Basta ai finanziamenti pubblici ai partiti. Da che pulpito?

di Massimiliano Martucci

L’argomento di questa settimana sarebbe stata la morte di Morosini e il modo in cui un evento del genere, che da un punto di vista meramente quantitativo è meno grave della massa dei suicidi da crisi, interviene nel flusso degli eventi e ne modifica il corso. Ma mentre le prima parole toccavano il foglio, da Facebook ecco che un amico posta un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno. Un articolo che merita minimo minimo un fermarsi a riflettere.

L’articolo in questione raccoglie la dichiarazione di un prete di Surbo, tale Don Antonio Murrone, che ha fatto partire una lettera aperta affinchè i partiti rinuncino ai rimborsi elettorali, soprattutto in momento di crisi come questo. Niente rimborsi, soprattutto dopo il caso Lega Nord.

Un argomento di moda, che fa il paio con lo stipendio dei parlamentari. Attacchi acuti di antipolitica che, se da un lato dimostrano la frustrazione e l’esasperazione di una popolazione che si sente spinta verso il baratro e non ha idea di come fermarsi, dall’altro non fanno altro che depotenziare terribilmente l’unico freno che sarebbe possibile utilizzare. In sostanza, chi declama la “sobrietà” politica, chiedendo che parlamentari e partiti rinuncino ai soldi, chiede che gli ultimi strumenti istituzionali rimasti per incidere sul sistema vengano spezzati.

Tornando al prete e alla sua richiesta, non possiamo non notare che la proposta si infila nella lunga coda del sentimento antipolitico, e ne segna sensibilmente il percorso. Se anche la Chiesa Cattolica si schiera apertamente contro l’utilizzo dei soldi pubblici per sovvenzionare i partiti, in qualche maniera legittima questa istanza, anche per coloro che non hanno nessun interesse o non conoscono nulla rispetto al funzionamento dei rimborsi elettorali e degli stipendi ai politici. Una manovra pericolosa perché fa entrare una voce ufficialmente estranea al dibattito politico direttamente dalla porta principale.

Poi, oltre alla notizia in sé, c’è la fonte della notizia, ovvero il “pulpito”. Mai come in questo caso varrebbe il proverbio “Ma da che pulpito viene la predica”. Un sacerdote che chiede ad un’altra categoria di mantenuti di rinunciare al loro mantenimento perché, e qui è il colpo di genio, se invece di pagare i partiti si favorissero le azioni sociali, lui non sarebbe più costretto ad affannarsi a chiedere il 5×1000 per le attività sociali della sua parrocchia. Come dire: io sono costretto a chiedervi il 5×1000 perché i politici sono ladri.

La mancanza di onestà del sacerdote si realizza in due modi diversi. Il primo riguarda il soggetto: Don Armando Murrone appartiene ad una categoria di persone che campa grazie ad accordi ad hoc tra Stato e Chiesa, non produce ricchezza per il territorio, ma può permettersi di fare comizi/omelie ogni giorno, più volte al giorno. A questo aggiungiamo che gode di esenzione di tasse e di particolari trattamenti per quanto riguarda l’ulteriore donazione dell’8×1000. Il secondo motivo è oggettivo: il 5×1000 è uno strumento di sussidiarietà fiscale che permette ai cittadini di decidere in autonomia a chi o a cosa andranno a finire il 5×1000 della propria dichiarazione dei redditi. La legge prevede che si possa donare ad associazioni, a cooperative sociali, ad associazioni sportive a anche al proprio Comune. Questo significa che si può donare anche ad associazioni che, create da, o molto vicino alla Chiesa Cattolica, possono beneficiare sia dell’8×1000 sia del 5×1000, che sono due strumenti molto diversi ma non incompatibili.

Ah, dimenticavo: in questo momento si decide a chi destinare il proprio 5×1000. Alcuni maligni pensano che la dichiarazione di Don Antonio Murrone possa essere una strategia comunicativa. Noi no. Forse.