Prove tecniche di cambiamento

di Roberto Polidori

Un tentativo innovativo e coraggioso. Non potrei definire altrimenti il Convegno “Sole Terra Vento. Vocazioni di un territorio per una nuova economia” organizzato a Taranto dall’associazione ambientalista Taranto Libera presso l’I.T.I.S. Pacinotti ill 19/02/2011. Si è trattato di un workshop incentrato sulla dissertazione offerta da rappresentati di aziende leader operanti nel settore delle energie rinnovabili (eolico, solare, geotermico); ha moderato Luisa Campatelli, direttore del quotidiano locale “il Corriere del Giorno”.
La novità del convegno è proprio nel coraggio che questa associazione ha avuto nell’imbarcarsi in un compito obiettivamente molto difficile e molto rischioso: passare dalla fase di studio ed analisi del connubio occupazione – industria pesante – inquinamento ad uno step ben più impegnativo e pericoloso costituito da un tentativo di proposte concorrenti e/o alternative alla grande industria nella nostra città.
Ho avuto il piacere di seguire moltissimi convegni sulla storia economica di Taranto e sulle implicazioni ambientali di scelte produttive effettuate nel passato, ho letto con interesse tanto materiale sul ricatto occupazionale e le scelte politiche (che sono sempre di brevissimo termine e quindi, per forza di cose, non programmatiche). Devo ammettere che per la prima volta un’associazione ambientalista tarantina ha tentato di fornire un’idea alternativa di sviluppo invitando al tavolo di un convegno i portavoce di quelle società potenzialmente vocate a produrre in modo ecocompatibile ed occupare lavoratori. Finora tutti i convegni sul tema si erano limitati a sviluppare la pars destruens senza avventurarsi nella pars construens, senza cioè fornire un’idea alternativa – che non costituisce necessariamente una realtà attuabile. Il lettore capirà che una cosa è parlare di inquinamento ed industria (con tutti i suoi posti di lavoro), altra cosa è fornire una possibile soluzione. Naturalmente un’iniziativa del genere potrebbe essere considerata destabilizzante per i lavoratori dell’ILVA (ad esempio): da qui potrebbero discendere una serie di potenziali critiche da parte egli stakeholders (portatori d’interesse) dell’inustria pesante a Taranto e da parte degli stessi operai; oppure questo workshop potrebbe essere considerato un bel assist pubblicitario per Solarlight Italia (rappresentata dal Dott. Colelli), per Vestas Nacelles Italia S.p.A. (rappresentata dal dott. Michelotto), per Stone Building Italia (rappresentata dall’ingegnere Galiè e dal geologo Parmegiani) e per Jonica Impianti (rappresentata dall’Ing. Pietro Lecce).
A me piace pensare che lo spirito dell’iniziativa vada inquadrato alla luce di quanto detto dalla Dott.ssa D’Amato, Responsabile delle Pubbliche Relazioni di Taranto Libera: ”Il convegno non vuole essere la panacea dei mali di Taranto, ma un primo passo dei cittadini che pretendono un futuro migliore e diverso; un futuro che contempli la salvaguardia dell’ambiente, del territorio e della salute. Se noi noi cittadini siamo riusciti ad organizzare questo convegno, che è un piccolo contributo, ci chiediamo cosa potrebbero fare i nostri amministratori che amano, o dovrebbero amare, questa città almeno tanto quanto noi”.
