Supereroi Vs la musica tradizionale

di Cosimo Spada

Prendiamo i personaggi sotto la maschera dei supereroi, tipo Peter Parker, l’Uomo Ragno; Clark Kente, Superman, ecc. Noi sappiamo tutti che sono forti, fighi, senza paura e che a letto non falliscono mai. Eppure loro per mantenere la loro personalità segreta si mostrano come inetti, poco coraggiosi e timidi. Fanno questa scelta essenzialmente per rimanere nell’ombra, per proteggere i loro cari ma anche perché non hanno bisogno di mostrare il loro potere a chiunque: per ottenere qualcosa, a loro basta utilizzare il loro dono quando il mondo ne ha bisogno.

Sicuramente i Blur applicano lo stesso principio. Non ci sono altre spiegazioni.

I Blur sono una di quelle band che sembrano nate con un destino già segnato ma poi cambiano le carte in tavola e non sai più che pesci pigliare; coi loro primi due album si fanno conoscere come una band pop rock ma non fanno più di tanto rumore. È con Parklife che si fanno notare in maniera decisiva in Inghilterra e da  lì arriveranno a tutto il mondo, anche se mai a grandissime folle.

Ho sempre trovato strani i Blur per un aspetto che li ricollega ai supereroi di cui vi parlavo all’inizio: in ogni loro album ci sono sempre due o tre canzoni pop perfette. La melodia accattivante, la batteria e il basso che ti invitano ad andare a tempo col piede e la voce di Damon Albarn che sornione e indolente racconta storie di ordinaria inglesitudine. Accanto a queste poi ci sono molte altre canzoni dove sembra che ciascun componente abbia deciso di suonare il pezzo come gli pare, con un effetto imprevedibile.

Forse qualcuno definirebbe questa come “cazzoneria”. Vi sbagliate miei piccoli amici di Babbo Natale, questo è il segno della loro grandezza. I Blur appartengono a quel ristrettissimo club di musicisti che conosce la formula segreta della perfetta canzone pop. Ma a differenza di tanti non  la sputtanano tutta in un disco e poi finiscono a suonare alla sagra della salsiccia o peggio finiscono in quei programmi tipo “Matricole & Meteore”.

Rispetto ai loro rivali di allora, gli Oasis, che incarnavano la working class e l’urgenza del rock, i Blur, per via delle loro origini famigliari,  erano degni rappresentanti della borghesia colta e rappresentavano quella parte del rock più cerebrale che aveva in gruppi come Talking Heads. Dopotutto chi mai avrebbe potuto scrivere un pezzo sull’andare a vivere in una casa in campagna? Il pezzo era Country House dall’album The Great Escape, ed è un perfetto esempio di come i Blur riuscissero ad unire rock e vita comune inglese in una canzone.

Se fino ad ora non vi ho convinto che avete a che fare con dei supereroi allora sarò costretto ad usare la mia arma segreta…. no, non sto parlando di venire a letto con voi per convincervi delle mie ragioni, sono un ragazzo “cresciuto alla luce del vangelo”(scopri da dove ho preso questa citazione e vincerai un intera giornata a farmi il bucato!). No l’arma segreta è il loro miglior album, l’omonimo Blur del 1997.

Nel 1997 il Brit pop stava morendo: gli Oasis pubblicarono Be Here Now, un album mediocre che non aggiungeva nulla a ciò che avevano già prodotto, i Pulp fecero uscire This is Hardcore che era tutto fuorché nei canoni del Brit pop; e i Blur uscirono con Blur.

L’omonimo quinto album era in rottura con tutto quello che avevano fatto in precedenza. Rompeva con la musica inglese perché  denunciava influenze dalla musica noise americana, non a caso un loro pezzo Essex Dogs sarebbe stato remixato da Thurston Moore, leader dei Sonic Youth. I Blur sporcarono i loro suoni e scelsero una strada a ”bassa fedeltà” per il loro suono.

Quello che dicevo all’inizio di loro lo potete capire ascoltando le prime tre tracce dell’album. Apre l’album Beetlebum, canzone con tutti gli ingredienti tipici di cui vi ho parlato prima, il testo però non ho mai capito di cosa parli. Ma è un pezzo perfetto per rimanere nella vostra testa. La seconda traccia è la celeberrima Song 2. C’è davvero poco da dire su questa canzone, è il loro più grande successo, andrebbe studiata nelle scuole da chiunque volesse diventare un perfetto songwriter; le chitarre imperiose e quasi sature, la batteria che sembra pestata da un martello pneumatico, tutto funziona alla perfezione, non c’è neanche bisogno di un testo, sono frasi senza senso. Ma già dalla terza traccia tutto cambia, Country Sad Ballad Man, è un pezzo vagamente country folk con una chitarra acida che racconta la storia di un perdente che passa tutto il giorno davanti alla tv, la canzone è un taglio decisivo rispetto alle prime due e destabilizza l’ascoltatore. Tutto l’album è percorso da questa sensazione di trascuratezza di abbandono se non proprio di inerzia, anche quando si parla di amore come in You’re so great, un pezzo acustico su un amore alcoolico. Barbe incolte, camere che sanno di chiuso e mal di testa di primo mattino. O come in Death of a Party, una sorta di marcia funebre per una festa noiosa. Ma c’è anche spazio per la follia amorosa con I’m just a Killer for your Love, tutta la canzone sembra suonata con strumenti che si stanno squagliando e rendono perfettamente la situazione perversa che il testo racconta con frasi sibilline. Insomma è un disco per tutta la famiglia. Se la vostra famiglia è un disastro, ovvio.

Ma lasciate perdere tutte queste chiacchiere, questi qua sono dei veri supereroi del pop, gente che potrebbe scrivere il miglior album di sempre, ma non lo faranno mai, perché la loro identità verrebbe rivelata, e questo nessun supereroe lo può permettere.

 P.S.

L’album perfetto alla fine lo hanno fatto uscire: il loro “Best of”

Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo:

The Black Keys, The Big Come Up, 2002

Band of Horses, Mirage Rock, 2012

1 comment

  1. Bomber November 8, 2012 1:38 pm 

    bella bomber anche i gorillaz fanno pezzi perfetti.
    aspetto che scrivi di musica italiana possibilmente hip hop che di cagate spacciate per cioccolata ce ne sono tante

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