Quando l’ILVA divenne privata

di Vincenzo Vestita

La privatizzazione del comparto dell’acciaio italiano e del IV centro Siderurgico in particolare, passata dal controllo dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) all’imprenditore Fabio Arturo Riva, Amministratore Unico della RILP s.r.l., è sempre stato un argomento che a più riprese viene a galla ma su cui non è stata fatta mai molta chiarezza.
La data precisa del contratto di compravendita azionaria è il 16 Marzo 1995.  In ogni caso è utile fare un piccolo passo indietro.
Il cuore pulsante della siderurgia italiana viene messo sul piatto in una delle più grandi privatizzazioni che il nostro Paese abbia mai conosciuto.

  • Alla fine dell’ottobre del 1993 l’IRI preparò la vendita attuando una strategia che, a distanza di 15 anni, sarebbe stata replicata per l’ “affare Alitalia” (e in cui ritroviamo nuovamente i Riva). L’assemblea straordinaria dell’ ILVA S.p.a., controllata interamente dall’IRI, deliberò la costituzione per scissione di due società, la ILVA LAMINATI PIANI S.r.l. (da ora ILP, con impianti a Taranto, Novi Ligure e Genova) e la ACCIAI SPECIALI TERNI S.r.l. (da ora AST). I circa 7.000 miliardi di lire di debiti restano a  carico della vecchia ILVA (la bad company) che viene messa in liquidazione alla fine dello stesso 1993.
  • Il 14 dicembre 1993 viene pubblicato, sui maggiori quotidiani nazionali ed internazionali, l’invito a manifestare interesse per l’acquisto dell’intero pacchetto azionario di ILP.
  • Il 31 Gennaio 1994 l’ILP viene trasformata da società a responsabilità limitata in società per azioni, con capitale sociale di 1.300 miliardi di lire suddiviso in 1300 milioni di azioni, di cui l’IRI diventa proprietaria per il 100%.

Alla corsa per l’acquisizione di ILP concorrono oltre alla famiglia Riva anche una cordata capeggiata da Luigi Lucchini, già presidente di Confindustria, e alleato al colosso dell’acciaio francese Usinor Sacilor. Anche la famiglia Riva in realtà non corre da sola e può contare sull’appoggio di Banca Cariplo (poi Banca Intesa) e tre soci di minoranza (la Essar (un gruppo indiano), le acciaierie Valbruna di Nicola Amenduini e la Metalfar dell’industriale Luigi Fedele Farina. Alla fine Riva la spunta sul blasone di Lucchini e del suo potente alleato transalpino.

L’intero pacchetto azionario passa di mano con godimento a partire dal 1° gennaio 1995, con l’acquirente che “dichiara di conoscere il complesso dei beni aziendali e delle situazioni giuridiche attive e passive di ILP e delle sue controllate”. Il prezzo finale per le azioni è di 1.460 miliardi di lire, a cui va ad aggiungersi un conguaglio forfettario per gli utili in corso di formazione nel 1995 pari a 70 miliardi per ogni mese e per un massimo di quattro mensilità fino alla data di effettivo trasferimento del pacchetto azionario. Viene stabilito che, in caso di contrasti tra acquirente e venditore, attraverso i propri revisori di parte,  il giudizio definitivo sarebbe stato rimesso ad un terzo revisore, iscritto alla CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), designato di comune accordo tra le parti, oppure, se le parti non avessero trovato l’accordo sul nome, dal Presidente pro-tempore dell’Assirevi (Associazione Italiana Revisori Contabili). Questo revisore avrebbe poi dovuto pronunciarsi entro 60 giorni dalla data della sua designazione. Questo passaggio sui revisori contabili si rende necessario poiché dopo appena qualche mese si instaura un vero e proprio braccio di ferro tra i Riva e l’IRI.  La nuova proprietà infatti chiede un sostanzioso sconto di 800 miliardi di lire, invocando la necessità di adeguare gli impianti con rilevantissimi investimenti per i problemi ambientali che questi ultimi presentavano. A metà del 1996 Riva sospende anche il pagamento del “conguaglio forfettario”, stabilito in base ai criteri precedentemente esposti per la cifra di 228,66 miliardi di euro per i profitti accumulati nei primi 98 giorni del 1995, tempo in cui le azioni della società erano ancora materialmente nelle mani dell’IRI. Il verdetto arbitrale stabilisce che Riva paghi 180 miliardi di lire a fronte dei 228,66 dovuti, portando la cifra totale per l’acquisizione dell’intero pacchetto azionario a 1.640 miliardi di lire. Non viene accolta invece  la richiesta di sconto di 800 miliardi di lire, che all’epoca dei fatti destò molto scalpore.

Tra gli impegni contrattuali dell’acquirente vi erano quelli di assicurare la continuità produttiva e la valorizzazione industriale secondo le linee di programma industriale già stabilito per il triennio 1994-1996, la salvaguardia per lo stesso triennio dell’occupazione del personale dipendente con contratto a tempo indeterminato sia di ILP che delle società controllate e la garanzia della conservazione del trattamento economico e normativo. L’acquirente si impegnava altresì a non procedere a licenziamenti individuali, plurimi o collettivi né a ricorrere alle procedure di mobilità.

Gli altri protagonisti della vicenda sono stati il Presidente dell’IRI, dott. Michele Tedeschi e il ministro  dell’Industria, Commercio e Artigianato Vito Gnutti (Lega Nord).

Il periodo di privatizzazioni del patrimonio siderurgico nazionale ha visto la famiglia Riva protagonista anche per quanto riguarda l’altro pezzo pregiato. Alla fine del 1994 infatti l’imprenditore milanese fa parte di una cordata capeggiata dalla tedesca Krupp, che  insieme anche a  Falck e Agarini acquisisce dall’IRI la Acciai Speciali Terni, di cui fa parte anche lo stabilimento di Torino (chiuso definitivamente dopo il rogo costato la vita a 7 operai il 6 dicembre 2007). Riva ha ceduto nel 1995 la sua quota al colosso tedesco.

Tutti i soci di minoranza con cui Riva era in cordata per l’acquisto dell’ILP sono stati liquidati entro pochi anni, tranne Amenduini che detiene ancora il 13%.

L’acquisto di ILVA Laminati Piani si è rivelato un affare d’oro. In poco tempo dall’acquisizione Riva riesce a produrre quasi 100 miliardi di lire di utili al mese, ripagandosi l’investimento in poco meno di un anno e mezzo.

Bibliografia:

Contratto di Cessione ILVA LAMINATI PIANI S.P.A., 1995

Capitani coraggiosi, i venti cavalieri che hanno privatizzato l’Alitalia e affondato il Paese, G.Dragoni, Chiarelettere, 2011