Martellotta e oltre. Fra emergenza e partecipazione

di Salvatore Romeo (’84)

Con lo stanziamento di 200 mila euro per la messa a norma della ex scuola Martellotta, la “questione Cloro Rosso” – il centro sociale che per due anni ha occupato quella struttura prima di esserne sgomberato, nel maggio 2010 – sembra essere giunta a un punto di svolta. Quella cifra andrà spesa improrogabilmente entro il 31 dicembre 2011. Le ragazze e i ragazzi che continuano ad animare il progetto Cloro finalmente hanno ottenuto quello che la Giunta gli aveva promesso ben prima dello sgombero.Ma ciononostante si mostrano cauti. Ancora alla vecchia scuola elementare che sorge al confine fra Salinella e Taranto 2 – quartieri emblematici della disgregazione urbanistica e sociale della nostra città –, non è stata infatti conferita una nuova destinazione d’uso. Fin quando non verrà formalizzato, attraverso un ulteriore passaggio politico, che quelle quattro mura dovranno ospitare un centro per le attività giovanili, tutto resterà nell’indefinito. Potrebbe anche accadere – cosa tutt’altro che inusuale dalle nostre parti – che lo stabile, ristrutturato, rimanga in balìa del tempo e della negligenza degli amministratori.

Questo, per esempio, è successo con l’ex cinema Mignon, a Paolo VI. E, d’altra parte, l’intera evoluzione della “questione Cloro” non lascia ben sperare. Ripercorrerne le tappe diventa quindi importante per capire quali siano gli attriti che impediscono di affrontare in maniera efficace una questione cruciale per il contesto tarantino: la disponibilità di spazi sociali.

La ex-Martellotta viene occupata nel marzo 2008. Nel corso di due anni si compie un’esperienza con pochi eguali nella storia recente della città. Le ragazze e i ragazzi del collettivo politico Cloro Rosso rimettono a nuovo lo stabile, realizzano persino un palco in muratura, avviano una palestra popolare (la “Mustakì”) e organizzano più di duecento iniziative fra conferenze, concerti, presentazioni di libri…
Ma la condizione di “illegalità” si protrae lungo l’intero periodo dell’occupazione, nonostante i tentativi dei ragazzi di sollecitare l’amministrazione a studiare una soluzione appropriata. E infatti già dall’autunno 2008, la Giunta sembra decisa a regolarizzare la posizione del centro sociale: viene stilato un bando di assegnazione dell’ex Martellotta, pubblicato persino sul sito del Comune, ma poco dopo lo stesso viene annullato per vizi di forma. Nell’aprile 2009 il Sindaco in persona tiene una conferenza stampa dai locali della scuola occupata. Il messaggio è chiaro: “A breve la Martellotta sarà la casa del Cloro Rosso”. Ma i giorni passano e intanto, nella notte fra 30 aprile e 1 maggio, tre balordi sparano contro i ragazzi nel corso di un concerto. Il giorno dopo lo sdegno e la solidarietà delle forze politiche sono unanimi: forse in preda all’emozione tutti promettono di impegnarsi per trovare una soluzione legale allo stato di fatto dell’occupazione. Intanto però l’unico organo istituzionale ad interessarsi della ex Martellotta nei mesi successivi è la Direzione Lavori Pubblici e Patrimonio del Comune. Nel settembre 2009 questa tiene un sopralluogo nell’edificio, attestandone l’inagibilità. Sulla base della conseguente relazione il sindaco prepara una delibera di sgombero, emanata il 18 maggio 2010.
