Responsabili

di Annarita Digiorgio

Diapositive sfocate quelle stampate nel giorno delle dimissioni del caimano tra le strade di quei palazzi capitolini – troppi e troppo cari, considerato che li pagano i cittadini – in cui lo Stato si consuma.
Come a quei funerali in cui le persone più affrante dal dolore scoppiano inspiegabilmente in una risata isterica e liberatoria.
Un party improvvisato e chic nell’austerity della sobrietà. La speranza impotente e urlata del coro da stadio durante i richiami alla responsabilità. E qui, tra presunti impotenti tifosi, siamo tutti colpevoli responsabili.
Non solo i trasmigrati d’emiciclo che dal 14 dicembre tenevano in piedi il Governo.
Ora ci illudiamo usando il termine “liberazione” quando è un commissariamento. Significa appunto che neppure l’opposizione è stata buona. Non si è dimesso perché non ha la fiducia o la maggioranza, ma perché siamo al tracollo. Siamo responsabili perché per stare dietro a faccendieri e prostitute non siamo stati capaci di accorgerci e rimediare all’abisso finanziario in cui stavamo precipitando.
Sono responsabili i partiti che con le liste bloccate quegli Scilipoti, Calearo e Pionati li hanno scelti e portati in parlamento. E che ora si fanno arca di Noè per le Carlucci rimaste senza ufficio a via dell’Umiltà. Tanto ci sono da occupare le scrivanie lasciate vacanti da tutti gli altri più o meno responsabili che hanno moltiplicato da 6 che erano nel dopo-elezioni, a più di 30 i gruppi parlamentari incasellati insieme alle quote panda “fica -biberon” nell’agenda delle consultazioni del nuovo Primo Ministro. Di Pietro e Casini sono responsabili.
Veltroni è responsabile. Ha trasformato in forza extraparlamentare la sinistra e fagocitato con la speranza di debellarli i radicali, sull’altare di una vocazione maggioritaria di cui oggi nulla è rimasto se non i preti che gli benedicono, dopo averglielo scritto, il programma.
Bersani è responsabile. Oggi dice che il governo è stato mandato via per merito del Pd e della manifestazione di San Giovanni. Si, come quella farfalla che sbatte le ali in Brasile.
Berlusconi è sempre stato il loro nemico, il mostro che tutti dobbiamo avere come termine di paragone per essere migliori. E infatti Violante nel 2002 dichiarava: “Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto d’interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni”, perché se Berlusconi ha potuto la discesa in campo, è anche grazie a quelli che in Giunta l’hanno sempre dichiarato eleggibile, e non lo hanno mai scritto quel capitolo sul conflitto d’interesse.
Vendola è responsabile. Lui che, mentre finanzia con la sanitá pugliese al collasso il bancarottiere berlusconiano don Verzè, dichiara l’appoggio a Monti (un appoggio che nessuno gli ha chiesto dato che non ha neanche una pedina in parlamento) e ne detta persino le condizioni: la patrimoniale. Sennò non si capisce che fa, forse rischia di vendere la Puglia alla sua tanto cara Cina, con buona pace dei monaci tibetani in esilio.
Grillo è responsabile. Ora scrive una lettera a Monti, forse per consigliarli la biowashball per le camicie.
Il Pdl è responsabile, per non aver creato in tutti questi anni di menzogne trasformate in Fiducia, un vero partito liberale che raccogliesse la volontà maggioritaria del nostro Paese intorno a idee, progetti, e contenitori che prescindessero da Berlusconi, e che oggi continua a fargli dettare legge sotto lo spauracchio dei comunisti.
La Lega è responsabile, per aver tenuto sotto scacco dei capricci di un campanilismo bue e avaro la costituzione di una nazione.
