Altri mondi. La Puglia, la Tunisia e la sfida del possibile

di Francesco Ferri

Sono vari ed eterogenei i criteri utilizzabili per quantificare il concetto di distanza. Provando a valutare la lontananza della Tunisia dalla nostra regione, misurandola con la frequenza e il tenore dei ragionamenti dei media ufficiali e del sistema istituzionale in tema di Maghreb, avremmo la percezione di un’area geografica collocata dall’altra parte del globo terrestre. Gli unici discorsi in materia di vicende nordafricane vengono declinati in termini di problematicità legate all’afflusso di migranti (peraltro solo indiretto e tutt’altro che problematico).

Quant’è lontana la Tunisia? Di contro, il criterio più semplice – che si rivela decisamente sorprendente – risiede nel calcolare la distanza chilometrica (in linea d’area) che divide la provincia Ionica da Tunisi. 737 km separano Taranto e Tunisi. 1499 il capoluogo di provincia Ionico da Parigi. 1525 da Bruxelles e 1811 da Londra.
Il dato numerico sorprende non poco, per una motivazione abbastanza precisa: la totalità dei ragionamenti che provano a mettere in relazione il sistema Italia (e il sistema Puglia) con altre realtà nazionali (e regionali) assumono come secondo elemento del confronto quasi esclusivamente aree geografiche europee, tralasciando completamente la sponda Sud del Mediterraneo. E questo avviene a dispetto di una vicinanza – con particolare riferimento alle regioni del Sud Italia – che non è solo geografica, ma che si declina anche in termini di storia, di cultura, di lineamenti dei volti, di ritmi di vita, e cosi via.
Certamente i discorsi dominanti sono caratterizzati da un secolare (ed insopportabile) eurocentrismo, che spesso si accompagna ad elementi più o meno esplicitati di razzismo culturale. Si tende ad escludere – in maniera aprioristica, slegata da qualsiasi elemento di realtà – che confronto e contaminazione con tradizioni culturali e prospettive politiche del Maghreb possa essere di qualche utilità.
L’esigenza di invertire l’ordine del discorso con riferimento particolare alla Tunisia risulta ancora più urgente per chi prova ad immaginare un altro mondo possibile, per una circostanza ben precisa e abbastanza disarmante: meno di un anno fa a Tunisi c’è stata una rivoluzione.

Siamo così diversi? Proviamo a ragionare proprio intorno e dentro alle rivolte culminate con la cacciata di Ben Ali, pluridecennale dittatore di Tunisi. Protagonista indiscusso della rivoluzione tunisina è un soggetto dall’età media decisamente bassa, disoccupato, precario o lavoratore intermittente, spesso con un livello di formazione molto alto. Una rivoluzione tutta interna al mondo del lavoro e alle sue contraddizioni.
Anche in questi termini, gli elementi di affinità tra la nostra regione e la Tunisia sono più marcati di quanto si possa ritenere. Nel 2010 il tasso di disoccupazione nel paese del Maghreb è del 14% (fonte Ministero del lavoro di Tunisi). La Puglia segnala, nello stesso anno, una percentuale di disoccupazione del 13,5% (fonte rapporto Svimez 2011). Ancor più drammatica appare la situazione, nella nostra regione, nella fascia d’età tra i 15 e 34 anni: l’occupazione raggiunge solo il 39,5% (fonte rapporto Svimez 2011).
Le differenze in termini di PIL totale tra le due aree geografiche e di PIL procapite rimangono certo notevoli, sarebbe ingiusto non sottolinearlo. Quel che i dati ci raccontano, invece, è che proprio in tempi di crisi le prospettive – economiche ed esistenziali – dal punto di vista generazionale sono, sponda Sud e sponda Nord del Mediterraneo, drammaticamente molto più vicine di quanto siamo portati a ritenere.