E’ quasi superfluo aggiungere che il tentativo di contemperare il sacrosanto principio di salvaguardia e salute umana con la necessaria conservazione dei posti di lavoro in un territorio sotto ricatto occupazionale presta il fianco ad una serie di controindicazioni, la cui responsabilità non può essere ascritta a chi, per la prima volta, tenta di dare risposte con tutti i propri limiti (che sono poi i limiti della umana conoscenza). Ecco quindi che, per esempio, l’Ing. Colelli ha magnificato l’incredibile ritorno economico annuale degli investimenti effettuati dalla Solarlight Italia (7%) e ha invocato maggiori aiuti statali per l’attuazione di progetti all’avanguardia nel proprio settore; sappiamo tutti che l’Italia è il il paese che ha offerto i più cospicui contributi statali alle rinnovabili tra tutti i paesi del Mondo, contributi caricati sulla nostra bolletta elettrica tanto da farla gonfiare mediamente del 10% in più. Il 7% annuo di utile netto della Solar Light, quindi, lo garantiamo noi cittadini con tutta probabilità. Stessa cosa dicasi per l’impatto occupazionale di Vestas sbandierato dall’Ing. Michelotto: si potrebbe ricordare che questa multinazionale dell’energia eolica ha licenziato nel 2008-2009 almeno quanto tutte le altre multinazionali hanno fatto in altri settori: per informazioni chiedere ai 700 dipendenti dell’isola di Wight (paradiso fiscale britannico), ai 1.300 dipendenti danesi di Skagen, Rudkøbing, Viborg, Nakskov e Lidköping, in Danimarca e Svezia. Parte della produzione dovrebbe essere trasferita in Spagna, tuttavia il più grande taglio di posti di lavoro in qualsiasi ufficio avverrà nel 2011 presso il quartier generale della Vestas, dove sono previsti ben 568 licenziamenti. E, sorpresa di un paio di giorni fa, anche a Taranto sono previsti 25 tagli. Insomma, si tratta di aziende, società per azioni che hanno come obiettivo l’utile e, diciamocelo, il business delle energie rinnovabili ha un rendimento garantito e senza rischio proprio grazie ai contributi statali, ai rimborsi del G.S.E. e ai finanziamenti a tasso agevolato. I soldi delle multinazionali vanno dove c’è guadagno: con la riduzione drastica degli incentivi introdotta dal Decreto ministeriale datato 03/03/2010, lo Stato ha dichiarato guerra aperta all’attrazione di capitali leciti e riciclati in investimenti dell’energia pulita a tutto vantaggio degli investimenti in energia nucleare.
Di contro, però, c’è da dire che, fin quando il nostro sistema economico capitalistico si baserà su multinazionali, finanziare una S.p.A. per produrre energie rinnovabili ed assumere disoccupati è sempre meglio che finanziare per anni un’industria di Stato che ha pagato molti stipendi ma ha anche presumibilmente ucciso molto – senza mappe epidemiologiche bisogna essere diplomatici. Ora consentiamo che più di un’industria privata inquini liberamente a costo (anche economico) pari a zero in cambio di minor lavoro e più esternalità.
Ferme restando le interessantissime applicazioni a livello micro (o cooperativo) del solare e del geotermico – quelle che veramente potrebbero garantire molta occupazione e molti risparmi e alle quali si è pure fatto ampio riferimento– il convegno a me è sembrato interessante perchè occasione per sviluppare riflessioni ed incentivare lo studio; questo bisogno fisico di confronto è palesemente emerso nel dibattito finale.
La dottoressa Di Fabbio, dottoranda presso l’Università di Bari in Sociologia Economica, ha fornito un contributo originale in grado di semplificare in modo inequivocabile il “caso Taranto”: attraverso la teoria della “bassa resilienza” e della “path dependence” ha spiegato perché c’è un grande bisogno di cambiamento a Taranto affinchè la città sopravviva, indipendentemente dalla piaga dell’inquinamento ambientale.
Nel suo studio presentato presso la Royal Geografich Society di Londra la dottoressa ci ha spiegato che la resilienza di un sistema economico è la capacità adattiva dello stesso sistema di riprendersi da uno shock esterno. Dopo uno shock esterno (una crisi causata da un qualsiasi evento) un sistema economico locale può non riprendersi, può recuperare il sentiero di crescita precedente e può addirittura incanalarsi su un sentiero di sviluppo tale da migliorare la situazione socio-economica antecedente lo shock se i suoi attori economici saranno stati in grado di imparare dai propri errori.
