di Salvatore Romeo (’84)
Chi l’avrebbe mai detto che una tranquilla passeggiata nel centro storico di Oria, nel pomeriggio di un’uggiosa Pasquetta, mi avrebbe permesso di imbattermi in un documento di così straordinario interesse (ingrandisci). 7 brevi punti a firma della locale Confartigianato e del “Comitato per la tutela della sicurezza e del quieto vivere(!)”. Apparentemente un innocente decalogo, anzi un “codice di autoregolamentazione”, in realtà un’interessante testimonianza del razzismo “quotidiano”, quello che non organizza ronde e non spara agli immigrati, ma si insinua silenzioso nei rapporti sociali. Che senso ha vietare la sosta agli immigrati nei bar per più di 15 minuti? Ufficialmente – dice il documento – la prescrizione è dovuta al fatto di permettere agli altri clienti di usufruire del servizio, ma il “non detto” è che, in realtà, questi immigrati sono indistintamente degli ubriaconi. Ce lo conferma perentoriamente il secondo punto.Oltre tutto sono sporchi e potenzialmente portatori di malattie non meglio identificate, che potrebbero trasmettersi nella maniera più subdola: attraverso il contatto con gli oggetti che, nei locali pubblici, sono di uso comune – bicchieri, posate, tavoli, sedie… Per precludergli del tutto la fruizione di questi luoghi tanto meglio rifornirli direttamente delle cose di cui hanno stretto bisogno, senza lasciar loro denaro, che potrebbe essere speso in passatempi poco edificanti. Naturalmente questi uomini sono anche portati alla violenza, alla molestia e ad ogni altro tipo di atteggiamento aggressivo; per questo è bene che il cittadino si armi di telecamera e aguzzi l’occhio per scovare – possibilmente prima che si manifesti – qualsiasi atteggiamento sedizioso.
Il quadro è completo: col linguaggio colloquiale e “di buon senso” tipico dei regolamenti da bar (“vietato fumare”, “non si fa credito”…) – mille miglia distante dal burocratese di prefetti e forze dell’ordine – il nostro piccolo codice deontologico presenta alla comunità le sue ancestrali paure finalmente materializzate in un tipo che più che umano è mostruoso: alcolizzato, sporco, infetto, prodigo e violento… D’altra parte il documento è diretto in via esclusiva agli autoctoni: esso è dunque il canale di una comunicazione tutta interna alla comunità oritana. Se i paesani avevano già timori spontanei, il regolamento non fa che ribadirli e fissarli con l’autorevolezza della carta scritta e sottoscritta da sigle più o meno significative, ma allo stesso tempo usando un linguaggio e una forma non ufficiali. Non è insomma la Legge, lo Stato che sta ordinando qualcosa, ma è la comunità stessa che si dà quelle norme (si tratta infatti di un regolamento di “auto-regolamentazione”). L’atteggiamento razzista non è affatto imposto dall’alto sulle teste di un popolo ingenuo – come spesso, in questo caso sì con imperdonabile ingenuità, si pensa a sinistra – ma sollecitato da parti della comunità che non fanno altro che dare forma alla chiacchiera che corre di bocca in bocca. D’altra parte lo stereotipo non potrebbe essere più rozzo: ci troviamo di fronte all’incarnazione dello “straniero” per eccellenza; non c’è il minimo tentativo di astrazione – magari di riduzione degli uomini a numeri, come spesso accade invece nelle procedure amministrative, espletate dai poteri ufficiali.
