Gli F-35 e le manie dell’Impero Americano

di Salvatore Romeo (’85)

In tempi di crisi si sa, tutto diviene magicamente superfluo. Magicamente scompaiono i posti di lavoro; i diritti più ineluttabili per i lavoratori; scompaiono le borse di studio per gli studenti meritevoli e con bassi ISEE; scompaiono le persone dai dentisti e dai negozi. Sparisce (forse fugge, chissà) anche la carne dal frigorifero. Non si tratta di magia, ma di “tagli”. Dunque per il perseguimento del “bene di tutti”, vengono chiesti degli “sforzi” a ciascuno di noi. Qualcuno molto perspicace, potrebbe muovere un appunto: se il bene è di tutti perché ci perdono (quasi) tutti? La risposta, più che ai posteri (che potrebbero non conoscere certi “agii” cui godiamo ora noi), è da rivolgere agli economisti e scienziati esperti in “crescita”( se del bilancio di uno Stato o del livello di bile dei cittadini, questo non è stato ancora chiarito). Ciò che emerge dalla quotidianità, è che sull’altare del risparmio non vengono sacrificate “voci” esclusivamente macro economiche o macro sociali, ma anche abitudini e necessità più o meno quotidiane.

In questo clima da “collage” economico, c’è una coriandolo di colore nero che non viene mai ritagliato, anzi al massimo ne viene aggiunto un pezzettino ogni anno. Questo quadratino rappresenta la percentuale di PIL investita in armamenti; pardon in spesa per la “difesa”. E’ questo frammento è solo apparentemente piccolo: 1.02 % del PIL italiano che, tradotto in euro, ammonta a 16,3 miliardi di euro [1]. A queste vanno aggiunte le spese per “Missioni Internazionali” e l’acquisto di nuovi mezzi, in totale(per l’anno 2011) pari allo 0,90 % del PIL. Dunque in totale le spese riconducibili al settore militare e della difesa, sono quantificabili in un 1,92 % del Pil (che nel 2011 è stato di 1.602.836 milioni di euro): in totale sono stati spesi (o investiti come direbbe qualche economista più bravo di me) circa 30,78 miliardi di euro. Vien da sé ipotizzare che un taglio a queste voci di spesa gioverebbe, senza ombra di dubbio, alle esigue casse statali.

Pochi mesi fa, in merito all’acquisto previsto, e poi confermato, di alcune decine di aerei “caccia” F-35 parte della popolazione ha avuto un sussulto di orgoglio, utile ad aprire il dibattito sulla reale utilità di mezzi ormai obsoleti (se paragonato ai moderni velivoli a disposizione ad esempio di Russia e Cina ). Ciò che ne è scaturito fornisce sufficiente materiale per una riflessione: i velivoli da acquistare, scesi nel frattempo dalle iniziali 131 a 90 unità, sono di produzione statunitense. La scelta di approvvigionare degli F35- joint strike fighter – ha delle ricadute sostanziali non sono nel bilancio italiano ma ha degli effetti negativi a lungo termine. Come già ammesso dell’attuale ministro della difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, la scelta di optare, per la sostituzione dei 200 vecchi mezzi dell’aeronautica militare, è stata fatta “tradendo” le aspettative (e gli investimenti) riposte nello sviluppo dell’Eurofighter. Ciò comporta (e comporterà) una condizione di sub-fornitura e dunque solo minime ricadute sullo sviluppo della produzione industriale. E’ lo stesso Di Paola che ammette: “Acquistando l’F-35, rinunciamo alla capacità di produrre da soli i nostri aerei, come con l’Eurofighter, o come fanno i Francesi con il Rafale. Rinunciamo a sviluppare la versione d’attacco al suolo dell’Eurofighter, su cui invece investiranno i Tedeschi. Ciò ci condanna a lavorare su prodotti nordamericani per molti anni a venire”. E’ fondamentale ricordare che la scelta di investire negli F-35 è stata presa da Silvio Berlusconi a seguito di un accordo personale con l’ex presidente Americano G.W. Bush.

Proprio da questa ultima frase si articola la seconda parte di questa riflessione. Perché gli Stati (Italia inclusa) in tempi di crisi non riducono le spese militari? Tutto incomincia proprio dagli Stati Uniti. Gli USA hanno rappresentato, nel 2008, l’incipit della grave crisi finanziaria prima ed economica dopo, che sta attanagliando l’economia dei paesi “occidentali”. Molti sono gli atteggiamenti dei cittadini americani che sono mutati in seguito alla esplosione della bolla rappresentata dai mutui “subprime”. Ciò che si è velocemente insinuato nelle menti dei più è che gli USA, parafrasando un recente docu-film, non fossero poi così tanto “too big to fail”. Il paventarsi di una riduzione (quantomeno percepita) dell’egemonia economica americana all’interno dei paesi occidentali, provocherebbe in questi ultimi la percezione di una ridotta potenza “globale” statunitense. Questo , in un mondo dominato dalla finanza e dalle borse, provocherebbe (sintetizzando molto) una riduzione dell’importanza della borsa di New York e, in fase contrattuale, del dollaro. Ovviamente gli Stati Uniti devono impedire tutto ciò. Logica conseguenza è che, in virtù di una riduzione della potenza economica, aumentare l’egemonia militare, in modo da risultare, agli occhi degli altri stati, degli “inevitabili” alleati. La chiave di lettura, con la quale decriptare il significato dell’acquisto dei 90 F-35, risulta essere non “partnership” ma sudditanza: due concetti del tutto differenti.

Dunque, essendo cittadini di uno Stato, si ha a che fare con una serie di relazioni, accordi e “diktat” che esulano dalla nostra volontà e dal nostro controllo. Dunque, il destino di Stati “minori” (come l’Italia) ma determinanti per gli equilibri mondiali, non è “nelle proprie mani”, ma è determinato da Stati od entità (come l’Europa) che ne possono più o meno arbitrariamente decidere sorti od azioni. L’ovvio riferimento è alle attuali scelte nel campo economico-sociale, che l’Italia sta attuando in queste ultime settimane: l’opera di “precarizzazione” della società italiana è solo una diretta conseguenza della volontà della “finanza internazionale” (di cui le banche e le multinazionali a stelle e strisce sono i più grande esponenti). Ribellarsi? Impossibile, dato che chi decide delle sorti del nostro paese (governo Monti ma anche i governi precedenti) è totalmente affine (se non addirittura promotore) alle politiche economiche delle entità egemoni.

Ed allora, cosa ce ne facciamo della nostra bella democrazia?

[1]http://www.archiviodisarmo.it/siti/sito_archiviodisarmo/upload/documenti/15903_Barbato_Spesa_militare_2011.pdf