Morire di carcere: la (oscura) vicenda di Carlo Saturno

di Annarita Digiorgio

Carlo Saturno aveva 22 anni. Il 30 marzo si è impiccato con un lenzuolo alla sbarra del letto a castello di una cella del carcere di Bari. Era nato a Manduria, sei fratelli che dopo la giovane morte del padre erano cresciuti in istituto. Arrestato per furto vagliò la soglia della galera ancora minorenne.
Il 47simo morto di carcere dall’inizio dell’anno. Di questi 20 si sono sicuramente suicidati (18 detenuti e 2 poliziotti), 17 sono morti per malattia, per altri 10 sono in corso indagini per accertare le cause del decesso. In italia è in vigore la pena di morte. Ma Carlo Saturno, non aveva una pena lunga da scontare. Perché un ragazzo di 22 anni decide di togliersi la vita, quando l’ha ancora tutta d’avanti?.

Subito dopo il suo gesto, la Procura di Bari ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio contro ignoti. Secondo la ricostruzione delle ultime ore di vita, aveva avuto una colluttazione con un sovrintendente di polizia. Non era la prima volta. Carlo nonostante i 22 anni aveva gia le sue tristi crocette dei carceri in cui era stato rinchiuso: Lecce, Taranto, Lucera, Bari. Era irruente Carlo, dicono i parenti, litigava con i poliziotti e quelli lo spostavano. Ci aveva perso un occhio per un pugno

Il 30 marzo comincia alle 11. A Saturno viene chiesto di abbandonare la seconda sezione in chiusura per ristrutturazione. E’ al collasso il carcere di Bari. La seconda sezione è quella che tutti chiamano lager: 270 detenuti a fronte di una capienza di 110, una struttura fatiscente e degradata ancora in funzione nonostante il DAP ne avesse disposto la chiusura lo scorso Settembre. I sindacati di polizia da tempo ne denunciavano le condizioni auspicando il rispetto della circolare Dap, ma ultimamente si era riusciti solo in una ristrutturazione (altri soldi sprecati, 3 miliardi in tutto in 30 anni solo per il carcere di Bari, che nonostante gli sprechi cade a pezzi). Per poter fare i lavori i detenuti della dovevano essere spostati, ma dove? In Puglia non c’è piu posto da anni ormai: ora sono 4.621 detenuti su 2.528 posti. Qualche giorno fa è stata augurata una nuova ala nel carcere di Trani (i famosi nuovi posti del piano emergenza Alfano) e duecento ristretti nella seconda sezione di bari erano stati trasferiti li, ma a questo non era corrisposto un aumento delle guardie che cosi avevano indetto una forte protesta vista l’impossibilità a controllare duecento presenze in più.
Quella mattina toccava a Carlo. Il giovane si oppone alla traduzione e “si avventa contro un sovrintendente aggredendolo con calci”. Alle 11.50 sono entrambi nell’infermeria del carcere. Il medico visita prima l’agente e gli diagnostica una frattura al polso e trauma cranico con prognosi di 35 giorni, e poi il detenuto su cui non riscontra alcuna lesione. Saturno stesso avrebbe detto al medico di non essersi fatto nulla. Viene così arrestato per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale (provvedimento che verrà successivamente confermato dal Gip mentre Carlo è in coma) e trasferito in una cella al piano terra della terza sezione. Fino alle 14.30 è in compagnia di un altro detenuto che a quell’ora esce dal carcere. Dopo mezz’ora, alle 15 viene trovato impiccato. I soccorsi dei medici interni sono immediati ma, finché arriva il 118, Saturno non respira più già da 30 minuti. Dopo una settimana di coma, il 7 aprile muore nel reparto di Rianimazione del Policlinico.

L’autopsia disposta dalla Procura e affidata al medico legale, a cui hanno partecipato anche due periti di parte nominati dai familiari, ha confermato le cause del decesso: asfissia a seguito dell’impiccagione. Sul cadavere non sono stati trovati segni di lesioni recenti. Tuttavia i medici aspettano l’esito degli esami tossicologici e istologici per poter escludere qualsiasi altra ipotesi,

bisognerà attendere 90 giorni per il deposito della perizia finale.

