Per la prima volta leggo un premio Strega. Provo una repulsione, innata e immotivata, per tutti i fenomeni di massa in tutti i campi, ma sopra ogni cosa in musica e letteratura.
La Ferocia di Nicola Lagioia è entrato tra i miei desiderata ancor prima di essere candidato al tanto discusso Premio. Vivevo ancora a Trani; nel gennaio scorso i miei amici Alessandro e Alice, della Libreria Luna di Sabbia, hanno ospitato lo scrittore barese per presentare il suo ultimo lavoro editoriale pubblicato da Einaudi. È stata una bellissima presentazione ma non ho letto né acquistato il suo libro in quel momento: avevo deciso di aspettare che lo ripubblicassero in edizione economica.
Per farvela breve, a settembre era giunto il momento di leggere La Ferocia; non potevo più aspettare e mi sembrava anche che fosse la circostanza più adatta: abbastanza riposata grazie alla pausa estiva e non ancora immersa nella routine della vita lavorativa. In barba alla tirchieria, sono entrata in libreria e l’ho acquistato, anche con una certa euforia – devo ammetterlo.
Ho letto le prime 150 pagine in un giorno: sono scivolate via senza che me ne accorgessi. Ero completamente “stregata”. Lo stile di Lagioia è potente tanto quanto lo è la storia che racconta; ero completamente dipendente dalla sua lettura. Lagioia usa sapientemente la lingua italiana, attingendo a tutta la sua bellezza, vivacità e complessità e se qualcuno lo ha definito di difficile lettura forse è perché in Italia si è abituati a leggere altro visto il “fetido abbassamento della qualità media dei titoli italiani che popolano le nostre librerie”[1].
È la storia di una potente famiglia barese che possiede tutto e tutti perché può comprare tutto e tutti, ma non ha l’unica cosa che non si può comprare: l’amore.
La scena si apre con Clara, la secondogenita della famiglia Salvemini, che vaga nuda e coperta di sangue lungo la statale Bari-Taranto. Un camionista la vede sbucare all’improvviso e non può far nulla per evitarla e la investe. Il corpo verrà ritrovato ai piedi di un autosilo; si parlerà di suicidio.
Sarà Michele, il fratellastro – frutto della relazione extraconiugale del padre – ombroso e instabile, a indagare sulla morte della sorella, per scoprire perché colei a cui era così visceralmente legato ha deciso di togliersi la vita. La storia del suicidio, in fondo, non lo convince molto.
La Ferocia parla di noi, della nostra società, delle nostre debolezze.
Nicola Lagioia è venuto al quartiere Tamburi di Taranto per parlare del suo libro con gli ospiti della comunità terapeutica e riabilitativa “Airone”. Nonostante una leggera ritrosia iniziale, ha saputo conquistare subito il pubblico. Il suo essere un uomo semplice – sempre spettinato, gli occhiali mai allineati e in asse, l’aria di uno che è sempre in ritardo – non può lasciarti indifferente; è un uomo che ha una sensibilità estrema, è difficile non percepirlo.
Nessuno di loro aveva avuto l’opportunità di leggere il libro, ma si erano tutti preparati cercando recensioni su internet. Questo perché i libri nuovi, appena usciti in libreria, in particolare i casi editoriali, difficilmente arrivano in biblioteca nello stesso anno di pubblicazione, figuriamoci in una piccola comunità “di recupero”, e questo è un vero peccato…
Io quella sera sono arrivata presto (puntuale per tutto il resto delle persone che non sono ritardatarie croniche come me); ho preso posto tra le prime file. Non so perché, ma ho scelto di sedermi proprio a quel posto, accanto ad una ragazza con un taglio di capelli molto punk, una ragazza che dimostrava molti più anni di quelli che aveva in realtà.
Abbiamo cominciato a chiacchierare quando ho sentito che non sapeva se andare o meno a fare la sua domanda a Nicola Lagioia – un ragazzo prima di lei gliela aveva anticipata. Voleva chiedergli se fosse vero che il linguaggio del libro era difficile, troppo “arzigogolato”. Io, che sarei capace di parlare anche con le pietre – figuriamoci con una persona dal viso così dolce – mi sono intromessa e le ho detto che sì, è vero, il suo linguaggio è ricco ma per nulla difficile, che il libro lo avevo letto tutto d’un fiato. Alla fine si è alzata ed è andata a fare la sua domanda.
Sara mi ha conquistata con la sua dolcezza e la sua fragilità. Abbiamo chiacchierato a lungo, mi ha parlato del suo desiderio di iscriversi all’università. Abbiamo parlato di libri, del lavoro che faceva prima. Ho lasciato il mio numero alla sua educatrice, le ho detto che mi piacerebbe seguirla in un percorso di lettura. Mi ha spiegato che dalla comunità non può uscire, quindi non può tornare a casa o andare in libreria o in biblioteca; ha a sua disposizione una piccola biblioteca ma, da quanto ho potuto capire, non la soddisfano molto i titoli a sua disposizione.
Spero che mi chiami, spero di incontrarla ancora, spero di poter crescere assieme a lei. Non so perché, ma tra di noi c’è stata da subito una forte empatia.
Quando sono andata a salutare Nicola Lagioia, abbiamo avuto modo di parlare anche di Sara. Anche lui aveva colto non solo la sua fragilità e la sua dolcezza, ma anche il fatto che sia una ragazza davvero in gamba!
Ciascuno di noi ha le sue prigioni, ci sono tanti modi per evadere. Di scuro la lettura è il mio modo – e forse anche quello di Sara – per essere sempre altrove.
[1] Rossano Astremo, https://vertigine.wordpress.com/2014/10/07/nicola-lagioia-la-ferocia-einaudi-2014-recensione/