Fini è responsabile, per aver definitivamente messo sotto i piedi l’onore dell’istituzionalità della Presidenza della Camera, creando pretestuosi precedenti in nome di un cameratismo transfugo e che ora, nonostante le sue promesse e la prassi parlamentare (D’alema ha subito lasciato il Copasir), ancora non si dimette.
La stampa è responsabile, quando continua ad affermare che, di fronte all’avvento antidemocratico di un governo nominato, almeno Berlusconi Presidente l’avevamo scelto noi. E non è vero. Neppure quelli prima avevamo scelto noi: in Italia non c’è il premierato, e il presidente del Consiglio lo sceglie sempre il Capo dello Stato.
Santoro è responsabile. Lo chiama servizio pubblico, invita solo l’opposizione, per due ore dice che il nuovo governo è brutto e cattivo, fa un quiz tra i suoi amici di facebook e proclama “internet ha detto che il governo è brutto e cattivo”. Lui che da voce a delle ragazzine presuntuose e ignoranti che “i ricchi bisogna mandarli tutti in galera e buttare la chiave”, quando sarebbe da farle andare a scuola e girare la chiave solo per mandarle, loro sì, in galera: ogni domenica in visita ispettiva con i deputati radicali a vedere come stanno quei settantamila detenuti. Lui che chiede a Fini se è finito il berlusconismo mentre i suoi ospiti ridono fintamente ai travestimenti insulsi di Vauro come le risate registrate di Mister Bean. Quel berlusconismo che non finirà neanche con la venerata sobrietà dei nuovi ministri, se anche loro continuano a farsi zimbello di quelle trasmissioni radiofoniche da cabert politico in cui finiscono per dire cavolate salvo poi, come il neoministro dell’ambiente, rendere responsabile il “clima caotico della trasmissione”, a guadagno della solo loro vanità.
Il Quirinale è responsabile, nel far passare l’idea che basti una nomina a senatore a vita rilasciata in quattro-e-quatrotto, per trasformare un governo tecnico in politico. Vogliono togliere l’articolo diciotto ai giovani e fanno un contratto a tempo indeterminato a Monti per il senato: andrebbe abolita del tutto, la carica di senatori a vita.
Tutti noi siamo responsabili, per aver creduto alla buona fede berlusconiana, ma ancor più per aver creduto che gli altri fossero peggio. Per non aver compreso che tra i capaci di tutto a destra e i buoni a nulla a sinistra, farsi alternativa è una necessità. Perché continuiamo a urlare cori da ultras in tribuna nella convinzione che influenzino il risultato già concordato della partita, invece di sfondare il recinto e scendere in campo.
Siamo responsabili perché crolliamo di fronte alla crisi economica e non ancor prima a quella, in corso da troppi anni, di civiltà e diritto.
Ci siamo compiaciuti di quel piccolo contentino che di volta in volta sembravano regalarci: l’Ici, la successione, le pensioni intoccabili, i privilegi agli ordini, l’elemosina ai sindacati, gli apparati conservati.
Senza pensare che stavamo giorno dopo giorno, da sessant’anni, perdendo la cosa più importante.
La democrazia.
Tra vent’anni, forse, come per i precedenti che tutti hanno richiamato in questi giorni, qualcuno rivaluterà Berlusconi, ci faremo su convegni e fondazioni, guarderemo un format domenicale in cui fingeranno di discutere sull’opportunità o meno di intitolargli una via, andremo in visita ad Arcore a portargli i fiori o comprare gli accendini, mentre saremo occupati con un nuovo egoarca.

Nel frattempo siamo come quello la che sta seduto sulla riva del fiume ad aspettare il cadavere che passa. Con il tricolore sventolante e la coccarda dei centocinquantanni appesa per sentirci dalla parte giusta. E ci facciamo il coretto po-po-po-po sopra (almeno quella volta potemmo cantare anche “siamo una squadra fortissimi”).
La tessera del tifoso contro la libertà del giocatore.
Spes contra spem. E’ la differenza tra avere speranza, ed essere speranza.