Luigi Meroni: storia di un anticonformista.

di Salvatore Romeo

La quotidianità giornalistica, costituita sempre più da titoli di giornali e sempre meno da saggi, ci regala sia storie incredibili di uomini normali sia storie normali di uomini incredibili. E così capita di imbattersi negli “anticonformisti”, una tipologia di persone, ma sarebbe più giusto parlare di personaggi, che in modo più o meno naturale cercano di rompere gli schemi precostruiti della società e dei tempi in cui vivono. L’anticonformista è dunque per definizione colui “che non uniforma il proprio comportamento a quello maggioritario”; principali sinonimi di anticonformista sono eccentrico ed originale.

Anticonformista è anche l’aggettivo con cui viene spesso apostrofato Fabrizio Corona. Ma, per quanto mi possa sforzare, nel ripensare al personaggio televisivo catanese il primo termine che mi affiora in testa per descriverlo è “paraculo”. Con buona pace dei suoi ammiratori (che prego fortissimamente di fondare un’anagrafe di “fan di Corona”, così possa conoscerli ed accuratamente evitarli). Corona è protagonista della quotidianità scandalista italiana da circa cinque anni, più o meno da quando è iniziata la notorietà di altro “anticonformista” italiano, tale Balotelli Mario. Quest’ultimo infatti, pur con l’attenuante della giovane età (e per le statistiche Istat sei giovane fino a 35 anni, mentre per le aziende sul suolo italico l’età adulta scatta a 23 anni), incarna tutte le principali caratteristiche del suddetto “paraculo”: ricco, donnaiolo, dotato di una straordinaria capacità di combinare disastri, spaccone, superbo e superficiale. Quantomeno ciò è quello che si carpisce dai numerosi servizi e reportage sulla sua vita. E l’equazione “calciatore = soldi + potere” è l’unico tipo di matematica che è disposto a studiare chi sogna una vita “alla Balotelli”. Ma la storia, per fortuna, ci ha regalato numerosi esempi di calciatori anticonformisti e ancor di più anticonformisti calciatori (e la differenza è sostanziale). Primo tra tutti, un ragazzo comasco, timido, colto e anticonformista, soprattutto al di fuori del campo da gioco. Il suo nome era Gigi Meroni.

Torino. Serata autunnale. Un freddo pungente, che le mani rimangono in tasca. Neanche il desiderio di una nazionale senza filtro ti persuade a sfoderarle dal caldo giaciglio. Una passeggiata per di un viale alberato, piante scure ed invisibili mimetizzate con un cielo dal cuore scuro, raramente illuminato dai fari gialli delle Fiat “850” scorrazzanti. Sono attimi di vita, fuggevoli come un sorriso. Le auto passano, illuminano e corrono via pronte ad illuminare un altro viale, un’altra zona, un’altra città. Un auto parte a tutta velocità dopo essere stata in coda al semaforo. Un ragazzo attraversa la strada e…

Gigi Meroni è ricordato da tutti gli ex-compagni di squadra come una farfalla; in campo era agile e veloce, sembrava che volasse e che i suoi piedi non taccassero terra ma la sfiorassero appena. Era un fenomeno, calcistico e sociale. Ma non sapeva di esserlo o quantomeno non se ne curava. Meroni “esplose” agli inizi degli anni 60 nel Genoa. I tifosi del “grifone” impazzivano per le sue giocate sublimi e pionieristiche per il calcio italiano, costruito in quegli anni sull’efficacia del catenaccio e della marcatura a uomo: più importante che creare era distruggere.  E di uomini, in campo, Meroni ne fece impazzire tanti.

Ma un calciatore, già in passato, oltre che i difensori è marcato ad uomo anche delle belle ragazze ed, anche in questo caso, il connubio si concretizza quando Luigi incontra Cristiana, giovane ragazza ( diciassette anni) incontrata mentre ricaricava i fucili nel tiro a segno dello zio al Luna Park alla Foce di Genova. Bionda e bellissima, nata in Polonia da madre tedesca e padre napoletano, Cristiana è subito affascinata da quel ragazzo timido e sensibile: fin dal giorno del loro primo incontro Cristiana rimarrà per Luigi l’eterna fidanzata. Ma l’Italia della metà degli anni sessanta (Luigi e Cristiana si conoscono nel 1964) è un paese ancora impreparato alle mutate esigenze dei più giovani; la mentalità borghese e bigotta, di cui è permeata la popolazione tutta, fa si che i genitori di Cristiana non vedano di buon occhio il rapporto della figlia con il giovane calciatore e decidono di darla in sposa (senza, in un primo momento il di lei consenso) a Luigi Petrini, giovane aiuto regista di  Vittorio De Sica, conosciuto durante le riprese di “Boccaccio ‘70”. Cristina e Gigi si separano, ma sanno che la loro lontananza non durerà a lungo.

