Lo sport per tutti. L’esempio della Palestra Mustakì

di Francesca Razzato

Fabrizio Deidda, attivista del centro sociale Cloro Rosso, ci racconta come è nato il progetto della palestra popolare Mustakì. Un’ esperienza che, prima all’interno del centro sociale , e ora, in seguito allo sgombero, all’interno del Palafiom, ha fornito a giovani e meno giovani uno strumento per sfuggire all’alienazione e all’isolamento culturale e sociale caratteristici di un quartiere “difficile”. All’interno di questo spazio, attraverso l’attività fisica, si impara ad avere cura del proprio benessere, percependo lo sport non come strumento edificante unicamente per il proprio aspetto fisico. Nella palestra popolare lo sport diventa bene comune e mezzo per praticare la democrazia.

Come è nato il progetto della palestra popolare Mustakì? Qual è il bilancio delle attività a più di due anni dalla sua apertura?

Il progetto “Palestre Popolari” nasce fondamentalmente per dare a tutti, ma principalmente alle classi sociali più deboli, la possibilità di poter praticare le varie attività sportive senza dover far fronte a spese onerose, come accade in tutte le altre realtà , basate prevalentemente sul profitto.
La nostra associazione potrebbe anche essere definita come ” NO PROFIT”, visto che in due anni di attività il bilancio totale è stato pari a zero , sfiorando in alcuni periodi soglie negative.
La nostra esperienza nasce all’interno del centro sociale occupato e autogestito Cloro Rosso e dalla voglia di alcuni ragazzi di rendere le varie attività sportive , un vero e proprio strumento per l’integrazione e l’aggregazione.

Fabrizio ci descrivi le differenze  tra una palestra popolare e una “comune” palestra?

La differenza fra una palestra popolare ed una comune, risiede nella profonda valenza sociale della prima. Le palestre popolari fungono da dispositivo anticrisi, per garantire il diritto allo sport per tutti, sulla base di un eguale accesso al servizio, svincolato dall’obbiettivo del mero guadagno. A questo si affianca un discorso puramente sociale , fondato sulla necessità di stringere e costruire relazioni umane in un ambiente, quello sportivo, che possa puntare all’ integrazione e all’ aggregazione dei giovani, sottraendo questi al degrado dei quartieri periferici, privi di stimoli e opportunità.

A proposito di integrazione, la palestra popolare Mustakì ha aderito alla compagna “Gioco anch’io”. Come è nata questa iniziativa? Quali sono le sue finalità ?

La campagna “Gioco anch’io”, nasce dalla discussione e dal confronto avvenuto ad Ancona, durante il meeting nazionale delle palestre popolari. Si è deciso di partire con una raccolta firme/adesione da rivolgere al Coni e alle federazioni sportive, affinchè tutte quelle norme che limitano la possibilità ai migranti e ai loro figli nati in Italia di poter giocare o praticare sport a livello agonistico, vengano eliminate.Questo percorso ha come fondamenta l’idea che praticare sport possa essere un’esperienza di integrazione ed affermazione di diritti, da vivere come bene comune.
In questi anni a partire dalle nostre esperienze differenti per luogo, forma e storia, abbiamo visto come lo sport possa diventare veicolo di relazioni, occasione di incontro e scambio, in molti quartieri e territori, anche difficili.La pratica sportiva è una grande occasione per dare senso e valore all’aggregazione sociale, all’integrazione, di chi troppo spesso, perché straniero o diverso, viene escluso.Praticare sport è un diritto e come tale deve essere riconosciuto ai migranti, perché tutti possano esercitare pienamente i diritti di cittadinanza in questa società.
Cinque milioni di cittadini stranieri regolari, un numero indefinito di persone presenti senza un regolare titolo, innumerevoli storie, progetti di vita, ambizioni sono il segno di una società mutata. In particolare, la palestra popolare Mustakì aderisce alla campagna “Gioco anch’io”, non solo per  pura e genuina adesione alla causa, ma anche perchè nell’ultimo anno a Manduria,  il nostro cammino  si è intrecciato con la miriade di storie e vite dei migranti rinchiusi in quella che era una vera e propria prigione a cielo aperto. Inevitabilmente questa esperienza  ha tracciato solchiprofondi nei nostri percorsi umani e politici.


La palestra popolare Mustakì al momento offre ai ragazzi del centro di accoglienza di Taranto la possibilità di praticare sport. Come leggete questa esperienza? Lo sport può diventare luogo di partecipazione e di cittadinanza attiva?

L’esperienza che stiamo vivendo e creando con i ragazzi del centro d’accoglienza di Taranto è ancora in fase embrionale, ma poggia su una solida concezione, quella dell’integrazione, che ha sempre contraddistinto le attività del nostro centro sociale e quelle della palestra popolare Mustakì.
Infatti siamo fermamente convinti che l’assenza di tutela ai migranti e ai rifugiati politici sia una piaga sociale che va sanata attraverso la diffusione di una cultura della tolleranza e del rispetto, passando per azioni pratiche e concrete, quali ad esempio garantire gratuitamente l’accesso allo sport come strumento di aggregazione, integrazione e svago , in una fase in cui i tagli al welfare e lo smantellamento di garanzie costituzionali sono all’ordine del giorno.

Per concludere, anche lo sport si colloca tra i beni comuni, come ogni aspetto fondamentale della nostra esistenza?

La questione dei beni comuni, oggi come oggi , appare più un miraggio, piuttosto che un insieme di diritti  inviolabili e accessibili a tutti. E’ un percorso questo, tutto da costruire, attraverso la partecipazione “dal  basso”, condividendo le proprie esperienze e contaminandosi. In questa delicata fase storica, economica e sociale , bene comune è sinonimo di democrazia. Il modello di fruizione dello sport che noi proponiamo va in questa direzione: è bene comune che si rende attraversabile e trasversale, in modo indiscriminato verso tutti.