Un viaggio nel mondo femminile islamico: tra libertà ed emancipazione

di Greta Marraffa

Spesso, quando si discute della “questione di genere”, si è soliti decostruirla attraverso considerazioni alterate, che rintracciano come massima espressione di emancipazione i canoni o gli stereotipi proposti dai modelli occidentali che tendono ad essere universalizzati.
L’occidente, ossessionato dalla sua cultura identitaria, tenta di esportarla in tutto il mondo, considerandosi erroneamente e presuntuosamente fautore e promotore di processi di libertà,cambiamento e civilizzazione.
La stessa globalizzazione, complice di processi di omologazione, contribuisce alla disintegrazione della diversità, e allo stesso tempo, allo smarrimento disastroso delle identità.
La cultura di un popolo, invece, è il flusso di un fiume in piena, uscito dai suoi argini: è dinamicità, è la combinazione di colori e di linguaggi differenti, ed è proprio questa eterogeneità che dovrebbe essere tutelata attraverso un processo di reale integrazione. Quando si parla di donne bisognerebbe partire da una importantissima premessa: statisticamente esse sono la maggioranza e ricoprono al giorno d’oggi ruoli funzionali ed essenziali al progresso e allo sviluppo della società. La statistica però poco rileva come, questo mondo così vasto sia al suo interno, così variegato e ricco di sfumature. E’ lo stesso concetto di “genere” che deve essere analizzato a più livelli, senza essere banalizzato. Emerge allora che esso non è altro che un puro riferimento a quella secolare distinzione uomo/donna frutto di una costruzione culturale, religiosa e giuridica geograficamente determinata. Sarebbe quindi ingannevole ritenere che tutte le religioni o culture adottino il concetto di genere con la stessa accezione che noi abbiamo conosciuto. Ed altrettanto pericoloso sarebbe accettare che alla base dei processi di emancipazione e di “liberazione” della donna vi siano dei criteri universalizzanti.
Recentemente, alla II Facoltà di Giurisprudenza di Taranto, nel corso delle lezioni di Diritto Interculturale, si è svolto un seminario sulla condizione della donna musulmana e sull’affermarsi del femminismo islamico nei territori del Medio- Oriente. Una lezione che si è tramutata poi, in dibattito vivo ed acceso, in quanto tema di interesse generale ed universale.
Nel mondo arabo, l’attivismo di genere è nato ed ha cominciato a battersi contro le oppressive barriere confessionali, alla fine dell’Ottocento. Nacquero movimenti stimolati da spinte interne, dovute alla diffusione dell’istruzione femminile, e da spinte esterne attraverso la penetrazione economica delle potenze europee. Ma le donne islamiche compartecipi di tali movimenti Respinsero l’attribuzione e la categorizzazione di “femministe”, in quanto considerata accezione troppo legata ai processi di occidentalizzazione e di colonialismo. Rifiutando una terminologia che era stata coniata in ambito accademico, all’inizio del Novecento, un momento in cui tale questione si caricò di intensissimi dibattiti carichi di simbologia, ed importanza storico-religiosa.
Uno dei gruppi più radicali e radicati nel territorio come l’Unione Femminista Egiziana, rivendica il diritto all’istruzione femminile e al lavoro, reclama un’assoluta e radicale modificazione del codice dello statuto personale, e il diritto al voto per tutte le donne senza distinzione di ceto nel mondo arabo. Le Islamiste invece più vicine al concetto di famiglia come “nucleo fondamentale in cui la donna può manifestare al meglio le sue qualità”, rigettano l’esegesi delle femministe, volte a dimostrare che attraverso il Corano, testo sacro e di diritto, fonte di uguaglianza e di fratellanza, esse siano sullo stesso piano degli uomini.
In realtà il Corano è difficile da interpretare, e questo favorisce la nascita di differenti correnti di pensiero. Per quanto riguardo ad esempio l’utilizzo del velo, netta è la contrapposizione tra modernisti e tradizionalisti. Mentre i modernisti sostengono che l’ordine di portare il velo vale solo per le mogli del profeta, i tradizionalisti affermano che è giusto per tutte le donne. Molte donne non utilizzano lo chador delle loro madri, in quanto rifiutano il passato, ma continuano ad indossare il velo non per mostrare sottomissione al padre o al marito, ma per una sorta di rispetto nei confronti di Dio. Le femministe islamiche affermano che alla base delle proprie rivendicazioni ci sia la tradizione culturale e soprattutto religiosa, che, al contrario di quanto professino i difensori della’assetto patriarcale e conservatore, il loro movimento non è “anti-religioso”, anzi esso utilizza l’Islam come strumento di liberazione e di emancipazione.
Perciò la discriminazione femminile, nel mondo arabo non è da attribuire ai precetti islamici, ma alla tradizione e ai costumi sociali, a fondamentalismi, ad interpretazioni distorte e maschiliste, dovute all’assenza nel quadro giuridico del sesso femminile. Tuttavia il mondo islamista al suo interno è molto variegato: la sostanziale differenza che intercorre tra il mondo delle islamiste e quello delle femministe islamiche è che le prime conducono a rivendicare un’uguaglianza nella sfera pubblica, mentre le secondo rivendicano l’uguaglianza di genere non solo nella sfera pubblica, ma anche in quella privata, tra le quattro mura domestiche dove avvengono le maggiori ed intolleranti discriminazioni. Il femminismo islamico inoltre affronta questioni interne alla sfera religiosa, come l’accesso paritario alla moschea per la preghiera collettiva, la possibilità per le donne di divenire imam e l’ingresso delle donne nelle professioni religiose.
L’affermazione dei diritti delle donne musulmane, secondo le femministe musulmane, in sintesi, non può realizzarsi all’interno di quella ideologia femminista occidentale che si rifiuta di ascoltare la voce critica delle donne di religione islamica, e dà per scontato che queste ultime soffrano più o meno consapevolmente a causa di una condizione segregativa causata dalla loro fede. Interessante ed utile sarebbe interrogarsi su: “quanto realmente le donne occidentali siano così incondizionatamente libere”? Quante volte infatti esse sono state costrette a mercificare il proprio corpo…. Come vergini da offrire al drago-imperatore? O ad ostentarlo o a sottoporlo a vincoli dettati da stereotipi e modelli schiavizzanti? La sfida dei paesi occidentali, di contro invece, dovrebbe essere quella di trovare una modalità per edificare delle realtà pluraliste, che valorizzino le diversità attraverso processi veri di integrazione, di conoscenza dell’altro senza la pretesa di volerne modificare l’assetto genetico. Ed in Italia invece, l’idea dell’emancipazione della donna dovrebbe ripartire dalla condizione di diversità che la caratterizza e differenzia dall’uomo, senza cedere alla “trappola dell’uguaglianza”, perché non siamo eguali …. per nessuno motivo.
Perché il mondo femminile rifiuta di essere categorizzato, perché rifiuta l’accesso alla politica tramite le quote rosa, perché il mondo femminile ha nel tempo sperimentato nuove forme di partecipazione e di condivisione che non hanno nulla a che fare con la perenne attività di accumulo e di mercificazione dell’homo economicus.