“Con questa manovra l’Euro non ce la fa”. L’analisi di Sergio Cesaratto

di Roberto Polidori


Sergio Cesaratto è ordinario di Economia Politica presso l’Università di Siena ed e’ uno degli esponenti di spicco della scuola economica eterodossa italiana. E’ stato relatore nel seminario sulla crisi tenuto presso la Facoltà di Economia di Taranto e organizzato da Link Taranto, Siderlandia, Fisac CGIL Taranto e Fisac CGIL Puglia (vedi il video). Nella chiacchierata fatta dopo il seminario il professore ci parla delle sue paure sulla tenuta dell’euro, dell’ipocrisia della classe dirigente tedesca ed italiana, del pericolo di tensioni geopolitiche collegate alla crisi e della possibilità di un berlusconismo di ritorno dovuto ai sacrifici “necessari”.

Prof. Cesaratto, Lei ha tenuto una lezione di macroeconomia alla Facoltà di Economia di Taranto: durante questa lezione ha dipinto una situazione generale dell’area Euro a tinte fosche. Cosa succede ?

Apro il sole 24 ore stamane [Sabato 03 Dicembre 2011, ndr.] e leggo:”Merkel stringe i tempi; unione fiscale vicina ; decisivo il ruolo della Bce”. Sembrerebbe uno scambio di qualche tipo tra un intervento della BCE per placare la speculazione e un sorta di dittatura da parte della Germania sui bilanci degli altri paesi europei; le idee non sono ancora chiare. Non sappiamo se la Bce vorrà finanziare i prestiti del Fondo Monetario Internazionale ai paesi dell’Euro in difficoltà o vorrà intervenire in modo differente; sappiamo che, come contropartita, verranno imposte misure economiche recessive in modo totalmente antidemocratico, espropriando cioè la sovranità nazionale e dunque annientando la democrazia dei paesi. Il tutto per fare qualcosa di inutile e controproducente: bisogna opporsi.

La politca spesso agisce nell’ottica del breve periodo: deve cercare di prendere le misure meno impopolari possibili per perpetuarsi nel tempo. Periodicamente – ed in Italia è già successo – ci si mette nelle mani di governi “tecnici” che abbiano l’indipendenza e la forza di attuare quelle misure strutturali che le schermaglie tra fazioni politiche non permetterebbero mai di conseguire. Il Prof. Monti è lì per fare questo valore. Lei è convinto che la strada da intraprendere sia questa?

La logica complessiva degli interventi del Governo Monti va respinta, non perché non ci siano cose giuste in ciò che dice il Presidente del Consiglio o perché non ci sia nulla da fare, ma perché affidarsi ad un governo tecnico nel nome dell’emergenza presenta un forte rischio: dietro il tecnicismo ci può essere una “convinzione” fortemente politica e politicizzata nel funzionamento dei meccanismi economici. Faccio un esempio: la reintroduzione dell’Ici è una misura giusta e sacrosanta. L’unico paese in Europa che non ha l’Ici sulla prima casa è l’Italia: i proventi dell’Ici dovrebbero però essere riutilizzati dai comuni per potenziare i servizi sociali e innestare un processo virtuoso capace di produrre reddito. Se l’Ici va a ridurre il debito, non possono essere creati nuovi posti di lavoro nei servizi sociali territoriali; alla fine si compie uno sforzo assimilabile alla Fatica di Sisifo: si cerca di ridurre il debito tagliando spese e servizi, l’occupazione si riduce e le entrate fiscali diminuiscono; il Pil si riduce ed il rapporto debito/PIL continua ad aumentare nonostante l’austerità. Colpire i redditi al di sopra dei 55.000 Euro lordi, ad esempio, è un’assurdità incredibile: sarebbero queste le persone straricche? Capisco che è difficile individuare i patrimoni reali ed è difficile colpire i lavoratori autonomi ricchi che evadono, ma bisogna andare in quella direzione; in ogni caso i proventi di un’eventuale patrimoniale non devono andare a riduzione del debito, ma a sostegno di domanda da servizi sociali: il debito va ridotto crescendo, non deprimendo la popolazione. Evidentemente serve un nuovo contesto europeo

Perché alcuni economisti eterodossi, meglio di altri, hanno visto arrivare la crisi?

Le analisi fatte da molti di noi prevedevano la crisi europea e l’inutilità della tipologia di interventi economici attuati; soprattutto le seconda lettera [estesa il 15/06/2011, ndr] individuava il problema delle economie in crisi nella scarsità di domanda: nell’ultimo anno e mezzo la crisi si è aggravata proprio perché si è voluto intervenire sulle capacità di spesa di economie senza domanda privata. L’ultima lettera degli economisti del 17/11/2011 chiede che la Germania si assuma le responsabilità di leader in un nuovo contesto di politica economica europea, con una Bce che stabilizzi al ribasso i tassi d’interesse dei paesi europei annunciando il ricorso all’immissione di moneta nel sistema. Con bassi tassi i debiti non sono un problema e, stabilizzando il rapporto debito/PIL, ci sarebbe spazio per politiche economiche espansive anche nella periferia europea. La Germania deve ridurre il proprio avanzo commerciale, anzi azzerarlo, favorendo quello dei paesi deboli attraverso esportazioni da questi ultimi: in questo contesto la crisi debitoria scomparirebbe perché i mercati capirebbe che sono state intraprese reali misure per la crescita.

