Sono le 20. L’orrore è servito

di Salvatore Romeo (’85)

Quando finalmente siete a casa, di ritorno dal lavoro o da un intensa giornata di studio od altre frustrazioni , non importa che tempo faccia al di là della vostra finestra: l’unico desiderio è di abbandonare il vostro corpo al caldo giaciglio del divano. Le vostra ossa scricchiolano felici ed i vostri stanchi piedi, appoggiati al tavolino di legno (finto!) dell’IKEA (vera!), vi sorridono accondiscendenti. No non togliete le scarpe. Loro sotto una coltre di plastica e caucciù vi stanno sicuramente ringraziando.

Mentre il vostro corpo volge a diventare giostra festosa, con un movimento imparato nelle lunghe notti insonni, afferrate il telecomando e spingete un tasto a caso. Il televisore rapido s’accende illuminando la stanza ed una voce stridula sembra che vi stia osservando: riesce a vedere, al di sotto del vostro maglione largo, che del “ventre piatto” che da giovani sfoggiavate nelle serate estive non è rimasto più nulla. Infastiditi e colpiti nell’orgoglio di diete mai iniziate cambiate repentinamente canale. Sono le venti e sulle principali emittenti sta incominciando il telegiornale della sera. Vi accoglie il ”mezzo busto” del conduttore (troppo arduo definirli giornalisti), in cui è incastonato un sorrido così bianco da far arrossire di invidia anche i muri delle case delle isole greche. Mentre pensate ciò, sillabe cadenzate e senza un’apparente inflessione sgomitano già nella vostra testa: parole scure e frasi pesanti come presentatori di squallidi programmi d’approfondimento incrinano l’illusione d’una tranquillità a fatica strappata dal caos della quotidianità. Il presentatore sciorina dati su (dis)occupazione e crescita come se fossero storie raccontate da nonni per far addormentare sereni i milioni di nipoti che li stanno ascoltando. Tutti quei numeri, tutti quei segni meno sbattuti in faccia come raffiche di bora a Trieste, lasciano la sensazione di un malessere incompreso, lontano ma dagli effetti devastanti. Ma non preoccupatevi, la sensazione dura solo il tempo di poche e banali immagini: rapidi si susseguono servizi di disavventure familiari, in cui la disperazione trionfa solenne al cospetto di ogni ingenuo pudore. Volti di madri avvolti di lacrime e grida disperate creano solchi profondi come  aratri nei terreni arsi del sud. La commozione è giunta ormai al limite del sopportabile: i vostri occhi chiedono il lascia passare per un’alluvione di pianti mentre il boccone del panino freddo di frigorifero fatica non poco a trovare l’espiazione finale nel vostro stomaco. Siete sul punto di crollare: cambiare canale per trovare un appiglio a cui afferrarsi per non sprofondare nel vorticoso incedere di forme femminili e notizie di pranzi “della domenica” cucinati con gli scarti della settimana. Ma qualcosa vi salva. Pubblicità.

Questa volta avete deciso: cambiate canale. E’ una ribellione al degrado che la tv di stato sta subendo da sette anni “a questa parte”. Ne siete convinti. Toccate il telecomando freddo con il dito reso ancora più freddo dal panino che, nel frattempo, è già miseramente finito. La fame no, ahimè.

Sul nuovo canale vi accolgono i sorrisi di due conduttori impegnati in una cruenta lotta greco-romana con la propria età. Il risultato è scontato: un massacro di lifting e fondo tinta. Cominciano i (dis)servizi: il primo è l’anticipazione, tratta da un serio giornale scandalistico, che il capo della fazione opposta è stato fotografato in compagnia di un giovane sostenitore nell’intento di abbracciarlo: subito si grida allo scandalo e maliziosi ammiccamenti dei conduttori, fanno “scoppiare” il pubblico in sala in una fragorosa risata. Non sai per quale motivo ma d’improvviso le tue budella si sono mosse. Lo “spettacolo di improvvisazione culturale” continua  con il suo canovaccio ben studiato: ad una satira leggera e bonaria (tra “amici”, si direbbe) viene alternato un campionario di offese ed elucubri degni di un “bar sport” della profonda provincia toscana (non è solo il sud ad essere omofobo!). Dulcis in fundo, entrano vestite come scolarette delle scuole medie (nel senso della taglia degli abiti!) due manichini e solo grazie ad un’attenta analisi  “alito-specchietto” in corrispondenza della bocca e agli ululati del pubblico in sala, si scoprono due donne. La tensione sale quando ad una delle due semi-moventi, in seguito ad una piroetta, esce dalla corta camicia un seno. Lo sguardo dei presentatori volge al vitreo; quello del pubblico, memore di ciò che li aspetta al loro ritorno, incandescente.

Ed proprio mentre la telecamera indugia sul primo piano del volto sconvolto della ballerina, un’idea s’affaccia lenta tra i tuoi pensieri in subbuglio. Prima che il cervello, anabolizzato da quell’orgia di squallore, possa realizzare la potenza di quel singolo barlume di lucidità, la tua mano ti anticipa. Click. Silenzio.

T’affacci dalla finestra. Respiri profondamente, ti volti in direzione della parete che un tempo giuravi d’aver dipinto di bianco, guardi l’orologio. Le 21 e 30. Un solo pensiero in testa, dove hai trascorso l’ultima ora e mezza della tua esistenza. Non sai risponderti ma ti giuri una cosa sola: fino ai cinquant’anni la televisione non l’accenderai più.