Esattamente come Taranto altre città in tutto il mondo hanno subito almeno 4 gravissimi shock economici in 40 anni di storia; gli attori economici e politici di molte città simili a Taranto hanno deciso di cambiare il proprio destino studiando quali potessero essere i fattori decisivi in grado di proteggere meglio il contesto socio-culturale da shock di questo tipo: loro hanno voluto imparare dai propri errori. Dopo aver commissionato specifici studi alle proprie Università, le istituzioni di questi comuni illuminati si sono resi conto che infrastrutturazione di primo livello (strede, ponti), alta scolarizzazione di imprenditori e lavoratori – a Taranto è laureata il 7% dei della popolazione residente – e diversificazione produttiva sono fattori decisivi per superare con successo shock economici potenzialmente letali per una comunità locale.
Secondo questo studio il fattore determinante per consentire alle comunità di innovare e superare le crisi sarebbe la cooperazione tra istituzioni e collettività sul modello delle aziende cooperative dell’Emilia Romagna: ciò permetterebbe di passare con facilità da un’economia basata sul prodotto ad un’economia basata sulle necessità del consumatore (nella accezione di membro della collettività).
Il Rapporto Taranto 2010 pubblicato dalla Camera di Commercio di Taranto dimostra come la crisi abbia colpito in modo durissimo il tessuto economico della città e come, soprattutto, le prospettive future non permettano di prevedere recuperi nel medio periodo: una situazione drammatica.
Esiste “bassa resilienza” quando una colletività reagisce male agli shock economici come capita a Taranto: ciò accade più facilmente in aree legate alla produzione dell’industria pesante; la teoria della path dependence nasce dall’analisi storica di ciò che è successo in aree simili a quella tarantina che hanno cominciato a sperimentare un qualsiasi tipo di monocoltura produttiva amche molto prima del momento in cui il colosso sidrurgico tarantino è entrato in funzione (anche 150 anni): l’analisi statistica dimostra in modo inequivocabile che queste aree hanno tutte sviluppato una bassissima resilienza dopo shock economici e alcune di esse sono riuscite a cambiare il proprio destino dopo decenni di sforzi e di collaborazione tra istituzioni politiche e collettività.
A Taranto il tessuto economico è ancora fuso con il sistema istituzionale: il nostro sitema imprenditoriale – tranne rare eccezioni – non sa fare altro se non dipendere dai grandi colossi industriali perché non è neanche abituato a pensare di poter fare qualcosa di diverso. Se un sistema economico locale rimane per lungo tempo chiuso a qualsiasi istanza di cambiamento perché dominato da una monocultura produttiva, si instaura un equilibrio economico sub-efficiente, ossia un equilibrio che non è il migliore dei mondi possibili, date le risorse disponibili, ma che verrà percepito come l’unico possibile da chi vive il contesto economico in cui tale equilibio si ègenerato. Questa teoria, detta del second best, ha fruttato al Douglass North il premio Nobel per l’economia nel 1993. Secondo North in tali sistemi cristallizzati la qualità delle istituzioni è essenziale per permettere uno sganciamento da tali situazioni di stallo; se le istituzioni sono letteralmente narcotizzate – sembra essere il caso della nostra amata città – tocca al capitale sociale della comunità, cioè alle associazioni, stimolare l’autocoscienza degli individui per ricordare loro che il modus vivendi non è per niente segnato. Adele Fabbio ci dice che “il movimento ambientalista restituisce equilibrio ad una governance fortemente squilibrata verso il potere economico e la lobby politica, che hanno sempre prevalso a causa dell’assenza pluridecennale del cittadino-sentinella”.
Il convegno ci consegna questo messaggio: l’esigenza di politica industriale ed economica è forte e se le istituzioni preposte non intervengono perché impreparate o per altri motivi, è bene che sappiano che alcune associazioni locali hanno intenzione di esercitare legittima pressione sull’opinione pubblica organizzando eventi che pongano il problema e fungano da catalizzatore per lo sviluppo di un sano dibattito sul tema.
Indubbiamente una strada lunga e disseminata di trappole, che però qualcuno ha deciso di battere perché ne vale la pena.