Full metal racket, ovvero come ti “strozzo” nel terzo millennio

di Andrea Cazzato

Dove va il nostro Paese? Dove va l’Europa? Queste sono forse due delle domande più frequenti di questi ultimi tempi. Questo momento di crisi generalizzata, in effetti, ha risvegliato l’attenzione degli assopiti connazionali che, dopo anni di narcotizzante berlusconismo, si sono ritrovati catapultati in una nuova dimensione di discussione su tematiche davvero pregnanti.
Dopo anni di questioni di “vitale” importanza, trascorsi fra il “celodurismo” di stampo padano e le notti di Arcore – che hanno smosso l’indignazione della stragrande maggioranza degli italiani – si è tornati a parlare di sostanza. Con l’arrivo dell’esecutivo Monti la musica è cambiata, non c’è che dire. Se prima l’attacco a determinati valori era stato portato da quel coacervo di macchiette, e quindi perdeva, già in partenza, qualsiasi credibilità nella cittadinanza meno dormiente, ora la controffensiva parte da un gruppo di stimati tecnici, che hanno fatto del rigore e della sobrietà (termini cari e ripetuti fino alla nausea dal giornalismo italiano) le loro caratteristiche principali. Tale manovra, volta a mio giudizio al violento ritorno di una lotta di classe fra i ceti più popolari e l’élite economica e industriale di questo Paese, è molto grave, anche perché ad iniziarla sono stati proprio i secondi. Le due fazioni in campo sono ben chiare. Da una parte c’è chi possiede e controlla i gangli economico-sociali dell’Italia: imparando dagli errori del passato, questa componente si presenta a questa nuova battaglia come un fronte compatto, dove tutti sono attenti a non pestarsi i piedi. Dall’altra parte, invece, vediamo un’accozzaglia di uomini non rappresentati, che davanti alla risposta inadeguata dei partiti che dovrebbero dar voce alle loro istanze, si scaglia contro questi ultimi, limitandosi ad una guerra fratricida. Quest’assenza di reazione permette all’èlite tanto ben rappresentata nel governo, di dettare i tempi e di attaccare in maniera indisturbata una grande parte dei diritti dei propri avversari.
Fuori da ogni retorica, in effetti, le posizioni sembrano queste e le parti, rispetto agli anni passati, sembrano essersi capovolte, con risultati che si annunciano clamorosi e devastanti. Questa svolta usuraia delle classi dominanti, fatta di continue minacce – che possiamo vedere ben anticipate nel modello Marchionne – si ripete sempre di più di frequente in moltissimi ambiti. Sostanzialmente le risposte alla crisi sembrano tutte convergere sul sacrificio (altra parola-chiave di questi mesi) dei ceti popolari. Il rilancio dell’economia può veramente passare dalla possibilità concessa ai padroni di licenziare senza giusta causa? Tanto più se a questo inasprimento delle condizioni dei lavoratori a tempo indeterminato, non corrisponde una veemente politica di adeguamento dei diritti del precariato. Capisco che questa mancanza di potere di “vita o di morte” sull’esistenza aziendale di un dipendente non abbia mai fatto molto piacere agli industriali, e che solo l’introduzione del precariato, che sembrava aver ridato questa forma di controllo, sembrava aver soddisfatto un po’ questa sete di vendetta. Soltanto che – era più che chiaro – la cosa non gli bastava affatto. Hanno tentato prima di inserire il precariato generalizzato, fallendo miseramente; ed ora, non avendo sfondato da questo parte, e non potendo intaccare molti dei diritti fondamentali dei lavoratori, cercano di attaccarsi all’articolo 18, come se questa fosse questione di importanza centrale nella vita economica del Paese. C’è del sadismo nella classe industriale dell’Italia, del piacere ad essere strozzini dei propri dipendenti. Praticamente come se la pausa, le ferie o la maternità fossero una gentile concessione del padrone. Come quegli usurai che se non ce la fai a pagare, ti rendono la vita un inferno e ti chiedono sempre di più, e tu in balia delle loro minacce sei costretto ad accettare ogni cosa. Siamo ridotti proprio così male? Siamo un po’ come la Grecia, che in cambio di un’uscita dalla crisi più rapida, si è dovuta imbottire di armamenti, acquistati dalla Germania e dalla Francia. “Se non accetti, affondi” e la classe dirigente greca non ha potuto far altro. Il racket dei proiettili e della prepotenza del più forte ha vinto sui bisogni del popolo ellenico.
Alla faccia dello spirito unitario europeo, direbbero molti. Carissimi lettori, qui un senso di fratellanza e di unione di intenti c’è, ed è quello della classe dominante di arricchirsi alle nostre spalle. Il popolo italiano, come ha fatto quello greco, può dare una risposta netta all’offensiva dei potentati mondiali. Questa risposta però non può essere l’odio verso il diverso, e verso il più sfortunato. C’è da diffidare di chi, in nome di uno spirito di finta comunanza di intenti, vi dice che la lotta di classe è solo un retaggio di un vecchio modo di vedere il mondo. L’unica cosa da fare è rendersi conto dell’attuale realtà dei fatti e non permettersi ulteriori passi indietro. E’ per questo che ritengo sia utile sostenere tutte quelle forze che realmente si oppongono allo stato attuale delle cose e partecipare, in prima persona, ad una lotta per riaffermare un vero principio di uguaglianza. Questa classe dirigente sta “strozzando” l’Italia. Questi dirigenti alla Marchionne, per intenderci, vogliono arrivare al punto che dovremmo anche dover pagare per lavorare? Oppure che si debba rendere grazie alla loro benevolenza, se mantengo il mio posto in fabbrica, in ufficio o chissà dove? Usando le parole di Giovanni Lindo Ferretti (la buonanima cerebrale), non posso far altro che “tifare rivolta”, e augurarmi che questa situazione possa allontanare l’attenzione dei cittadini dagli aspetti futili del potere. Come il grande Libero Grassi (un imprenditore, appunto) ci ha insegnato, “non ci si può arrendere davanti a nessun tipo di racket”, tanto più, come accade in questi giorni, se questa attività criminale è nelle mani dei gangli decisionali del nostro Paese.