Il Cloro Rosso abbandona la Martellotta il 9 giugno. Si apre contestualmente un tavolo di trattativa: i rappresentanti della Giunta ed il Cloro cercano un accordo sulla messa a norma dell’ex edificio scolastico e, allo stesso tempo, su un locale da affidare al collettivo in attesa del completamento dei lavori. Da parte dell’amministrazione viene promesso che entro la fine dell’estate il denaro per la ristrutturazione della Martellotta sarebbe stato messo in bilancio, mentre si individua proprio il Mignon come soluzione provvisoria per il Cloro. Ma non appena quest’ultima notizia viene diffusa il quartiere insorge. Il Mignon viene assaltato da ignoti, che vi arrecano danni per diverse migliaia di euro; la Circoscrizione vota un ordine del giorno rigettando la proposta della Giunta. Per i ragazzi si apre però un altro spiraglio: a prospettarlo è il segretario provinciale della FIOM, Rosario Rappa, nel corso di un’assemblea. Rappa mette a disposizione un intero piano del PalaFiom (il secondo) per ospitare la Palestra Popolare Mustakì e consentire ai giovani attivisti di tenere le loro assemblee. Si stringe il patto, ma i ragazzi non vogliono rinunciare alla Martellotta e aspettano con apprensione la scadenza di settembre prospettata dal Comune. Intanto però l’estate non passa invano. Il Cloro lancia a varie realtà sociali e politiche della città un appello per la realizzazione di una stagione di eventi “autorganizzati”. Prende le mosse “EstaBoom”. I risultati sono straordinari: mentre il Comune aspetta il 12 agosto per approvare ufficialmente il suo cartellone di eventi, la rete di soggetti autonomi realizza, senza chiedere neanche un centesimo alle istituzioni, otto appuntamenti: migliaia di persone ne approfittano per vivere un’estate diversa.
Ma l’amministrazione sembra ignorare questo segnale di gradimento; l’autunno infatti trascorre in estenuanti trattative. I soldi in bilancio non vengono stanziati, né a settembre né più tardi; i soggetti istituzionali si rimpallano le responsabilità. I ragazzi finiscono imbrigliati in un labirinto kafkiano fatto di uffici e versioni contrapposte. Nel frattempo la Martellotta viene occupata da alcune famiglie in cerca di casa; il Comune sgombera anche loro e per impedire ulteriori ingressi abusivi fa murare le entrate dell’edificio. Per questa operazione vengono spesi 17.000 mila euro. Solo dopo, quando i ragazzi rientreranno nell’ex scuola, si capirà perché: forse qualche dipendente eccessivamente zelante ordina che vengano ricoperte di tufi non soltanto porte e finestre, ma le intere pareti che le comprendono. Nonostante il dissesto – sbandierato ogni volta che c’è da opporre un rifiuto ad un progetto di spesa – ci si può permettere anche questi lussi.
Finalmente le ragazze e i ragazzi del Cloro decidono che la misura è colma. Il 6 dicembre occupano l’Assessorato ai Servizi Sociali, il cui titolare, Mario Pennuzzi, era stato designato dal Sindaco come suo referente per la vertenza sulla Martellotta; e pongono un ultimatum: se entro dieci giorni non si fosse trovata una soluzione per la ristrutturazione e l’assegnazione dello stabile abbandonato, avrebbero dato luogo a un’azione clamorosa. L’amministrazione lascia scadere i termini senza curarsi troppo di trovare un qualsiasi tipo di rimedio. E così, il 23 dicembre, la Martellotta viene rioccupata. I ragazzi si trovano di fronte uno spettacolo sconfortante: polvere di tufo ovunque, le pareti della ex-scuola quasi completamente murate, i libri della piccola biblioteca del centro sociale sparsi sul pavimento, ricoperti a loro volta di polvere, calpestati. Si danno da fare per mettere un po’ d’ordine, ma sanno di avere i giorni contati. E infatti, neanche il tempo di festeggiare il nuovo anno, e da Palazzo di Città arriva una nuova ingiunzione di sgombero. Ma questa volta la reazione è forte e immediata: una cinquantina di persone irrompe in Consiglio comunale, nel corso di una seduta; prende la parola e denuncia l’incapacità dell’amministrazione di pervenire a una soluzione razionale al problema. Per il Sindaco c’è anche un regalo: uno dei preziosissimi tufi incartato alla maniera natalizia – quasi un “pacco” in stile napoletano. Il Consiglio però non resta inerte; per iniziativa di alcuni suoi componenti approva un ordine del giorno nel quale si decide “di creare un gruppo delegato e un tavolo di collegamento per fare luce e trovare situazioni confacenti alla risoluzione del problema, nel rispetto anche delle istanze di altre associazioni inerenti sul territorio.” Il 5 gennaio una delegazione del Cloro Rosso è convocata a Palazzo di Città, dove viene sottoscritto un protocollo d’intesa che stabilisce esplicitamente l’impegno del Comune a ristrutturare la ex Martellotta, modificandone la destinazione “a uso e fruizione di un centro di attività e aggregazione sociale, luogo d’incontro culturale e territoriale, biblioteca, cineforum e dibattiti pubblici.” In calce, oltre alla firma dei consiglieri Basile, Blè, Calzolaro e Voccoli, c’è quella del Sindaco. Nel documento non si fa menzione di cifre precise, ma è lo stesso Stefàno a lasciarsi scappare nelle dichiarazioni alla stampa una previsione di stanziamento di 100 mila euro.