Nello stesso periodo della separazione con Cristiana (e la conseguenze depressione che colpirà Luigi), Meroni viene venduto dal Genoa al Torino per la cifra record (per l’epoca) di 300 milioni di lire. Ed è proprio a Torino che il Meroni uomo prende coscienza di se. Alle magie con il pallone alterna uno stile di vita troppo libertino per un calciatore degli anni sessanta: Luigi porta acconciature strane, ai capelli lunghi, spesso tagliati asimmetricamente, aggiunge abiti sgargianti disegnati da lui.  E’ un arista: la sua più grande passione rimarrà per sempre la pittura. Un uomo fuori dal suo tempo Meroni, un precursore, un anticonformista in aperto contrasto con la cultura italiana, bigotta e retrograda.

Come se non bastasse tutto ciò ad attirare verso di se i giudizi maligni dei benpensanti, compresi i giornalisti sportivi all’epoca all’unisono d’accordo della “cattiva condotta” dell’ala granata, a rovinare l’immagine del calciatore ci fu la rottura del breve ed indesiderato matrimonio tra Cristiana ed il marito; dopo avere richiesto l’annullamento del matrimonio alla sacra rota, Cristiana andò a convivere con Gigi, con grande scandalo dei benpensanti e di tutta una stampa conformista che cominciò a prendere di mira il giovane calciatore. Meroni rischiava di vedere compromessa la sua carriera sportiva. Ma la grande forza di Meroni constatava nelle sue prestazioni dentro il campo.  Le giocate del giovane giocatore erano così convincenti che il ct Edmondo Fabbri, allenatore contraddistinto dai modi duri e militareschi fu “costretto” a furor di popolo a convocarlo in nazionale. Ovviamente i capelli lunghi e la barba di Meroni furono il grande deterrente del suo successo in azzurro. Ai mondiali del 1966 Fabbri lo tenne fuori dalla partita più importante, quella contro la Corea del Nord che, inaspettatamente, vinse ed estromise la nazionale italiana dalla corsa alla coppa Rimet.

Il fallimento della nazionale poteva segnare negativamente il proseguo della carriere calcistica della “farfalla di Como”. Meroni però con la sua classe cristallina seppe riconquistare il pubblico italiano. Nel 1967 il presidente della Juventus Agnelli si invaghì della tecnica e del carattere del giocatore; l’avvocato offrì alla squadra del Torino in cambio di Meroni 700 milioni di lire: era all’epoca una cifra difficile da rifiutare. Meroni però non si mosse da Torino. Una leggenda vuole infatti che Orfeo Pianelli, il presidente del Torino e lo stesso Meroni, riluttanti a contravvenire ad un’offerta di uno degli uomini più potenti d’Italia(qule era Agnelli), studiarono uno stratagemma per indurre il persidente della juventus a ritirare l’offerta: i due infatti istigarono i tifosi del Torino ad indire una manifestazione “volontaria” contro la cessione del talento granata. La protesta diede i risultati sperati e l’avvocato Agnelli dovette desistere.

La parabola ascendente di Meroni sembrava così non avere termine: era diventato famoso e richiesto ed aveva ottenuto la sua vittoria più importante: l’annullamento del matrimonio di Cristiana da parte della sacra rota. Da li a poco si sarebbero potuti sposare. Anche il nuovo campionato era partito bene. Meroni illuminava il gioco del Torino, fornendo gol ed assist ai compagni; le sue prestazioni giustificavano un suo impiego costante in campo, con buona pace dell’allenatore Fabbri (lo stesso della nazionale) subentrato quell’anno a Nereo Rocco.

E un’altra vittoria, l’ennesima di quel campionato, fu fatale alla farfalla. La sera del 15 ottobre Meroni ed un suo compagno di squadra decisero di andare a vedere la Domenica Sportiva a casa di Meroni, contrariamente all’usanza abituale della squadra granata che prevedeva un ritiro post partita la domenica. Ma nell’attraversare la strada che dal bar Zamboni portava a casa Meroni fu investito da una Fiat 124 che sfrecciava a tutta velocità. Alla guida dell’auto un giovane tifoso torinista Tilly Romero, che di Meroni era un accanito fan, tanto da portare sempre con se una sua figurina. Uno scherzo del destino si potrebbe pensare. Morire a causa di un proprio fan. O forse l’ultimo segno di un mito che scelse l’anticonformismo anche per la morte.


1 comment

  1. michele February 13, 2013 11:50 am 

    da premettere che da quando ero piccolo ho sempre odiato il calcio e gia’ a 9 anni ho sempre preferito rockstar prima e rockerilla dopo alaa gazzetta o al guerrin. cmq volevo aggiungere una cosa a questa storia che cmq mi ha affascinato…… e’ vero la storia di meroni finisce con la sua vita su di una strada investito da un tale chiamato Tilly Romero ma la vicenda si conclude per l’investotre in un ‘altra maniera in quanto questi altro non e’ che Attilio Romero ultimo presidente del Torino Calcio prima della bancarotta (2005).(fonte wikipedia)

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