Insomma, quel piccolo scritto ci comunica un dato fondamentale del razzismo dei giorni nostri. Esso è profondamente radicato nel senso comune della nostra gente – non si facciano distinzioni fra meridionali e settentrionali se non si vuole apparire ridicoli. Volendo essere più radicali: esso è profondamente radicato in noi. Lo Stato non lo induce; semmai pone le condizioni affinché quel sentimento possa emergere (per esempio, come in questo caso, realizzando assurdi assembramenti di migliaia di persone in un unico posto). E’ dunque un razzismo “della porta accanto”, che è entrato a pieno titolo nella chiacchiera da bar. Questo non lo rende meno pericoloso, anzi. Di fatto pochi oritani si sono sforzati di verificare la loro rappresentazione dei “mostri”; e d’altra parte perché avrebbero dovuto farlo visto che quell’immagine godeva anche di autorevoli sostegni? Non solo: visto anche che, in fin dei conti, quell’immagine funzionava – essa ha consentito di mettere su delle pratiche di controllo (quelle cui si accenna al punto 6) che di fatto hanno evitato che accadesse qualcosa di grave. Insomma, non vi sono state violenze non certo perché le persone trasferite nelle campagne fra Oria e Manduria non erano poi così facinorose, ma perché i cittadini hanno saputo “auto-regolamentarsi” adeguatamente. Il cerchio si chiude; il modello ha superato la prova del nove dell’esperienza.
Qualcuno negli anni ’70 disse provocatoriamente che quando il fascismo si sarebbe proclamato anti-fascista sarebbe tornato in auge. Questa piccola vicenda ci pone una questione analoga: un razzismo “democratico” (basato non tanto più sulle forze di polizia e sugli apparati statali, ma su “autoregolamentazioni” simili a quelle emerse ad Oria) è sicuramente più potente di un razzismo “di Stato”. A questo punto dovrebbe spalancarsi un baratro di fronte agli occhi dei sinceri anti-razzisti: la lotta contro leggi ingiuste non basta più, perché non è solo il Palazzo ad essere marcio.
Gentile Salvatore aldilà del decalogo, che poteva essere certamente sviluppato meglio, lei è stato ad Oria nei giorni in cui quel cartello è stato affisso, insieme ad altri due tradotti in lingua araba?
Lei ha visto come si presentava la città e quali disagi, anche di natura economica, hanno dovuto sopportare i locali pubblici occupati dalla mattina alla sera dalle stesse persone?
Lei conosce tutti gli oritani per sapere che solo pochi si sono sforzati di verificare la loro rappresentazione di quelli che lei immagina nelle menti oritane come “mostri”?
Lei lo sa che nel campo c’erano numerose persone affette da scabbia e di certo le condizioni igieniche non erano delle migliori?
Lei lo sa che oltre a centinaia di bravissimi ragazzi c’erano per le strade anche diverse decine di tunisini disonesti e ubriaconi?
Lei ha fatto qualcosa in prima persona per aiutare i tunisini o gli ancor più bisognosi libici che ci sono in questi giorni?
Giudicare gli oritani generalizzando in base a quel foglio, tra l’altro letto fuori dal contesto e dopo diverse settimane all’emergenza, mi consenta di dire che può essere fuorviante.
Senza generalizzare neppure io, le confermo che come è facile aspettarsi di sicuro ci sono alcuni razzisti ad Oria, come pure ci sono dei super solidali che hanno speso giorno e notte ad aiutare i tunisini, a volte difendendoli anche di fronte all’oggettivamente indifendibile
Molti altri oritani, la stragrande maggioranza, hanno avuto una posizione intermedia, per loro non era un problema di paure o giudizi basati sulla razza, ma solo di senso pratico nel voler aiutare quella gente e nel cercare il modo di affrontare una serie improvvisa e concreta di disagi.
Grazie per aver visitato la nostra amata e, mi consenta di evidenziarlo, accogliente Oria.
A nome degli oritani che non si riconoscono in quel documento chiedo scusa per questa sub-cultura.