“Mio fratello è uscito morto dal carcere – queste le parole di Anna Saturno a Riccardo Arena che le ha dato voce in una puntata di Radiocarcere – ora vogliamo solo la verità”.
“Non smetto mai di guardare la foto dove stiamo tutti insieme e mi viene da piangere perché ho tanta paura, non so quando vi posso riabbracciare, non so quando uscirò, non so niente e questo mi fa stare molto triste, non provo più un pizzico di felicità”. Così le scriveva Carlo il 18 marzo. “Cara sorellina mi dispiace di averti fatto piangere, vedi che non mi sono tagliato tutto ma è stato un momento di crisi che sto passando tuttora. Sosò ti aspetto tanto, quando vieni? Scrivimi presto per favore, statemi vicino”.
Carlo aveva già tentato il suicidio. L’episodio che racconta nella lettera risale al 17 novembre: provò a tagliarsi le vene, ma infilò la lametta nella parte superiore delle braccia e non nei polsi. Questo fece pensare fosse solo un atto dimostrativo, per attirare l’attenzione. Da qui un’altra pista nelle indagini: che anche questa volta non volesse farla finita davvero. Gli inquirenti dopo il sopralluogo hanno notato che si era impiccato proprio davanti alla finestrella della cella, quella da dove si viene osservati dalle guardie.
”Probabilmente voleva che qualcuno si accorgesse del gesto che stava facendo e lo fermasse. Altrimenti si sarebbe nascosto nella cella e dall’altro lato del letto. Voleva forse compiere l’ennesimo atto di autolesionismo ma non per morire. Solo per ricevere maggiori attenzioni. Come era già accaduto altre volte”.

“Il referto del 118 parla chiaro: è stato trovato dopo mezz’ora che non respirava, che stavano facendo le guardie? Perché non se ne sono accorti prima? Proprio perché aveva già tentato il suicidio era sotto un regime particolare di sorveglianza. Doveva essere seguito 24 ore su 24. Invece è stato lasciato morire”.
 La famiglia di Carlo non crede alla versione ufficiale e ha depositato in Procura a Bari una denuncia a carico di ignoti per omicidio colposo, oltre alla già citata istigazione al suicidio. In sostanza vogliono sapere se ci sono stati o meno ritardi nei soccorsi in carcere, se Carlo poteva essere salvato con operazioni più tempestive e se tutto il possibile è stato fatto. Inoltre vogliono accertare che nei mesi precedenti gli sia stata garantita tutta l’assistenza sanitaria necessaria. Carlo soffriva infatti di problemi psicologici e aveva bisogno di supporto. Questo da quando all’età di 16 anni era stato coinvolto in una drammatica vicenda, di violenza, all’interno del carcere minorile di Lecce.