Il messaggio che i governati lasciano passare è il seguente: i contribuenti di una determinata area dell’Europa (Germania) si sono comportati da formiche, risparmiando, mentre i contribuenti dell’area Club Med (Italia, Grecia) se la sono spassata vivendo a debito ed al di sopra dei propri mezzi. Secondo questa visione dei fatti, un’eventuale intervento risolutivo della Germania comporterebbe un aiuto fiscale da perte dei contribuenti che hanno già dato verso chi ha già speso. Secondo lei questo messaggio non è pericoloso dal punto di vista degli equilibri geopolitici?

Naturalmente si. L’astio reciproco è già aumentato molto, sulla base di questa convinzione; ai cittadini tedeschi andrebbe detta la verità: non c’è dubbio che il sud abbia vissuto una crescita artefatta negli anni dell’Euro; questa crescita artefatta ha però sostenuto le esportazioni delle economie tedesche. Sono stati chiesti troppi sacrifici ai ceti popolari tedeschi ed il capitalismo tedesco ha prodotto un surplus di merci che i propri cittadini non potevano comprare; le banche tedesche hanno sovvenzionato il sud dell’Europa concedendo debiti per lo smaltimento di questo surplus. Se, come è successo, c’è stata una campagna mediatica tendente a convincere l’opinione pubblica tedesca dell’ingiustizia di politiche redistributive a favore dei paesi del Sud Europa in difficoltà, non vedo perché non si può attuare un’operazione verità che spieghi al cittadino tedesco – che non è stupido – come stanno le cose: cioè che tutti hanno sbagliato, anche la Germania, i cui imprenditori si sono arricchiti con questo modello, e che sarebbe una tragedia distruggere l’Euro. La Merkel e SPD dovebbero recitare il mea culpa e l’Italia dovrebbe poi rimboccarsi le maniche iniziando magari con un’ “operazione legalità” indifferibile.

Lei ha parlato ieri ad Economia di una riduzione del surplus tedesco attraverso un aumento della domanda interna, il che implica un incremento dei salari nominali tedeschi e, quindi, di inflazione. Un altro messaggio che spesso sentiamo è il seguente: in Germania si sta meglio che in Italia edi salari sono più alti. Come si concilia la sua richiesta di aumento dei salari tedeschi con la vulgata popolare?

Gli stessi economisti tedeschi presentano dati empirici che confermano l’alto livello dei salari delle attività da esportazione (le autovetture, ad esempio), mentre sono molto bassi i salari nei settori di produzione per il mercato interno ed, in particolare, nei servizi. Non dico che si tratta di salari a livello di Barletta, ma quasi. Il 17 Ottobre, per esempio, ho partecipato ad un convegno a Roma organizzato da Fassina [responsabile economico del PD, ndr], nel quale un economista tedesco ha presentato una serie di dati a conferma di quanto appena detto. C’è spazio per alzare il livello dei redditi in Germania.

Insomma, professore, il tedesco sta meglio dell’italiano?

Nel settore metalmeccanico certamente sì. Ritengo che in Germania ci sia più civiltà [il professore va spesso in Germania, ndr] anche se questa considerazione non ha valenza di carattere economico; è un fatto che il settore dei servizi non sia pagato molto.

Torniamo alle intenzioni dei governanti europei: stiamo andando verso una politica fiscale comune che prevede, però, um irrigidimento dei controlli delle politiche economiche sui singoli paesi europei con commissariamento dei paesi che non rispettano i parametri (vorremmo capire chi li rispetta al di fuori della Germania). Le vostre politiche economiche eterodosse non verranno praticate. Siamo destinati ad una deriva greca? Se la sente di avanzare previsioni?

Il controllo sui bilanci nazionali pubblici non potrà andare oltre un certo limite. Alla fine ogni paese non accetterà un’invasione di sovranità troppo spinta. Se si eccettuano gli economisti tedeschi, tutti gli altri economisti (non solo gli eterodossi) sanno benissimo che le misure di austerità peggioreranno le cose già dai primi mesi dell’anno prossimo. Figuriamoci se paesi, cui è già stato chiesto di fare sacrifici enormi, accetteranno le sanzioni automatiche che hanno deciso a Francoforte e Brexelles in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di rientro (mancato raggiungimento probabilissimo). Il pericolo è che il primo Berlusconi che si riaffacci sulla scena politica a dire “basta” avrà il plebiscito della gente. Se la Bce non si assume la responsabilità di diventare prestatore di ultima istanza, la speculazione dei mercati continuerà a picchiare duro: sono inutili altre diavolerie finanziarie atte ad evitare l’assunzione di resposabilità di questo tipo. Si osservi il funzionamento di una banca federale come la Fed. Forse dopo il 9 Dicembre i mercati saliranno anche un bel po’ e gli spreads scenderanno, ma prima o poi potrà accadere un evento fatale, magari un’ asta di titoli di Stato andata deserta….credo che si vada dritti dritti verso la deflagrazione dell’Euro; a meno che non si cambi rapidamente rotta un default italiano è possibile.