Gioco d’azzardo: la vincita è un sogno, la realtà un incubo

di Massimiliano Martucci

Una bella ragazza in una vasca piena di schiuma che con sguardo ammiccante ci dice che vorrebbe bere champagne a tutte le ore. Secondo voi, cos’è? No, non è l’ultima campagna elettorale del Pdl, ma la pubblicità del SuperEnalotto, con sottofondo musicale di Toto Cutugno, l’italiano medio per eccellenza, che fa vedere una sfilza di persone che sorridono contenti di tentare la fortuna per realizzare un progetto, o meglio, di pensare di poter vincere al gioco d’azzardo per farsi una vigna, un negozio, per realizzare un sogno, insomma.

Il gioco d’azzardo diventa una strada, la più semplice, per riuscire a raggiungere un qualsiasi obiettivo. Lo dicono anche dalla Sisal: “Con questa nuova campagna di comunicazione abbiamo voluto dare voce al piacere del sogno nella sua dimensione aspirazionale. Far cantare agli italiani il loro sogni è un modo per celebrarli: SuperEnalotto riesce sempre a far sognare in grande”. Ancora, quindi, le impressioni sono confermate dal comunicato ufficiale con cui si ammette che il Super Enalotto è un modo, forse l’unico, che permette ai cittadini di realizzarsi.

Il gioco d’azzardo: la terza impresa italiana, una spesa procapite di 1260 euro a testa, neonati compresi, ottocentomila italiani malati di gioco d’azzardo patologico e circa tre milioni di cittadini a rischio. Uno dei modi migliori per riciclare il denaro delle mafie (dieci inchieste della magistratura, a Bologna, Caltanissetta, Catania, Firenze, Lecce, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria, Roma). Libera ci ha fatto un dossier (da cui sono tratti questi dati) che si chiama Azzardopoli. Un giro d’affari di 76 miliardi di lire, una delle maggiori fonti di finanziamento ai partiti. Così, giusto per dare delle cifre, per abbozzare un ritratto di una situazione che si aggrava sempre di più. Il gioco d’azzardo in Italia è legalizzato, è vero, ma provoca dipendenza patologica (come l’eroina, tipo) e diventa quindi una malattia sociale. Famiglie intere ridotte sul lastrico dai Gratta e Vinci, dal Super Enalotto, dal Poker online.

Non è moralismo, è uno spaccato della situazione di un Paese che sembra, per alcune classi sociali in particolare, essere l’unica prospettiva capace di offrire la speranza di ottenere una risposta. Un paradosso sociale in cui la conquista di un obiettivo si sgancia dall’idea dell’impegno o di un progetto e si basa quasi esclusivamente sulla fortuna, sulla poetica della “botta di culo” che spesso determina anche le scelte politiche.

La pubblicità della Sisal sembra appropriarsi della contraddizione (il gioco d’azzardo come soluzione ai problemi e non come causa di essi) e ne ribalta il significato, mettendo da parte ogni tipo di alibi su un impegno pedagogico o quantomeno socialmente responsabile della comunicazione e, soprattutto, lasciandosi alle spalle ogni tipo di pudore. I cittadini devono giocare, perché giocando ingrassano le casse delle imprese concessionarie e poco importa che diventare tossici del Gratta e Vinci significhi perdere di vista le realtà e annientarsi. Anzi, meglio: così come i tossici di eroina fanno ingrassare i boss, così i tossici della schedina fanno ingrassare le imprese, i partiti e, in piccola parte, anche lo Stato. Infatti, bisogna sfatare anche il mito che il gioco d’azzardo legalizzato porti molti soldi allo Stato. Sola una piccola percentuale del gettito andrà nelle casse statali, il resto sono utili e vincite.

In un momento di crisi in cui i punti di riferimento affidabili sono davvero pochissimi, è facile che la schedina possa rappresentare quella lucina in fondo alla strada buia, una luce fatua, falsa, pericolosa così come le sirene di Ulisse. La pubblicità della Sisal è, come direbbe Andrea Ciantar, sociologo tarantino, che da anni si occupa di storie come metodo educativo, un esempio di “storia che fa male, che non si dovrebbe raccontare”. Una brutta storia, insomma.