratterizzato dagli esordi le giunte Stefàno, nell’ultimo anno si è aggiunto un cortocircuito che ha fatto saltare definitivamente la comunicazione fra la Città e il Sindaco. Stretta nella morsa della crisi economica e della catastrofe ambientale, la comunità jonica è piombata nella completa incertezza, dove ha iniziato a cercare possibili punti di riferimento cui aggrapparsi per ritrovare un minimo di fiducia nel futuro. Stefàno non ha saputo rappresentare la “guida” invocata da molti e le attese suscitate all’epoca della sua prima elezione si sono trasformate in disillusione, disprezzo, risentimento.
I rischi che questa situazione prospetta sono di notevole portata. L’idea per cui il prossimo sindaco possa essere “chiunque purché non sia Stefàno” è la stessa che nel recente passato ha portato i tarantini a scelte catastrofiche, da Cito in avanti. Occorre quindi guardare in faccia la realtà e cercare soluzioni che facciano tesoro della nostra storia travagliata e provino a fermare la deriva che abbiamo imboccato.
Il primo di questi rischi è implicito nella dinamica cui si accennava sopra. La propensione verso l’“uomo della provvidenza” è una costante delle fasi di crisi acuta. A Taranto lo abbiamo sperimentato drammaticamente all’inizio degli anni ’90. In questo momento tutti gli elementi che potrebbero riprodurre quello stesso esito si presentano in scala allargata rispetto al passato. Il crollo della credibilità delle forze politiche e delle stesse istituzioni, soprattutto dopo l’emersione del sistema di potere che gravitava attorno ai rapporti con l’Ilva, ha raggiunto livelli inauditi; il malessere sociale ha assunto risvolti inquietanti, che si misurano in termini di disoccupazione giovanile dilagante e di esclusione sociale che ormai riguarda strati sempre più ampi di popolazione; la stessa struttura economica è al collasso e l’eventuale fermo dell’Ilva, nelle attuali condizioni, rappresenterebbe il colpo di grazia. In questo stato di cose l’opzione del leader carismatico è virtualmente la più forte in campo. Chi saprà vestire quei panni avrà la città ai suoi piedi.
A questo rischio se ne associa un altro: “l’opzione del Gattopardo”. Scaricare tutte le responsabilità per la gestione della cosa pubblica locale negli ultimi anni sulle spalle del solo Stefàno vuol dire, in definitiva, favorire operazioni trasformistiche – alcune delle quali già in atto – a vantaggio degli stessi interessi che continuano a tenere ben strette le mani su Taranto. Quanto convenga a questi soggetti non mollare la presa lo dimostra il bando di gara per la bonifica del territorio pubblicato di recente. La “borghesia stracciona” di casa nostra, che dalla fine dell’Ottocento si è sempre nutrita di appalti, non vorrà disdegnare le cifre milionarie che ruotano intorno a quell’operazione; e, allo stesso tempo, proprio la rilevanza della posta in gioco potrebbe scatenare la rottura di equilibri consolidati, innescando dinamiche dagli esiti imprevedibili (come sembrai emergere dalle indagini sugli attentati di cui è stata fatta recentemente oggetto la locale sede di Confindustria).
A questo proposito va segnalato che mai come in questi ultimi mesi è stata forte la sensazione che le decisioni cruciali per la vita della nostra comunità venissero prese in sedi distanti rispetto a quelle istituzionali. Lo squallore del dibattito in Consiglio Comunale e la mancanza di trasparenza da parte degli uffici dell’Amministrazione hanno alimentato anche negli spiriti meno inclini al complottismo il sospetto che il “centro del potere” si sia ormai collocato stabilmente altrove. Palazzo di Città è uno scrigno vuoto; le decisioni sembrano emergere da una vasta “zona grigia” in cui la collusione fra rappresentanti politici, responsabili delle amministrazioni ed esponenti del mondo degli affari è un’abitudine consolidata, che è inutile anche giustificare, e che scandalizza solo gli ingenui. Quanto portato alla luce da “Ambiente svenduto” non è che la punta dell’iceberg: in profondità c’è un mondo fatto di confidenza reciproca e insanabili conflitti di interessi, che condiziona profondamente l’azione del Comune. Non è stato Stefàno a inventare tutto questo: si tratta di un’eredità di lungo corso; egli tuttavia ha perpetuato lo status quo, collocandosi così in antitesi rispetto alle promesse del 2007. Cambiare maschera a questa finzione, lasciando inalterata la struttura profonda del potere, vorrebbe dire condannare questa città ad un finale da repubblica delle banane, in cui una ristretta cerchia di notabili (a cui non sarebbe estranea la stessa criminalità) si assicurerebbe prebende e favori – lottando anche ferocemente al suo interno per chi deve garantirsi la parte migliore –, mentre il resto della popolazione sarebbe abbandonato in uno stato di miseria crescente.
L’opzione del leader carismatico e quella del Gattopardo non sono incompatibili, come dimostra la stessa vicenda di Cito. Anzi, una strategia che voglia tutelare con successo i grandi interessi in questa fase non può non passare dall’individuazione di una figura tanto più popolare quanto opache e inconfessabili sono le operazioni che deve avallare.
Chi sinceramente desidera il cambiamento (per Taranto, e non solo) deve prendere atto di questo stato delle cose e delle sue possibili evoluzioni; e, se ritiene che sia il caso, disporsi ad agire di conseguenza. Il che potrebbe voler dire, per esempio, provare a costruire un progetto condiviso fra chi crede che le istituzioni non siano il fortino da assaltare per garantire una rendita a sé e ai propri “amici”, bensì uno strumento (limitato ma essenziale) per ribaltare situazioni di ingiustizia (economica, sociale, ambientale ecc.). Il punto è fissare la soglia del conflitto attorno alla questione fondamentale dei rapporti di potere, evidenziando vicinanze anche fra chi non condivide la stessa posizione su singoli temi, ma vive la medesima condizione di estraneità a quel mondo dove affari e politica si intrecciano generando spaventose storture. Per chi voglia fare seriamente politica di filo ancora da tessere ce n’è in quantità. Si spera che non resti in cantina.