Vietato sognare. La vita in un call-center

di Greta Marraffa

Esistono nel panorama normativo della materia del lavoro,delle tipologie contrattuali che assumono la denominazione di contratti para-subordinati.
L’art 61 del D.Lgs. 10 Settembre 2003, n.276 né definisce la fattispecie:sono le “collaborazioni coordinate e continuative, riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa”
La situazione presentataci dal I comma dell’art.61 e, in maniera più dettagliata, dalla legge impropriamente definita “Biagi”, è una presunta subordinazione del lavoratore a progetto che spende le sue energie sottoponendosi alla volontà del committente, restando tuttavia responsabile del risultato conseguito dall’attività lavorativa! Una fattispecie ibrida, che tende a discriminare senza alcun timore la figura del contraente debole, riducendo al massimo le sue tutele, impedendogli di qualificarsi come subordinato e come tale destinatario di diritti!

A Taranto in questi giorni si assiste ad una martellante campagna mediatica: maestosi cartelloni pubblicitari annunciano la volontà di “Teleperformance” di assumere personale. L’azienda dichiara questo nonostante abbia già collocato in cassa integrazione centinaia e centinaia di dipendenti che, camminando per strada, restano colpiti da un forte senso di dubbio e di stupore. Si sta toccando veramente il lastrico e lo si sta facendo giocando con la dignità dei lavoratori. Sono loro i protagonisti di queste sciagure,sono le loro vite a dover esser raccontate.
Decido allora di incontrarne una: è una lavoratrice anche lei di quell’azienda da ormai cinque anni. Ogni giorno varca i suoi cancelli, entra nel grande salone dove sono collocate le varie postazioni, sistema le sue cose, mette le cuffie alle orecchie e la giornata lavorativa può incominciare. Lei è bella, solare, ha un taglio ribelle, simile ai suoi occhi colmi di vitalità. Davanti ad un succo alla pesca, in un bar del Borgo, mi racconta la sua esperienza. L’ascolto con grande interesse. Gesticola animosamente e rende la conversazione ricca di riflessioni e colpi di scena.
“Avrei voluto fare l’assistente di volo, amo viaggiare, ho tanta curiosità di conoscere il mondo”-mi confida sommessamente quasi come se qualcuno stesse origliando; e continua dicendomi: purtroppo mi sono ritrovata dietro ad una scrivania e un pc dopo gli studi secondari: dovevo mantenermi in qualche modo.”
Scorgo nella sua voce un forte senso di riscatto e anche di tenacia: lei non è una delle tante o per lo meno non vuole esserlo,sa che lì ci rimarrà ancora per poco poiché la vita è ben altro.
“Sono stata assunta con contratto a progetto e il mio salario oscillava a seconda del risultato che conseguivo in una giornata lavorativa di sette ore, interminabili”. La sua capacità di convincere il consumatore doveva giocarsi in tempi brevissimi: ”avevo tre minuti per poter essere credibile,carina,dolce …. e non ti dico quante volte avrei voluto agganciare io quella cornetta, in quei giorni neri e tristi quando tutto ti sembra venir contro.”
Mi racconta che all’interno di quei luoghi il potere disciplinare è estremamente rigido: il dialogo con le altre lavoratrici non è concesso, ognuno vive la giornata nella sua solitudine,tra un telefono che squilla e il peso dei pensieri che si accumulano nella mente.
“Io ora sono fortunata: sono indeterminata, sono stata brava, mi hanno premiato, anche se noto con dispiacere che chi ha meno esperienza di me ricopre ruoli o svolge mansioni di livelli superiori”.
Dalle sue parole emerge con nitidezza un aspetto fondamentale del mondo del lavoro odierno: si assiste ad una de-regolamentazione della disciplina occupazionale,il lavoro parcellizzato rende il lavoratore facilmente rimpiazzabile e fungibile.
“Non c’è certezza nel domani. Sono ancora giovane ma penso a tutte quelle donne che non possono dedicare il loro tempo alla famiglia o ai propri figli: i turni sono pesanti e non permettono di conciliare altro tempo per lo svago o altre attività”
Abbassa lo sguardo e dice di sentirsi alienata: ”è triste,davvero umiliante ripetere in continuazione, fino alla nausea, sempre gli stessi slogan o lo stesso tono di voce”. Ed è ciò che il committente impartisce: “devi essere così, devi fare questo e devi riuscirci in 3 minuti altrimenti vai via, sei out!

Proseguendo nella lettura ed analisi della legge 276 m’imbatto nel comma I dell’art 66 che cita testualmente: “La gravidanza,la malattia e l’infortunio del collaboratore a progetto non comportano l’estinzione del rapporto contrattuale,che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo.”
Non ci vuole una laurea in giurisprudenza per comprendere le intenzioni della normativa. Tale disposizione di legge, partorita negli anni Ottanta, punta alla flessibilità, una flessibilità che si trasforma in precarietà: economica, culturale, esistenziale. Contrariamente a quanto dicano nei talk show, tale “flexibility” non incrementa nessun tipo di crescita, ma aumenta le disuguaglianza e alimenta il conflitto eterno tra i “nuovi poveri”, gli atipici, e coloro i quali posseggono ancora forme minime di ammortizzatori sociali, tra i “determinati” e gli “indeterminati”.

In questo scenario apocalittico, tra poteri forti e multinazionali che finanziarizzano le nostre esistenze, si consiglia di smettere di sognare, si induce a svolgere lavori umili e a prendere decisioni senza dar ascolto alle proprie inclinazioni e passioni. Bisognerebbe partire dal lavoro, occorrerebbe mettere in discussioni i vecchi e fallimentari sistemi di “sviluppo”, interrogare la comunità su cosa realmente significhino i concetti di crescita e benessere. E’ necessario riappropriarsi della piazza:di quel concetto di partecipazione e di democrazia reale che sta alla base di qualsiasi realtà che difende il “comune”: il lavoro, la cultura e quindi i saperi.
Lei mi saluta e mi ringrazia,sono io a doverla ringraziare:ascoltare e poter raccontare tali storie è sempre un’esperienza fortificante. Dice di voler rimanere in questa città,lei è molto legata alle sue origine e ai suoi cari ma in cuor suo sa di non poter transitare a lungo su quel percorso. La certezza nel domani ci è stata negata e seppur la stabilità sia importante non da meno è il dovere di mantenere acceso quel fuoco di passione e di caparbietà che brucia e si alimenta in ognuno di noi: accresciamolo e cerchiamo di farlo diventare un grande falò.