di Remo Pezzuto
Dopo aver rinunciato ad abolire in maniera autoritaria il valore legale del titolo di studio con il decreto semplificazione, il Governo ha avviato sul sito del Ministero della Pubblica Istruzione, dell’Università e Ricerca, una consultazione on-line a cui tutti i cittadini possono partecipare per dare una loro opinione sul tema. A prima vista questa iniziativa sembrerebbe un’innovativa forma di democrazia diretta, in realtà si tratta di una vera e propria truffa, dove si sottopongono a studenti e cittadini domande complesse – alcune delle quali sembrano indirizzare la risposta in un unica direzione –, confondendo le menti di chi partecipa al “referendum telematico” per ottenere un parere favorevole all’eliminazione del valore legale del titolo di studio. Il questionario è composto da quindici quesiti con due risposte certe e una tendenziosa, apparentemente neutrali nelle prime domande, ma che poi presuppongono direttamente l’abolizione, indirizzando verso due risposte favorevoli e una incerta, in cui non si può dare una propria motivazione. Ma non è solo la modalità di costruzione ed estensione del questionario ad essere contestabile. Anche la modalità di accettazione degli utenti che partecipano alla consultazione è alquanto discutibile. Basta solo un indirizzo email e un codice fiscale, non importa se di un minorenne – o anche inventato – e si può benissimo votare.
Dopo aver quindi combattuto contro la sordità dell’ex Ministro Gelmini, che negli scorsi anni non ha voluto per nulla ascoltare la volontà delle studentesse e degli studenti, ci troviamo ora fare i conti con un Governo che ci prende in giro, che ha costruito dei questionari formalmente aperti, ma che non sono altro che un percorso ad ostacoli, con l’obiettivo di portare gli utenti in errore e legittimare di fatto l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Questo tema è molto complesso e non è sufficiente rispondere ad un questionario per analizzarlo e sviscerarlo nel migliore dei modi. Se da un lato quindi sicuramente si dovranno coinvolgere quanti più studenti possibili, i dipendenti della filiera della conoscenza, invitare parenti e amici a esprimersi contro l’abolizione del valore legale e battere il Governo sui numeri della partecipazione, dall’altro bisogna cercare di costruire all’interno di scuole e università un fronte tra le varie componenti che si opponga a questa volontà e rilanci il tema della democrazia nei luoghi del Sapere e dell’investimento nella formazione e nella cultura, visti ormai la drammatica situazione formativa dell’intero paese.
Questo Governo non vuole far altro che continuare quanto già intrapreso dal Governo Berlusconi e dall’ex Ministro Gelmini in tema di Università. L’approvazione degli ultimi decreti hanno come unico obiettivo infatti l’aumento delle tasse per gli studenti e la costruzione di una università sempre più d’elite, il cui scopo è quello della ricerca del profitto. Siamo convinti che non possa essere un semplice “pezzo di carta” a certificare le capacità di uno studente: la formazione oggi non avviene solamente all’interno dell’università. Siamo anche consapevoli del fatto che la preparazione italiana non è omogenea in tutte le università: uno studente laureato al Politecnico di Milano ha sicuramente più possibilità di trovare un lavoro rispetto a uno studente che si è laureato a Bari, ma proprio per questo giungiamo ad una conclusione differente da questo Governo e siamo profondamente contrari all’abolizione del valore legale del titolo di studio proposta.
L’abolizione del valore legale del titolo di studio a nostro giudizio non aprirebbe la strada ad una maggiore qualità dei processi formativi, ma anzi aumenterebbe la competizione tra gli atenei, creando atenei di serie A, dove studiare costerebbe moltissimo, e atenei di serie B, con costi molto più limitati, creando una dualità nel sistema formativo del nostro paese assolutamente dannosa per tutti quegli studenti che, non potendo permettersi costosi master o anche solo normali corsi di laurea in “prestigiose università”, sarebbero costretti a non poter accedere ad una formazione di qualità. Ci si dimentica infatti che attualmente gli Atenei versano in situazioni differenti e vi è una netta differenziazione sulle modalità di finanziamento degli stessi.
In un sistema concorrenziale si determinerebbe un ulteriore penalizzazione delle Università, in gran parte meridionali, che negli ultimi anni hanno subito tagli per effetto da un lato di criteri molto discutibili e dall’altro per scelte politiche sbagliate o addirittura “troppo corrette”. Coloro che teorizzando un’apertura dell’università ad un sistema di mercato perfettamente concorrenziale non si fermano alla proposta di abolire il valore legale del titolo di studio, propongono, infatti, l’apertura ad un sistema basato sui prestiti d’onore e la liberalizzazione delle tasse universitarie. Per garantire quindi una formazione di livello elevato, secondo l’opinione chi sostiene tale proposta, si dovrebbero alzare le tasse e far indebitare gli studenti all’interno di un sistema in cui l’unica garanzia di qualità sarebbe determinata dalle preferenze delle aziende e delle industrie private. Se mai si verificasse una situazione come quella prospettata e tenendo conto della situazione attuale, uno studente senza elevate possibilità economiche di un piccolo paese del sud Italia per ottenere una formazione di qualità in grado di permettergli di migliorare le sue condizioni di partenza dovrebbe quasi sicuramente andare a studiare in un ateneo qualificato del Nord, scegliendo un corso di laurea con tasse universitarie molto alte e indebitandosi pesantemente, senza poi nessuna garanzia reale che il suo titolo di studio possa essere riconosciuto alla pari di quello di un altro studente anche solo per un concorso in un ente pubblico.
Inoltre chi sostiene l’abolizione del valore legale del titolo di studio giustifica la sua posizione sottolineando che così si eliminerebbe il vincolo posto nei concorsi pubblici e la verifica del solo requisito di merito nella prova d’esame. Giova ricordare a tal proposito che:
1) nella maggior parte dei concorsi pubblici, il voto di laurea incide in misura estremamente minore rispetto alla preparazione mostrata dal candidato nel corso delle prove (scritta e/o orale);
2) un sistema siffatto aprirebbe a maggiore discrezionalità all’interno delle procedure concorsuali, con il rischio che candidati meno preparati di altri siano avvantaggiati non per le loro esperienze professionali ma per amicizie o le relazioni di cui godono, problema questo già esistente nel nostro paese, ma che senza neppure la tutela di un valore legale del titolo di studio, si amplierebbe notevolmente.
Se il governo dovesse procedere su questa proposta si darebbe il via libera alla più spaventosa delle liberalizzazioni: l’introduzione di un modello universitario americano basato sulla competizione costante tra gli studenti che a nostro avviso non farebbe altro che aumentare le disuguaglianze.
La consultazione terminerà il prossimo 24 aprile. Invitiamo quindi tutte e tutti a registrarsi su http://www.istruzione.it/web/ministero/consultazione-pubblica. Per facilitare la comprensione del questionario, la Rete della Conoscenza ha elaborato un prontuario delle risposte al questionario del governo, in modo da poter spiegare a tutti gli studenti come rispondere per evitare la cancellazione del valore legale in modo da non cadere in alcuni trabocchetti insiti nelle domande poste dal Miur. (http://issuu.com/retedellaconoscenza/docs/prontuariomiur). E’ possibile seguire l’elaborazione delle proposte alternative su facebook. Il gruppo si chiama “Consultazione valore legale”.