Sembrerebbe fatta, la lotta parrebbe aver pagato, ma i pericoli sono sempre dietro l’angolo. E così passano i mesi e la questione si inabissa nel porto delle nebbie degli uffici comunali. Finalmente però i ragazzi riescono ad intercettare un’iniziativa che avrebbe messo in discussione nuovamente l’intero progetto. Nel programma edilizio sottoposto all’approvazione del Consiglio comunale viene inserito il finanziamento dei lavori di messa a norma della ex-Martellotta, ma ci sono due problemi. Anzitutto, la cifra prevista è spropositata: un milione di euro! Inoltre, si prevede che la spesa venga finanziata con ricorso al credito, dunque con debiti fuori bilancio. Per i meno attenti, si tratta della stessa procedura che ha portato alla maturazione del dissesto. Il Sindaco viene avvertito della cosa e prontamente corre ai ripari: egli stesso si fa primo firmatario di un emendamento col quale il volume della spesa viene ridimensionato a 200 mila euro e il finanziamento ricondotto alle soli fonti di bilancio. Il progetto rivisto è approvato il 27 aprile, con 20 voti favorevoli e 11 astenuti.

Quali elementi fa emergere questa vicenda? In primo luogo, poniamo l’attenzione ai rapporti fra società civile e istituzioni. Gli attivisti del Cloro, piacciano o meno le loro posizioni o le loro pratiche, sono fra i pochissimi giovani che hanno scelto di impegnarsi in una città che mostra generalmente indifferenza – quando non proprio ostilità – nei confronti di un’intera generazione. La loro azione avrebbe potuto essere interpretata come la manifestazione di un malessere reale: l’assenza di spazi sociali è infatti un ostacolo oggettivo alla crescita della nostra comunità. E d’altra parte non sono mancati i momenti in cui il Cloro ha denunciato questa lacuna. Un’amministrazione attenta a valorizzare gli impulsi e le istanze provenienti da quegli stessi settori della società che hanno reso possibile la vittoria del 2007 ne avrebbe approfittato per aprire un tavolo programmatico e risolvere in maniera organica il problema, dando soddisfazione non solo al Cloro Rosso, ma a tutte le realtà che soffrono della cronica mancanza di spazi. E, più in generale, avviando un ambizioso programma di presidi socio-culturali distribuiti nei quartieri, per frenare quel terribile processo di decomposizione della nostra comunità di cui ci ha avvertiti qualche settimana fa Alessandro Leogrande – un cancro forse ancora più pericoloso di quello fisico, da cui i Tarantini sono (a ragione) terrorizzati. E invece no. Invece non si è preso sul serio né l’impegno dei giovani del Cloro né la più ampia questione che essi suscitavano. Per negligenza – o, più precisamente, per assenza di un’impostazione strategica –, la questione è stata via via rimandata: intanto c’erano da affrontare le mille “emergenze”. Per carità, niente da eccepire: un Comune in dissesto prima di tutto doveva occuparsi di riportare alla normalità uno stato di emergenza divenuto quasi endemico. Solo un pazzo avrebbe potuto pretendere da questa Giunta la realizzazione in tempi brevi di una strategia ampia di trasformazione – e questo per una ragione semplicissima: il cambiamento costa e la situazione finanziaria del Comune nel 2007 era disperata. Ma quanto meno si sarebbero potute porre le basi per l’apertura di un “ciclo politico” che andasse ben al di là della consiliatura. In che modo? Stabilizzando il consenso delle forze sociali che avevano reso possibile la vittoria del 2007, impegnando attivamente quei soggetti in un’opera di programmazione i cui frutti certo non si sarebbero visti nell’immediato; ma, in compenso, si sarebbe creata nella cittadinanza attiva, coinvolta in un percorso di partecipazione, un’attesa e una responsabilità che avrebbero ulteriormente rafforzato il progetto politico incarnato da Stefàno e lo avrebbero traghettato, col vento in poppa, verso il successivo quinquennio. E invece si è preferito “emergenzializzare” anche questioni strategiche cruciali.