La sfida del possibile. Proprio in termini di prospettive politiche la relazione tra le mobilitazioni Maghrebine e quelle nostrane mostra importanti elementi di divergenza. Allo stesso tempo, come appare ormai evidente, l’esperienza tunisina sembra parlarci con crescente urgenza. Difficilmente le acampados spagnole e le mobilitazioni di Wall Street, senza l’occupazione della Casbah e di piazza Tahrir, avrebbero avuto la stessa forza e la stessa incisività. Ma c’è dell’altro: la consapevolezza della miseria della propria esistenza, la determinazione nel provare ad invertire il corso della propria vita rappresentano elementi sociali e politici dai quali è impossibile prescindere. E’ proprio in quest’ottica di ricerca che occorre provare a connettersi, strutturalmente ed idealmente, con il vento di rivolta che parte della sponda sud del Mediterraneo.
Non si tratta ovviamente di fare come in Tunisia. Il discorso è sicuramente più complesso.
Non esistono modelli di mobilitazione validi ed efficaci a prescindere dalle particolarità del proprio ambiente di vita. Quello che però in prima istanza ci urlano le rivoluzioni del Maghreb è il criterio del possibile.
E’ stato possibile in Nord Africa – a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste – ribellarsi allo sfruttamento neoliberista e provare ad aprire un’altra storia. E’ proprio questo che probabilmente, in Puglia, in Italia ed in Europa ci manca. Non abbiamo, nel vecchio (non solo anagraficamente) e stanco continente europeo un racconto del possibile, che sappia concedere anche solo all’immaginario di un futuro possibile una prospettiva diversa rispetto alla catastrofe di trent’anni di neoliberismo.
Provare a tendere occhio, orecchio e cuore un po’ di più alla sponda sud del Mediterraneo, a partire magari proprio dal Mezzogiorno – così geograficamente favorito in questa prospettiva – ci aiuterebbe anche dal punto di vista generazionale a comprendere che ribellarsi, in piena crisi economica ed di identità europea, non solo è giusto ma è anche possibile.
Alcuni percorsi in questo senso sono avviati. In quest’ottica il recente meeting transnazionale tenutosi proprio a Tunisi con la partecipazione di centinaia di attivisti politici provenienti da tutta Europa, chiamato appunto “Réseau de Luttes”, appare assolutamente interessante in termini di assunzione dell’area mediterranea come terreno di analisi e di contaminazione di diverse (ma convergenti) esperienze di mobilitazione nella crisi del capitalismo finanziario.
Contemporaneamente la Puglia può assumere la pretesa di rappresentare realmente un contesto privilegiato proprio in termini di connessione politica e culturale con Maghreb e Mashrek. E non solo per l’indubbia vicinanza, geografia e culturale.
In quest’ottica, la presenza di migranti tunisini nella nostra provincia e nella nostra regione potrebbe assumere connotati che ben si allontanano dagli schemi del multiculturalismo (coesistenza nello stesso territorio, ma come compartimenti stagni e senza reciproca contaminazione).
Non si tratta di andare a lezione di rivoluzione, ma di qualcosa – se è possibile – di molto più sincero, diretto e intimo.
Alzando gli occhi, riscoprendo una parte fondamentale della storia e del nostro orizzonte geografico e culturale, meridionale e pugliese, possiamo provare a tendere la mano, raccogliendo la sfida lanciata dai ragazzi tunisini, che urla in maniera diretta e non mediata anche alle nostre esistenze.

1 comment

  1. Mario November 21, 2011 2:58 pm 

    Se ho capito bene, la sintesi del suo articolo sarebbe quella di stabilire un rapporto autentico tra culture così distanti e così vicine. Credo che lei abbia dimenticato il comportamento di molti tra gli immigrati provenienti dalla Tunisia e sbarcati non solo a Lampedusa: violenza nei CIE, distruzione delle navi che li trasportavano proprio in Puglia, fughe dai centri per raggiungere le piazze di spaccio della droga a Padova, Brescia, Torino, Milano dove altri loro connazionali fanno quello che vogliono da molto tempo, esibendo atteggiamenti irresponsabili, anarchici, brutali. Gli Italiani invece non hanno dimenticato e vogliono più controllo del problema immigrazione, più controllo sugli aiuti economici agli immigrati, più controllo anche sulla situazione economica in Tunisia. Lei ci é mai stato in quel bellissimo Paese? Colpisce il visitatore l’enorme ricchezza che traspare dalla vista di numerosissime ville faraoniche e numerosissime auto di lusso. Ma allora perché tanti tunisini vengono qui e, pur vivendo malissimo, non se ne tornano a casa loro? Sarà mica perché hanno capito di poter approfittare in tutti i modi leciti, ma soprattutto illeciti, di un’Italia debole e incapace di difendersi? I buoni propositi sono sani quando sono applicabili, altrimenti creano il marcio, e come al solito, é la Politica a innescare il degrado, perché, caro Francesco, tutti gli italiani hanno capito che dagli immigrati la Politica vuole una cosa sola: IL VOTO.
    In Tunisia non c’é stata una rivoluzione ma semplicemente una rivendicazione dei diritti fondamentali della persona, che, un po’ la dittatura, un po’ la tradizione, un po’ la religione hanno profondamente offuscato. Ma la democrazia non si inventa da un giorno all’altro, si conquista, si suda e si protegge.
    Concludo sottolineando il concetto che l’immigrato regolare che vive, lavora e rispetta il nostro Paese deve beneficiare di tutti i diritti, l’immigrato che invece viene in Italia con il solo scopo di delinquere o approfittare degli aiuti sociali, spesso illegittimi, deve essere rispedito al suo Paese. Saluti
    Mario

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