di Vincenzo Vestita

Nel 2006 in ILVA si verificava una inversione di tendenza rispetto all’organizzazione che la proprietà aveva dato allo stabilimento nei primi 10 anni dall’acquisizione. Se inizialmente si era spinto, anche in maniera molto marcata, su una internalizzazione di molte lavorazioni, anche di rilevante importanza, la tendenza che prevalse allora era quella di esternalizzare, utilizzando moltissime ditte d’appalto. Furono smantellati interi reparti di manutenzione con centinaia di addetti, smistati successivamente negli altri reparti. I manutentori ILVA si occupavano ora maggiormente di manutenzione ordinaria, mentre per quella straordinaria e per le opere di miglioramento impiantistico l’utilizzo di manodopera esterna era diventata quasi la regola. Il parcheggio della “portineria imprese” straboccava di automobili, molte lasciate anche sul ciglio della strada in posizioni poco ortodosse. Non era assolutamente raro veder entrare in fabbrica di primo mattino operai in tuta arancione (obbligatoria per tutte le ditte d’appalto, per distinguerle sugli impianti ad una semplice occhiata) e vederli uscire con la stessa tuta arancione per cambiarsi nel bagagliaio dell’auto. (more…)

di Vincenzo Vestita

La confidenza con le tipologie di lavoro, mia come degli altri ragazzi assunti da pochi mesi, andava aumentando giorno dopo giorno. Il fatto di essere praticamente tutti diplomati rappresentava per l’azienda un vantaggio notevole; di coloro che andavano in pensione solo una minima percentuale aveva un diploma e di questi una parte ancora più residuale aveva una forma mentis adatta per confrontarsi con le innovazioni tecnologiche che, da li a qualche anno, avrebbero reso l’intero stabilimento completamente informatizzato. Avere personale fresco che “accompagnava” il rinnovamento tecnologico aveva un senso.

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di Vincenzo Vestita

10 anni è quello che attesta il mio tesserino di riconoscimento: data di assunzione 16 Maggio 2001. In realtà il mio rapporto con “la grande fabbrica” è iniziato ben prima. Figlio di un operaio Italsider, ho imparato presto a modulare la vita famigliare secondo i turni di mio padre, assunto giovanissimo nella seconda parte degli anni Settanta attraverso i corsi ANCIFAP (Associazione Nazionale Centro IRI per la Formazione e l’Addestramento Professionale). Ricordo distintamente quando da bambino – avrò avuto a malapena 5 o 6 anni –, andando a trovare i miei nonni materni al cimitero di Taranto e vedendo le alte lingue di fiamme, i pennacchi di fumi vari e quelle enormi e strane costruzioni illuminate a giorno dai neon, chiedevo a mio padre se davvero quella “cosa” fosse l’Italsider, aggiungendo, quasi con le lacrime agli occhi, che li dentro non sarei mai voluto entrare. (more…)