La storia di Carlo, i suoi disagi, il suo carattere, la sua mallatia, parte tutta da li. Da quando appena arrestato, all’età di 16 anni, fu rinchiuso nell’allora carcere minorile di Monteroni. Quello che accadde lo si scopre riascoltando uno Speciale Giustizia dell’aprile 2008 condotto da Francesco De Leo per Radioradicale. Un’inchiesta agghiacciante ricca di testimonianze e documenti.
Tutto comincia nel 2003, con l’arrivo del Comandante di Polizia Verri. Il quale era riuscito pian piano a far trasferire con lui un gruppo di uomini di fiducia suoi compaesani creando delle vere e proprie squadre organizzate.
Nell’estate del 2006 Roberto Della Giorgia, responsabile unico della salute in quell’ipm da piu di vent’anni, e un assistente sanitario, si presentarono dall’allora Sottosegretario alla Giustizia Alberto Maritati, con un dossier che descriveva quel “lager” attraverso 11 pagine di episodi documentati: soprusi, maltrattamenti, intimidazioni, non solo ai detenuti ma anche verso le guardie e il personale civile. Ragazzi che venivano tenuti la notte nudi in isolamento su una branda di ferro, picchiati, minacciati, guardie sopraffatte, assistenti mobbizzati. A fare da apripista a questa serie di violenze, l’episodio di un ragazzo a cui ruppero il timpano che si presentò in infermeria con l’orecchio sanguinante. Lo racconta il medico in quella intervista: era Carlo Saturno. A cui poi ruppero anche la retina, tanto da farlo diventare cieco dall’occhio sinistro. Da lì a seguire decine di casi simili. Il medico coraggioso, nonostante vessazioni lui stesso ricevute, si ribbellò subito a questa situazione e iniziò a denunciare i crimini commessi alle autorità: direttore, magistrato di sorveglianza, provveditorato, parlamentari, stampa. Ma spesso erano gli stessi detenuti, in sede ufficiale, a ritrattare. Dopo due anni in questa tragica e pericolosa situazione, il medico, non sapendo più a chi rivolgersi, si reca dal Sottosegretario Maritati. E’ la stessa voce dell’onorevole salentino a raccontare che, ascoltata la vicenda, disse lui non avere potere d’intervento diretto. Maritati non potè far altro che raccogliere le dichiarazioni del medico per iscritto e inoltrarle al Procuratore della Repubblica e all’allora Capo della Giustizia Minorile Rosario Priore (noto per essere stato giudice istruttore d’inchieste come Ustica, rapimento Moro, attentato al Papa). Ma anche li, per più d’un anno, tutto tacque. E’ sempre Maritati nell’intervista ad ammettere che le acque si iniziarono a smuovere solo nel 2008, a seguito di un articolo del Corriere del Mezzogiorno firmato da Nazareno Dinoi, cronista giudiziario che ancora oggi segue la vicenda. Il giorno dopo la pubblicazione di quell’articolo, il Procuratore chiamò Maritati avvertendolo della chiusura delle indagini. 9 agenti furono rinviati a giudizio.

La cosa era stata in precedenza denunciata anche al brindisino Luigi Vitali, quando era lui Sottosegretario. Questi dopo aver svolto personalmente un’ispezione nel carcere, minimizzò a un conflitto tra persone. (Oggi Vitali è il responsabile dell’ordinamento penitenziario Pdl, qualche giorno fa ha dichiarato che ci sono nuovi 10.000 posti nelle carceri. Non è vero).

Importante anche l’intervento dell’ex Direttore dell’ipm Francesco Pallara. Testimone delle nefandezze, e trovandosi impossibilitato in quella situazione a lavorare per la rieducazione dei ragazzi, racconta che sollecitò più volte Priore ad allontanare questi agenti, documentando i maltrattamenti e le angherie. Ma le sue denunce, come quelle degli altri operatori, caddero nel vuoto, e alla fine inerme decise di dimettersi (ora è parte civile nella causa). A lui ne succedettero altri 5. “Si cambiavano i direttori e non il comandante- racconta Pallara- Lavoro in carcere da 40 anni e non ho mai trovato un carcere cosi svuotato perchè non si riesce a mandar via il comandante. Piuttosto che mandar via lui alla fine l’hanno chiuso”.
Infatti nell’estate del 2007 il carcere minorile di Lecce venne chiuso. Per ristrutturazione, dissero. Da allora, dopo 5 anni, non è mai piu stato riaperto. Punendo così di fatto solo le famiglie dei detenuti, che vennero spostati altrove, e non toccando il personale penitenziario.

Al termine di quell’inchiesta Francesco De Leo chiede al Sottosegretario Maritati cosa resta di questa squallida vicenda. “Mi fa paura che possa accadere qualcosa di grave e che il sistema di garanzie previste dal legislatore non funzioni. E anche l’amministrazione, che se avesse vagliato la situazione non sarebbe neanche stato necessario ricorrere alla Procura. Un anno e mezzo per le indagini. La situazione è rimasta cosi com’era. Se l’accusa è vera per un anno e mezzo il nostro stato ha consentito il protarsi di atti di violenza. Questo preoccupa. I ritardi della giustizia. Non consente avere risposte in tempi utili.” Era il 2008. Le indagini erano partite nel 2006. Le violenze nel 2003. 5 anni.