Da questo punto vista la questione degli spazi – e, nello specifico, la vicenda del Cloro Rosso – è emblematica. Come si crea l’emergenza? Semplice: nascondendo ai cittadini le procedure deliberative, inabissandole nella macchina dell’amministrazione e inducendo nei diretti interessati esasperazione e sconforto. Gli esiti possono essere di due tipi: o la rinuncia rassegnata o la risposta rabbiosa. In quest’ultimo caso, l’emergenza è servita. Si apre un nuovo tavolo, si stipulano nuovi accordi, poi tutto si chiude e la palla passa agli organi esecutivi. E siamo punto e accapo: gli uffici sono tombe per la democrazia; lo stesso politico stenta a controllare l’attività di dirigenti e funzionari. E, in ogni caso, non può condizionarne l’opera in misura decisiva. Miracoli della Bassanini. E’ per questo che i ragazzi del Cloro fanno bene a non fidarsi troppo del voto dell’altro giorno e a rimanere all’erta.
La burocrazia è un potere che troppo spesso si sottovaluta nelle analisi. Ma forse la politica potrebbe aggirarlo – o, quanto meno, contenerlo. Attraverso la partecipazione. Se il funzionario o il dirigente sa di avere sul collo non solo il fiato dell’assessore o del Sindaco, ma quello della comunità – che può squalificarlo socialmente se non segue le indicazioni stabilite – forse sarà meno spregiudicato e più leale nella sua attività. Ma il punto è che la partecipazione richiede una svolta culturale alle strutture politiche istituzionali e non. Il problema centrale è quello della concentrazione del potere. Senza voler inseguire improbabili tendenze anarcoidi, andrebbe assunto con decisione il principio per cui, soprattutto a livello locale, il potere deve essere ri-strutturato con la creazione di corpi intermedi che consentano alle diverse componenti della comunità di esprimere i propri interessi e le proprie istanze. Il livello propriamente governativo dovrebbe coordinare quest’attività di partecipazione: in questo modo si avrebbe la salvaguardia del principio di unità dell’azione politica – contro le spinte particolariste – e, allo stesso tempo, il riconoscimento della pluralità della società civile – da cui possono derivare spinte innovatrici sul piano dei contenuti dell’azione politica, cioè dei progetti specifici. Lo sbocco della dialettica fra questi due livelli dovrebbe essere il Programma, inteso come una strategia ampia, di lungo periodo e in grado di aggredire alla radice i problemi strutturali della comunità.
Ovviamente mi sentirò rispondere ancora una volta che questa è utopia. Ma la verità è che noi stiamo vivendo in una distopia, cioè un’utopia negativa. Se l’attuale amministrazione avesse dedicato questi cinque anni ad affrontare, assieme alle molteplici emergenze, la definizione di un quadro di partecipazione, oggi in città non si respirerebbe quest’aria plumbea di occasione mancata. Un’atmosfera che sembra permeare tutti i discorsi – e persino gli sguardi, sempre meno fiduciosi – di chi, in fondo, ci aveva creduto. Un’occasione storica, per altro, visto che un intero contesto politico era stato squassato dalla catastrofe del dissesto. E invece eccoci qui, a maledire il giorno in cui ci siamo illusi… E in questa nebbia sempre più fitta non ci resta che confidare in chi ancora prova a sventolare una fiaccola di coraggio… in bocca al lupo, Cloro Rosso!