Sono d’accordo con Claudio che tra l’altro si è distinto molto nella accoglienza: Giudicare gli oritani generalizzando in base a quel foglio è fuorviante, perchè la nostra cittadina si è distinta con un accoglienza eccezionale, giovani e donne che hanno speso giorno e notte ad aiutare i tunisini, mediando con gli abitanti e con le stesse forze di polizia. Se non è successo niente di grave dobbiamo ringraziare tutti questi ragazzi che si sono messi in mezzo tra i giovani tunisini e i razzisti/rondisti dichiarati (una minoranza che ha avuto la peggio e si sono andati a nascondere con la coda tra le gambe), giovani che si sono messi in mezzo anche per rimproverare aspramente e al limite dello scontro fisico (aiutati dalla maggioranza dei giovani tunisini) quei pochissimi tunisini che hanno creato alcuni problemi, giovani che si sono messi in mezzo tra la polizia che voleva caricare e i giovani tunisini che volevano andare via dai loro parenti e amici e si ammassavano davanti alla Stazione Ferroviaria. Siamo orgogliosi di questa nostra Città nonostante quelle iniziative razziste ed estemporanee della Confartigianato e che ci fanno vergognare per loro. Il suo presidente si presenta alle elezioni del 15 maggio nel centrodestra (che raccoglie alcuni rondisti) con una lista che si chiama Impegno Sociale ma il suo nome non deve trarre in inganno.
Lorenza Conte
Signori, credo ci sia un equivoco. Se leggeste attentamente l’articolo notereste che in nessun punto si fa cenno alla mancata (o alla cattiva) accoglienza degli oritani. Semplicemente non è questo il tema su cui concentro la mia attenzione. Conosco bene, dal momento che Siderlandia ha seguito attentamente l’intera vicenda, il grande sforzo portato avanti dai cittadini di Oria, di Manduria e delle aree limitrofe per dare un’accoglienza dignitosa agli immigrati. L’articolo dice altro. Dice che esiste un sentimento razzista spontaneo nella coscienza collettiva della popolazione italiana (magari fosse circoscritto ai soli oritani), che si esprime in tante piccole premure quotidiane. Nessuno mette in dubbio che fra gli immigrati ci fossero persone malate o facinorosi: queste si trovano in ogni gruppo umano. Il volantino però focalizzava l’attenzione esclusivamente su queste, facendone il paradigma dell’immigrato. In che modo? Grazie alla sua forma normativa e all’autorevolezza che gli derivava dalla sigla che lo ha firmato. Ma con ciò intercettava quello che, ci piaccia o no, è stato il sentire comune di molti in quei giorni. Ma questa non è una “colpa” degli oritani (o dei manduriani o dei lampedusani ecc. ecc.); questo è un fatto. Sul razzismo non mi interessa esprimere un giudizio morale; quello che mi preme è analizzarlo come fenomeno sociale. Ho pubblicato quel documento per invitare i lettori a riflettere sulla pervasività di certi discorsi – in fondo si tratta di argomenti “di buon senso”… Chi ha voluto leggervi un attacco contro la popolazione di Oria ha sbagliato interpretazione. Capisco che ciascuno voglia difendere la propria comunità sopra ogni altra cosa, ma vi prego: fatelo con chi davvero in quei giorni vi ha dipinto come mostri (mi riferisco a tante testate locali e non).
Salvatore Romeo
Non è facile per una città come Oria accogliere all’improvviso migliaia di immigrati disperati che fuggono dal loro paese,è ovvio che la diffidenza fa da padrona in questa situazione,ma nonostante tutto il paese ha cercato di gestire la cosa nei modi più adatti, esprimendo più un sentimento di compassione che razzista.Tanta gente ha aiutato questi profughi,ma questo fa meno clamore di un documento emesso per gestire le inciviltà di chi credeva che poteva fare come gli pare in una comunità che lo ospita.Purtroppo se un paesano ha timore di stare in piazza come una volta perché vede stranieri che si ubriacano,accennano risse e urinano negli angoli,o si registrano casi di molestie(si parla sempre di una minoranza) allora è normale che il sentimento muta, si avverte un senso di ingratitudine, di inciviltà, mancanza di rispetto e si apre la strada a questo pseudo-razzismo,chiamato così perché si parla di profughi africani,ma se la stessa cosa si fosse registrata con spagnoli, tedeschi, o italiani stessi, questo documento sarebbe apparso uguale, ma forse la parola razzismo,sia pur del nostro inconscio,sarebbe venuta meno!
[...] Fonte: Siderlandia [...]