Carlo Saturno in quel processo si era costituito parte civile. Nonostante fosse ancora in carcere. Si era fidato dello Stato. Il 6 aprile di quest’anno, 2011, c’era il processo e Carlo Saturno sarebbe dovuto comparire come teste. Non si è presentato. Era in coma. Il giorno dopo è morto. Si è svolta comunque l’udienza, ed è stata aggiornata al 19 giugno 2012. Tra più di un anno.
Per quella data tutti i reati per i quali si procede saranno prescritti.

Due anni di violenze sottosilenzio, due anni di indagini, altri due prima del rinvio a giudizio e quasi tre per arrivare alla decisione di rimandare tutto di altri quindici mesi e quindi in prescrizione. Tre i giudici che l’hanno seguito: venivano assegnati ad altro e il processo ricominciava da zero. 8 anni. Se il carcere non fosse stato chiuso (per ristrutturazione!) guardie e ladri sarebbero ancora li, a fare l’inferno.

Il difensore della famiglia Saturno cerca di trovare ancora un appiglio, una speranza di giustizia, nel percorso civilistico: “Voglio ricordare a tutti che la prescrizione non è un’assoluzione pertanto si può almeno sperare in un provvedimento risarcitorio in sede civile”. Qui le parti offese sono l’ex direttore del carcere Francesco Pallara, il medico Roberto Della Giorgia, una poliziotta e un’educatrice.
Anche per questo la settimana scorsa c’è stato un rinvio, al 12 gennaio, fissato però con la formula della sospensione del periodo di prescrizione per evitare l’assoluzione d’ufficio.
“Una vergogna che grida vendetta e che offende tutti quelli che come mio fratello hanno subito violenze e che speravano in una giusta giustizia”, il commento del fratello di Carlo.
È questa l’amnstia di classe che i politici consento in Italia. Prescrizioni per chi può permettersi costosi avvocati, sbarre per i poveracci.

“Garantiti con i garantisti, giustizialisti con i giustiziati” una frase che ultimamente ripete spesso Nichi Vendola accusando la maggioranza. Ha ragione. Gli errori del Governo sulla Giustizia sono infiniti. Non aver ancora introdotto il reato di tortura, per dirne uno. Tre sono le diverse interrogazioni parlamentari presentate dall’opposizione sul caso Saturno. Dalla deputata radicale Rita Bernardini, dal senatore pd Della Seta, dai suoi colleghi di partito deputati Ginefra e Losacco che prima hanno anche effettuato una visita al carcere di Bari. Mentre Vendola è andato a trovare la famiglia di Carlo in ospedale, al seguito di telecamere e giornalisti. Come sa fare ha rilasciato interviste commoventi e belle parole. Dalla poesia ai fatti diceva in campagna elettorale. Dove sono i fatti? Quello era il quinto tentato suicidio dell’anno nel carcere di Bari, se la sanità negli istituti penitenziari pugliesi è al collasso, la responsabilità è sua.
Cita Stefano Cucchi Vendola nelle dichiarazioni dopo la visita. I Sindacati di polizia sono arrabbiati per questo paragone, laddove nulla di paragonabile è stato accertato. La settimana scorsa c’era una presentazione del libro su Stefano scritto dalla sorella, e Vendola era tra i relatori. Io ci sono andata per cercare di fargli queste domande. Ma Vendola non si è presentato.

Mancanza di diritti e umanità, soprusi, abbandono, degrado, sovraffollamento, maltrattamenti, lentezza dei processi, illegalità, morte. Dove c’è strage di diritto, c’è strage di vite umane. Tutti gli irrisolti problemi del dramma della Giustizia italiana si sono incrociati in quei soli 22 anni di Carlo Saturno.